Al centro di tutta la creazione Dio colloca l'essere umano. La prima pagina della Genesi si conclude con la benedizione del tempo e la constatazione che quanto Dio ha fatto è cosa “molto bella”. Su questo sfondo si colloca il racconto biblico della “caduta”. Esso riprende alcuni elementi simbolici delle narrazioni mesopotamiche, dove si pone in risalto l’ambivalenza della condizione umana. Il testo biblico presenta una narrazione secondo modi di pensare simbolici comuni al Vicino Oriente antico. Nella Genesi si presenta la relazione di coppia e il desiderio che si sviluppa in una situazione ambivalente, dove il limite si identifica con il “divieto”.
1. L'albero della conoscenza e della vita
Dopo aver plasmato l'essere umano con la polvere della terra e avergli dato lo spirito vitale, Dio lo colloca nel giardino che ha piantato in Eden. Il Signore fa germogliare dal suolo “ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, tra cui l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male (tôv wera‘)…” (Gen 2,9). Il termine tôv, “bene”, è lo stesso che chiude i sette quadri della creazione quando Dio vide che la creazione era tôv “buona”. Nel giardino piantato da Dio dunque c’è l'albero del bene e del male. L'albero della vita rappresenta il desiderio fondamentale dell'essere umano: vivere per sempre. Esso è legato alla “conoscenza del bene e del male”. I due estremi indicano la totalità del conoscere-potere.
Il Signore Dio colloca l'uomo nel giardino di Eden, “perché lo coltivasse e lo custodisse…” (Gen 2,15). All'uomo custode-giardiniere del giardino di Eden viene posto un limite: “Il Signore Dio diede questo comando all'uomo: tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino, ma dell'albero della conoscenza non devi mangiare, perché quando tu ne mangiassi, certamente moriresti…” (Gen 2,16-17). L'albero della conoscenza, interdetto all'uomo, è posto in relazione con l'albero della vita che per sé non è proibito. Ma la condizione per vivere è di non impossessarsi dell'albero della conoscenza totale. L'essere umano non può avere la vita quando aspira al potere assoluto. Le grandi città stato sono state costruite su ecatombe di morti. I grandi imperi sono stati fondati e si sono mantenuti con la sopraffazione e la violenza, controllate ed esercitate dal potere centralizzato. Quanti hanno cercato il potere hanno violato il principio della vita per sé e per gli altri. Negli antichi racconti mesopotamici il re che cerca la sapienza e il potere, ma finisce con il trovare la morte. Anche nel racconto mesopotamico del diluvio, di cui protagonista è Ghilgamesh, in fin dei conti si fa l'esperienza della morte. Dopo la morte dell'amico Ghilgamesh va a cercare la pianta della vita presso l'unico superstite del diluvio. Questa pianta gli verrà sottratta dal serpente, rappresentante della sapienza, strettamente connessa con il potere.
2. Il dramma del peccato primordiale
Nella Genesi il racconto del peccato inizia con la scena del serpente che parla alla donna: “Il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche fatte dal Signore Dio” (Gen 3,1). Il serpente creato da Dio come il più astuto o sapiente delle sue creature, si rivolge alla donna, custode della vita, suggerendole la via per avere la pienezza del potere e dunque anche la vita: “Dio sa che quando voi ne mangiaste si aprirebbero i vostri occhi, diventereste come Dio conoscendo il bene ed il male” (Gen 3,4-5). Il serpente fa leva sul desiderio umano di vivere una vita piena e totale. Ma la vita non gli appartiene, perché non può accedere alla vita impossessandoti del potere. Tutta la storia umana è percorsa dalla tensione tra il desiderio di infinito e la coscienza del limite originario.
Il racconto biblico prosegue: “Allora la donna vide che l'albero era buono da mangiare, gradito agli occhi e desiderabile per acquistare saggezza…” (Gen 3,6). Qui si ripete quanto detto in Gen 2, ma con un elemento nuovo: la donna vide che l'albero era anche “desiderabile per acquistare saggezza”. Si tratta della saggezza di quanti hanno accumulato oro e argento e hanno esteso i propri poteri (cf. Ez 28,1-10). La donna che cerca la sapienza-potere prende il frutto dell'albero della conoscenza, ne mangia e ne dà al marito, che è con lei, e anch'egli ne mangia. Allora si avvera paradossalmente la promessa del serpente: “ si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi…” (Gen 3,6-7).
