Formazione Religiosa

Giovedì, 20 Ottobre 2005 01:57

Un Cristo «così umile e così nobile». Gesù nei Vangeli apocrifi (Rémi Gounelle)

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Gesù nei Vangeli apocrifi
Un Cristo «così umile e così nobile»
di Rémi Gounelle
(Università di Losanna)



Il dibattito sulla natura di Gesù, che inizia già alla fine del I secolo, è presente in alcuni Vangeli apocrifi. La fede in Gesù come fonte della salvezza segna in profondità la rappresentazione che essi propongono circa la figura di Gesù: numerosi sono i testi che insistono sulla sua origine celeste e sulla sua divinità per spiegare come egli ha portato all’umanità la salvezza. Gli apocrifi riflettono lo stato della riflessione teologica sull’umanità e la divinità di Gesù dell’ambiente che li ha prodotti.

Tutti gli apocrifi cristiani che ci sono stati conservati non s'interessano all'identità di Gesù. Una parte di questi è dedicata alle avventure degli apostoli, messaggeri del Vangelo in lontane contrade, o ad altri protagonisti delle gesta cristiane, come Anna e Gioacchino (i genitori di Maria), Pilato, Erode o Maria Maddalena. Un certo numero, inoltre, di quelli che narrano l'infanzia o la morte di Gesù permangono talmente vaghi circa la sua identità che è difficile riportarli all'una o all'altra delle correnti che si sono confrontate su questo argomento. L'esempio più chiaro è costituito probabilmente dagli Atti di Pilato, composti in un'epoca in cui l'arianesimo era al centro dei dibattiti teologici: l'autore di questo racconto della passione e della risurrezione di Cristo non mirava a dire chi era Gesù, ma a dimostrare la conformità degli eventi che gli erano accaduti con le profezie dell'Antico Testamento; si limita dunque a designare Gesù ricorrendo al titolo di «figlio di Dio», ripreso dai Vangeli canonici, e non dice nulla dei suoi rapporti con il Padre. È pertanto estremamente difficile stabilire se l'autore degli Atti di Pilato era favorevole o contrario alle decisioni adottate dal Concilio di Nicea nel 325. Il silenzio di questo apocrifo sull'identità di Gesù non significa necessariamente che il suo autore ignorasse del tutto le vivaci polemiche del suo tempo. Poiché ha evitato gli argomenti che all'epoca erano in discussione, si può ben credere che ne avesse conoscenza, e che abbia preferito non affrontarli perché inutili allo scopo che si prefiggeva: indurre gli Ebrei a convertirsi al cristianesimo.

Un essere celeste

Un certo numero di apocrifi ha partecipato in modo più esplicito alla riflessione sulla natura di Gesù, che è iniziata sin dai primi tempi del cristianesimo. Così, nella parte più antica dell'Ascensione di Isaia (6-14), databile alla fine del I secolo, Gesù è rappresentato come «l 'Eletto il cui nome non è stato rivelato e di cui nessuno dei cieli può conoscere il nome» (8,7-10); questo «prediletto» (cf Mt 12,18) «scenderà [...] negli ultimi giorni»; sarà «chiamato Cristo dopo che sarà disceso e avrà assunto il vostro aspetto e si crederà che sia carne e uomo» (9,13). Egli scenderà, senza essere riconosciuto, di cielo in cielo sino alla terra; entrerà in Maria, di dove uscirà senza conoscere una vera nascita (10,11.16.18). Gesù dunque non è veramente un essere umano, ma un essere celeste, che ha indossato diverse identità - tra cui quella di uomo - per liberare l'umanità dal dominio delle potenze angeliche. Questo gioco di apparenze gli ha permesso di scendere incognito dai cieli, e di risalirvi come Signore vittorioso.

Rappresentazioni datate

Per quanto possa apparire sorprendente agli occhi del lettore moderno, questa rappresentazione di Gesù come essere celeste preesistente, la cui incarnazione è soltanto apparente, non è strana alla fine del I secolo o nel II, epoca in cui la dottrina della doppia natura non era stabilita.

