Magnificat
Il Dio cantato da Maria,
serva del Signore
(seconda parte)
di Alberto Valentini
2. Dio dell’esodo e degli esodi
2.1. Il Dio dei Padri
Il Magnificat, nell’attuale contesto redazionale, è presentato come espressione dei sentimenti della Vergine, dopo la sconvolgente esperienza dell’annunciazione e dell’incipiente maternità, e quale risposta alle parole e agli elogi di Elisabetta.
Ma il linguaggio, lo stile e le prospettive del canto vanno ben al di là di quel pur importantissimo contesto, dal quale anzi potrebbe prescindere. Se infatti il Magnificat non ci fosse, il racconto in prosa non ne risentirebbe, anzi scorrerebbe con molta naturalezza. I racconti dell’infanzia sono stati per Luca un’occasione privilegiata per rileggere le origini della vita di Gesù, compimento della salvezza d’Israele, alla luce della storia passata - mediante cantici dal linguaggio arcaico e dalle cadenze veterotestamentarie -, nel contesto dell’evento pasquale ormai acquisito a livello di fede e di esperienza liturgica da parte delle comunità neotestamentarie, e nella prospettiva di un futuro di liberazione definitiva, di cui quel fatto decisivo costituisce pegno e primizia.
Il Magnificat si presenta, dunque, come memoria storico-liturgica della salvezza, come testimonianza concreta dell’evento pasquale di Cristo e della sua novità, come profezia di un futuro che ha già fatto irruzione nella storia e attende il suo definitivo compimento.
Luca che, soprattutto nei discorsi degli Atti, ama riproporre la storia biblica, interpretata alla luce della risurrezione di Gesù, inserendo nei racconti dell’infanzia cantici come il Magnificat ha inteso far memoria della salvezza d’Israele e mostrarne il compimento nel mistero pasquale di Cristo. In tale prospettiva, il canto della Vergine pur apparendo un salmo giudaico, intessuto di citazioni scritturistiche che ne fanno una sintesi particolarmente efficace della storia biblica, si presenta in realtà come celebrazione della liberazione di Dio in Cristo.
Maria, ovviamente, non può descrivere la sua situazione di serva del Signore, riscattata dalla condizione di povertà, senza riferirsi all’esperienza spirituale d’Israele.
I sentimenti che ella esprime caratterizzano la pietà giudaica più pura; ella parla come perfetta rappresentante del suo popolo, come testimone dell’amore e della fedeltà di Dio alla discendenza di Abramo suo amico. (32)
Il salmo proclamato dalla Vergine deriva da una comunità imbevuta di spiritualità biblica, che prega con le categorie tradizionali della pietà d’Israele. E’ il canto di una donna che celebra la propria esperienza salvifica sullo sfondo del suo popolo; è il canto di un popolo che rilegge la sua storia, alla luce dell’esperienza eccezionale di una donna.
Da questo brano emerge icastico il volto del Dio dei Padri: non delineato in astratto, ma plasmato alla luce della chiamata, della promessa, dell’elezione, da cui scaturiscono la liberazione e l’alleanza. In altri termini, il Magnificat ripropone la storia di Dio che viene ad abitare in mezzo a un popolo, si lega ad esso in maniera unilaterale e gratuita, e se ne prende cura con eterno amore e fedeltà. Un Dio che Israele impara a conoscere dalle sue azioni; al quale il popolo e le singole persone sanno di appartenere e sul quale poggia tutta la loro storia. È notevole, da questo punto di vista, la serie dei pronomi e aggettivi personali e possessivi che denotano il rapporto di reciproca appartenenza: mio salvatore (v. 47); la sua serva (v. 48); a me (v. 49); Israele suo servo (v. 54).
Un Dio dunque personale, impegnato in maniera attiva e dialogica con il suo popolo: pronto ad ascoltarne la voce e ad intervenire per salvarlo.
2.2. Il Dio del Signore Gesù Cristo
Il Magnificat celebra il Dio dei Padri e della storia d’Israele, ma più ancora il Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo.
Il cantico non è un semplice salmo giudaico: sotto il linguaggio e le categorie antiche si nasconde la novità della salvezza messianica. Non solo perché la figura alla quale è attribuito appartiene al Nuovo Testamento - che si inaugura proprio con l’annunciazione, il dono dello Spirito e la risposta di fede della serva del Signore -, ma perché il testo stesso del Magnificat rivela il compimento della speranza messianica e l’irruzione dei tempi nuovi. I verbi, come si è detto, sono tutti al passato storico, a testimonianza di fatti compiuti.