Dopo il peccato, l'uomo e la donna si accorgono di essere “spogliati” di ogni potere e dignità. All'armonia originaria della coppia creata da Dio - essere nudi non è motivo di vergogna, cf. Gen 2,25 - subentra la nudità di chi scopre il limite della mortalità come propria condizione. Anche il conflitto all'interno della coppia, con la dominanza del maschio e la sudditanza e sfruttamento della donna fa parte di questa tensione verso il potere. Il peccato spezza l'armonia all'interno della coppia e tra la coppia e la terra come habitat.
La coppia originaria si chiama ’ish, “uomo-marito”, e ’isháh, “donna-moglie” come dice Adam davanti alla donna presentatagli da Dio: “Questa volta essa è carne della mia carne, osso delle mie ossa, la si chiamerà ’Isháh perché da ’Ish - uomo - è stata fatta.” (Gen 2,23). La corrispondenza dei nomi significa simmetria delle relazioni all'interno della coppia. Con il peccato primordiale questa armonia si spezza. Il desiderio della donna sarà rivolto all'uomo, ma questi sarà il suo padrone o dominatore (Gen 3,16). A sua volta l'uomo con fatica dovrà procurarsi il pane per vivere dalla terra arida e sterile fino a quando tornerà alla polvere dalla quale è stato tratto (Gen 3,17-19). Sullo sfondo si profila il dramma della morte che solo in parte viene compensata con i parti dolorosi della donna. La condanna dell'uomo al lavoro fino alla morte si conclude con questa frase: “L'uomo chiamò la moglie Eva, perché essa fu la madre di tutti i viventi” (Gen 3,20). Il nome nuovo dato alla ’Isháh è Chavah - “Eva”, che significa appunto “madre che dà la vita”. Il racconto biblico del peccato primordiale si conclude con la definitiva esclusione dell'essere umano dal giardino di Eden, dove si trova l'albero della vita.
3. La promessa della vittoria
Nel dramma della Genesi il peccato e la morte sono associati con la tentazione del sapere-potere rappresentata dal serpente. Nel libro della Sapienza, dove si rilegge la pagina della Genesi, si afferma che “Dio ha creato l'essere umano per l'immortalità, ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo e ne fanno esperienza coloro che gli appartengono” (Sap 2,23-24). In effetti nel racconto genesiaco della caduta l'unico protagonista colpito dalla maledizione di Dio è il serpente condannato a strisciare nella polvere come i nemici vinti. Inoltre Dio stabilisce un conflitto permanente tra il serpente e la donna annunciando nel contempo la vittoria sul serpente nella discendenza dalla donna: “Io porrò inimicizia tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno” (Gen 3,15).
L'immagine del serpente vinto dal figlio della donna richiama i testi del profeta Isaia, dove si parla della nascita di un discendente nella stirpe di Davide al quale Dio assicura la vittoria sui nemici e il consolidamento della pace fondata sulla giustizia (cf. Is 9,1-6; 11,1-9). Nella tradizione di Isaia il regno ideale promesso da Dio è rappresentato dal mondo degli animali, dove è superata la legge della violenza alimentare: “Il lupo e l'agnello pascoleranno insieme, il leone mangerà la paglia come un bue” (Is 65,25ab; cf. 11,7). Il serpente invece dovrà scontare per sempre la maledizione della Genesi: “Ma il serpente mangerà la polvere” (Is 65,25c). La figura negativa del serpente-diavolo, che ha introdotto nel mondo la morte, permane nell'atteggiamento del vinto. Nel conflitto storico tra bene e male, tra vita e morte, Dio si schiera dalla parte dell'essere umano, restando fedele alla promessa fatta a favore del discendente della donna.