Il fatto è che gli apocrifi non sono fuori del tempo: che i loro autori lo abbiano consapevolmente voluto oppure no, essi hanno riflettuto nelle loro opere gli interessi e le idee dei loro ambienti. L'accentuazione che numerosi apocrifi pongono sulla divinità o sull'origine celeste di Gesù si spiega in questo contesto: gli autori di questi apocrifi hanno cercato di comprendere come Gesù ha portato la salvezza agli uomini, e quale beneficio l'umanità ha tratto dalla sua venuta. Questa riflessione sulla salvezza li ha indotti a interessarsi più a quanto faceva di lui il Signore e il Salvatore che del carattere umano di Cristo.

Le soluzioni che hanno trovato riecheggiano la riflessione teologica del loro tempo: gli apocrifi più antichi, come l'Ascensione di Isaia, rappresentano la figura di Cristo in modo «arcaico», mentre i più recenti dipendono dai sistemi teologici più «elaborati» del loro tempo, articolando in maniera più o meno sottile divinità e umanità. Da questo punto di vista la letteratura apocrifa porta alla storia dei dogmi e delle idee soltanto testimonianze simili a quelle conservate nelle omelie, nei trattati e nelle liturgie, anche se permette, talora, di capire meglio una rappresentazione della natura di Cristo altrimenti poco conosciuta -è uno dei contributi dell'Ascensione di Isaia.

Il Signore e il Salvatore

Una rappresentazione particolarmente elaborata della natura di Gesù si trova nel racconto della discesa di Cristo agli inferi, aggiunta - probabilmente nel VI secolo - agli Atti di Pilato greci per formare il Vangelo di Nicodemo latino. Per l' autore di questo racconto, come per quello dell'Ascensione di Isaia, si tratta di determinare come l'umanità sia stata liberata dal potere della morte e di Satana.

L'autore dei cc. 17-27 del Vangelo di Nicodemo latino (recensione A) vede nella salvezza dell'umanità la conseguenza della «maestà divina» di Cristo e della sua onnipotenza (cf 18,1; 22,2; 26). Cristo, coeterno al Padre (18,1), è il «Re della Gloria» (21,1), un «Dio forte e possente, dotato di poteri anche nella sua umanità» (20,3), come dice il salmo 24(23),7-10. Divenuto uomo, ha potuto ingannare le potenze infernali: esse hanno creduto che egli fosse un uomo come gli altri, e hanno pensato di potersi impadronire di lui dopo la morte (20); ma significava dimenticare che, se Gesù «è potente nella sua umanità [perché opera miracoli] [...] è onnipotente nella sua divinità, e nessuno può resistere alla sua potenza» (20,2) Nel mondo degli inferi, Cristo ha vinto Satana e ha liberato l'umanità dal suo potere, ridandole la sua originaria libertà (22,1).

L'autore di questo racconto della discesa agli inferi si è preso cura di articolare in modo ortodosso le due nature - umana e divina - di Cristo: in quanto Dio, Cristo è incorruttibile; in quanto uomo, è corruttibile. Egli è di volta in volta «così grande e così piccolo, così umile e così nobile, di volta in volta soldato e generale, guerriero ammirabile sotto aspetto di schiavo, e Re della Gloria morto e vivente» (22,1).

Discorso di fede

Opera di credenti di altri tempi, gli apocrifi cristiani sono testi che testimoniano la fede dei loro autori, e dei loro lettori. La loro rappresentazione della figura di Gesù è al servizio di questa fede in un individuo che porta la salvezza. Per capire perché un apocrifo definisce in un certo modo l'identità di Gesù, è importante essere attenti al modo in cui concepisce la storia della salvezza, e il ruolo di Gesù in essa. Questa non è una particolarità degli apocrifi: la questione della salvezza dell'uomo è al centro delle controversie sull'identità di Gesù nei primi secoli della Chiesa, e modella le nostre rappresentazioni attuali, per quanto umanistiche possano essere.

Letto 3080 volte Ultima modifica il Mercoledì, 15 Febbraio 2006 21:38
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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