Il Dio salvatore è ormai Gesù, com’è annunciato a Maria (Lc 1,31) e ai pastori (2,11), e proclamato da Simeone che vede in lui la salvezza di Dio (2,30).
Certo, il Magnificat usa il linguaggio dell’Antico Testamento, ma ormai ogni parola ed evento dev’essere compreso alla luce della Pasqua, come lo stesso Gesù insegna ai discepoli di Emmaus, e come fanno puntualmente i discorsi degli Atti. Si tratta dunque di rileggere il nostro canto alla luce della risurrezione di Cristo Signore.
E qui si pongono i problemi del rapporto del Magnificat con il suo contesto immediato e remoto, dell’autore, dell’ambiente d’origine. Come la critica contemporanea quasi concordemente riconosce, il Magnificat sarebbe sorto in una comunità giudeo-cristiana delle origini, ancora imbevuta di spiritualità veterotestamentaria, riletta ormai alla luce del compimento neotestamentario.
Esso costituisce il canto della comunità cristiana, dell’Israele di Dio che finalmente può celebrare la salvezza escatologica che ha fatto irruzione nella storia. In tale ambito si spiega bene l’esaltazione di Dio per le grandi cose da lui compiute e la “grande gioia” recata al mondo da Cristo Salvatore. Quel swth,r di Lc 1,47 si riferisce chiaramente a Dio, ma non si può dimenticare che nei racconti dell’infanzia - che costituiscono l’attuale contesto redazionale del Magnificat - swth,r è il Messia-Signore.
La preghiera del Magnificat è il canto dei poveri, i quali – come Maria, Elisabetta, Zaccaria, Simeone ed Anna – attendevano la consolazione d’Israele (cf Lc 2,25.38) ed ora si rallegrano perché Dio ha visitato e redento il suo popolo (cf Lc 1,68), perché i loro occhi finalmente hanno contemplato la salvezza (cf Lc 2,30). Il Signore ha guardato alla loro povertà e ha fatto per loro grandi cose, ha suscitato una salvezza potente (o un salvatore potente) nella casa di Davide suo servo (cf Lc 1,69). In tal modo, Dio ha manifestato la sua santità e fedeltà con una misericordia senza fine verso tutti coloro che lo temono. Questi timorati ovviamente fanno parte dei poveri che attendevano la liberazione e sono stati visitati da Dio, ma adombrano anche tutti i poveri del futuro che aspettano la rivelazione della salvezza in Cristo. La comunità cristiana di Gerusalemme, anche se composta in origine esclusivamente di membri provenienti dalla circoncisione, si apre lentamente e decisamente al mondo, come appare con particolare evidenza nel libro degli Atti, e fa spazio a tutti coloro che lo cercano con cuore sincero.
La salvezza, che in passato era liberazione da nemici politici e dominatori violenti, senza perdere nulla della concretezza sociale e storica, acquista una dimensione più vasta e profonda, includendo lo stesso “peccato del mondo” e tutte le forze del male dalle quali Cristo è venuto a liberare il suo popolo.
L’Israele di Dio, soccorso e salvato dall’opera di Cristo-Signore, comprende ormai indistintamente giudei e gentili, tutti coloro che ascoltano il profetapromesso e inviato: soltanto chi “non ascolterà quel profeta sarà radiato dal popolo di Dio” (At 3,23). Questi sono ormai “i figli dei profeti e dell’alleanza che Dio stabilì con i Padri, quando disse ad Abramo: “Nella tua discendenza saranno benedette tutte le famiglie della terra”” (At 3,25).
Alla liberazione antica è succeduta la redenzione di Cristo Signore, al popolo discendente dalla carne di Abramo ha fatto seguito il popolo della promessa e della fede del patriarca. Questa è la salvezza cantata dalla Vergine di Nazaret, nella prospettiva di Luca.
undefined Meraviglia il fatto che in questo canto - collocato dopo l’annunciazione e in risposta agli elogi di Elisabetta che ha salutato Maria come madre del Signore - non ci sia nessun accenno esplicito alla futura nascita del Messia promesso, come del resto avviene nella prima parte del Benedictus, riguardo al figlio di Zaccaria. Il Magnificat – come il salmo del Benedictus (vv. 68-75)- è un canto arcaico di liberazione. Ciò significa anzitutto che il suo ambiente d’origine non era questo, come si è detto; significa anche, però, che Luca inserendo il Magnificat in un contesto teologico particolarmente sviluppato, come quello dei racconti dell’infanzia ha inteso comprenderlo su tale sfondo. Per conseguenza già nella nascita del Messia davidico, nella venuta di Dio nella nostra storia (“egli sarà grande e chiamato figlio dell’Altissimo” [Lc 1,32]; egli salverà il suo popolo dai suoi peccati [cf Mt 1,21; cf Lc 1,77]) l’evangelista anticipa la vittoria di Cristo. Alla luce della Pasqua (cf Rm 1,4) anche la nascita storica del Figlio di Dio acquista un enorme significato salvifico. Ed essendo la Vergine di Nazaret direttamente e a nome di tutti coinvolta in tale evento, nessuno meglio di lei poteva esprimerne la valenza e la densità salvifica. Ma nel suo canto non c’è nulla che si riferisca direttamente alla futura nascita di un debole bambino. Il canto di Maria celebra la vittoria del Messia-Signore.
3. Il Dio dei poveri cantato da una donna
Il Magnificat dischiude il volto del Dio salvatore, Dio dei Padri e del Signore Gesù Cristo, ma rivela anche – per conseguenza - il volto dei poveri, oggetto del suo intervento salvifico. Lo ha ben sottolineato Giovanni Paolo II nella Redemptoris Mater:
Il suo amore di preferenza per i poveri è iscritto mirabilmente nel Magnificatdi Maria. Il Dio dell’Alleanza, cantato… dalla Vergine di Nazaret, è insieme colui che “rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili, … ricolma di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote, …disperde i superbi. … e conserva la sua misericordia per coloro che lo temono”. Maria è profondamente permeata dello spirito dei “poveri del Signore”. … Attingendo dal cuore di Maria, dalla profondità della sua fede, espressa nelle parole del Magnificat, la Chiesa rinnova sempre meglio in sé la consapevolezza che non si può separare la verità su Dio che salva…dalla manifestazione del suo amore di preferenza per i poveri e gli umili, il quale, cantato nel Magnificat, si trova poi espresso nelle parole e nelle opere di Gesù (RM 37).
I poveri, nell’ottica del Magnificat, rappresentano il popolo di Dio lungamente oppresso dai nemici e finalmente visitato dal Signore con una salvezza definitiva. Essi non soltanto sono stati liberati dai loro oppressori, ma sono stati esaltati ed hanno assistito alla rovina di coloro che li calpestavano. Il canto parla di una rivoluzione operata dalla potenza di Dio salvatore che umilia i potenti ed innalza i deboli. E’ questo un atteggiamento costante del Dio biblico – e in tale contesto va compreso il ricorrente Giubileo –: ristabilire la giustizia, ripristinare il progetto originario di Dio secondo il quale tutti hanno pari ed inviolabile dignità, e mantenere le promesse di libertà assicurate al suo popolo. Ristabilendo la giustizia, egli innalza tutti gli ‘anijîm, gli oppressi del paese ed umilia coloro che con empia arroganza avevano insidiato la sovranità unica di Dio e i diritti dei poveri.
Possiamo domandarci perché tale canto di liberazione e di esaltazione sia stato intonato da Maria, la vergine di Nazaret. Certamente per il suo diretto coinvolgimento nel mistero della salvezza messianica; ma possiamo ulteriormente domandarci perché una donna umile e povera sia stata coinvolta in tale mistero.
Questo è avvenuto non solo perché la donna è sempre associata, fin dalle origini, alla salvezza di Dio; non solo perché donne illustri hanno cantato e contribuito alla salvezza (si pensi in particolare a Miriam, Debora, soprattutto Giuditta, sulla cui vicenda appare modellata la scena della visitazione), ma anche e soprattutto perché Maria, in base al vangelo dell’infanzia di Luca, è una donna in tutta la sua radicale povertà: vergine, serva, persona del tutto insignificante agli occhi del mondo. L’evangelista dei poveri, degli stranieri, degli ultimi, delle donne…, ha scorto in questa sconosciuta ragazza di Nazaret - che agli occhi di Dio è la kecaritwme,éhe – il tipo ideale della povertà biblica sulla quale si china il Signore per operare grandi cose. Ella è agli antipodi di ogni forma di autosufficienza e arroganza nei confronti di Dio e totalmente aliena da ogni tipo di oppressione. Maria è la povera, interamente aperta alla misericordia di Dio e all’umana solidarietà.
Luca ha visto in lei il vertice di quella lunga processione di poveri del Signore che costituiscono il resto d’Israele, la porzione santa, la radice benedetta portatrice della promessa e della salvezza escatologica.
Giustamente il Concilio Vaticano II la presenta come la povera per eccellenza e l’eccelsa figlia di Sion nella quale si compie finalmente la promessa di Dio:
Ella primeggia tra gli umili e i poveri del Signore, i quali con fiducia attendono e ricevono da lui la salvezza. E infine con lei, eccelsa Figlia di Sion, dopo la lunga attesa della promessa, si compiono i tempi e si instaura una nuova economia, quando ilo Figlio di Dio assunse da lei la natura umana…
In una comunità di poveri nasce dunque il Messia salvatore; in una comunità di poveri, qual è la primitiva comunità gerosolimitana, si celebra la salvezza di Dio, alla quale Maria di Nazaret ha offerto tutta la sua umana e spirituale collaborazione; in una comunità giudeo-cristiana di poveri – quale emerge dai racconti dell’infanzia di Luca - Maria viene presentata come tipo ideale della novità neotestamentaria. Sulla scia di questa umile serva, che ha accolto nella sua vita l’azione di Dio salvatore – del Dio potente, santo e misericordioso –, tutti coloro che lo temono, i poveri e gli oppressi, Israele servo di Dio e discendenza di Abramo, riceveranno sempre la salvezza. L’Antico Testamento si apre con un uomo di fede, tratto per pura grazia dalla lontana Ur dei pagani; la nuova alleanza si inaugura con la fede di una donna, anzi di una fanciulla vergine e povera di un’emarginata contrada della “Galilea delle genti”. Per la sua fede Abramo fu benedetto con il figlio della promessa e con una discendenza innumerevole, per la sua fede Maria è benedetta con il discendente primogenito della nuova creazione e di una moltitudine sterminata di fratelli. Con l’Antico Testamento erano accadute cose nuove e grandi prodigi nella storia del mondo; con il Nuovo Testamento la rivoluzione di Dio attinge gli estremi sviluppi. Tutto però ricomincia con una donna che diventa il paradigma della salvezza di Dio.
La rivoluzione di Dio, il capovolgimento di situazione, appare con grande evidenza nei poderosi versi 52-53. Luca però ha voluto aggiungere di sua mano un versetto che costituisce il vertice impensato di tale trasformazione operata da Dio salvatore. E’ noto dalla storia della salvezza e dai salmi che la lode-celebrazione di Dio è connessa e in qualche modo si fonde con l’esaltazione del giusto e della comunità, (33) ma un’espressione profetica di sconfinate prospettive come il v. 48b risulta una novità eccezionale, che sottolinea la singolarità della figura di Maria, ma anche la sua esemplarità e tipicità nei confronti di tutti i poveri ed i giusti che costituiscono il vero Israele di Dio. Nell’esperienza di umiltà e di esaltazione di questa donna c’è la speranza e la rivalutazione di tutti i poveri, in particolare di tutte le donne. E non si tratta di un semplice capovolgimento di situazione, ma di una glorificazione che coinvolge tutte le generazioni di ogni tempo e di ogni luogo. (34)
Il Magnificat rivela dunque la salvezza di Dio, rivolta ai poveri, capofila dei quali è una donna, sulla cui esperienza si configura ormai il progetto salvifico di Dio per il mondo. La lezione del Magnificat è emblematica per il Nuovo Testamento e per la chiesa di ogni tempo, popolo di poveri, salvato ed esaltato dal Signore. Di tale logica divina Maria di Nazaret è concreta e convincente testimonianza.
La verità su Dio implica la verità e uno sguardo nuovo sui poveri. La donna di Nazaret è in grado di rivelarci il volto di misericordia del Dio salvatore e il volto dei poveri destinatari delle grandi cose, della rivoluzione della salvezza, che egli incessantemente opera nella storia.
4. Il Dio del “già e non ancora”
La serie degli aoristi indicanti potenti interventi di Dio, la trasformazione della condizione dei poveri e soprattutto l’esaltazione di questi ultimi ad immagine di Maria cozza violentemente con la situazione tragica del mondo, codificata in maniera netta dalle profetiche parole di Gesù: “i poveri li avrete sempre con voi” (Gv 12,8).
Ma allora il Magnificat è da considerarsi un canto destoricizzato, una magnanima utopia, la vaga e idealizzata aspirazione ad un mondo migliore non realizzabile entro i confini del tempo? Che sia tutto una tragica illusione?
Che senso ha ripetere ogni giorno questo canto di vittoria quando ci dibattiamo con forme sempre nuove di povertà e spaventose sofferenze?
Il Magnificat, canto giudeo-cristiano, carico di storia antica e nuova, continua a ribadire il compimento delle promesse di Dio (cf v. 55); a testimoniare la venuta del Messia davidico (Lc 1,32), Figlio di Dio (v. 35) e Salvatore (cf Mt 2,11.21); a celebrare, l’evento decisivo che ha portato la grande gioia a tutto il popolo (cf Lc 2,10).
Effettivamente, con la sua venuta e con la sua opera, culminata nella Pasqua, Dio “ha visitato e redento il suo popolo” (Lc 1,68), realizzando le promesse (v. 55.70), ricordandosi della sua alleanza, del giuramento fatto ad Abramo nostro padre (vv. 72-73). Cristo Gesù è il sì delle promesse di Dio (cf 2Cor 1,19ss) in parte realizzate con la sua venuta, mentre altre attendono il pieno compimento al suo ritorno. (35) Alla prima venuta di Cristo, che ha redento la nostra storia, ne seguirà infatti una seconda, nella quale l’umanità e il mondo entreranno nella piena libertà dei figli di Dio. Tra la prima e la seconda apparizione del Signore si colloca il tempo della Chiesa che cammina nel “già e non ancora” della salvezza.
Ma come la Chiesa - che procede “fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio” (36) - deve vivere e cantare il Magnificat?
Ma la salvezza non è ancora definitiva né per noi né per il creato che porta ancora le vestigia della caducità e del peccato:
Fino a che non vi saranno nuovi cieli e nuova terra, nei quali la giustizia ha la sua dimora” (cf 2Pt 3,13), la Chiesa peregrinante, nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni... porta la figura fugace di questo mondo, e vive tra le creature, le quali sono in gemito e nel travaglio del parto sino ad ora e sospirano la manifestazione dei figli di Dio (cf Rm 8,19-22). (38)
Il Magnificat è un canto di redenzione: senza l’esperienza della salvezza non si spiegano le sue parole né la gioia che lo pervade.
Al tempo stesso è un canto di speranza: i redenti dal Signore attendono ancora la piena manifestazione della gloria di Dio.
E’ anche un canto di impegno e di responsabilità - canta e cammina! esorta Agostino - perché si affretti l’ora, nella quale la giustizia di Dio regni pienamente sulla terra e la sua salvezza abbracci tutte le dimensioni del tempo e dello spazio.
Il Magnificat è una contestazione radicale del regno delle tenebre sconfitto dall’opera del Salvatore e ormai senza futuro, anche se il male continua a insidiare i progetti di Dio e il cammino del suo popolo.
E’ compito dei credenti illuminare con questo canto la verità su Dio e sui suoi disegni, smascherare e rendere vane le trame di potenti, ricchi ed oppressori. Non è una lotta impari col mondo dell’iniquità: il Signore non permetterà che i “superbi” continuino ad opprimere senza fine il suo popolo. Egli, che ha guardato l’“umiltà” della Vergine Maria e per lei ha operato grandi cose, è il medesimo che oggi soccorre “Israele suo servo”, per l’eterna misericordia verso Abramo e la sua discendenza.
Il Magnificat canto storico ed escatologico illumina con efficacia il volto di Dio salvatore, il Dio che ricorda le promesse fatte ai Padri e in Cristo ha rinnovato tutte le cose. Il mondo, pur presentandosi ancora lacerato dalla violenza e dal peccato, è irreversibilmente redento. Come la donna di Apocalisse (cf Ap 12), la nostra terra è nella tribolazione degli ultimi tempi, ma porta in sé evidenti i segni della risurrezione e della gloria.
(fine)