Mosè, ritratto di un legislatore
di Jacques Briend *
Fornire un ritratto di Mosè è un’opera rischiosa: non possediamo per crearlo che i soli elementi fornitici dalla Bibbia. Già vent’anni fa, R. Martin-Achard, un grande specialista dell’Antico Testamento, scriveva: «Esistono tanti ritratti di Mosè quanti sono gli autori che gli hanno dedicato uno studio». Può lo storico tracciarne una figura più obiettiva dopo aver esaminato tutti i testi che parlano di Mosè? Non è sicuro, perché è difficile ritrovare i momenti qualificanti di un’esistenza che una ricca tradizione ci presenta sotto molteplici prospettive.
Se non si considera il nome stesso di Mosè, che è molto probabilmente di origine egizia, si conoscono poche cose sul personaggio e sull'inizio della sua esistenza. Certamente si potrebbe citare qui il capitolo 2 del libro dell'Esodo che rievoca brevemente la sua infanzia e la sua adozione da parte della figlia del Faraone (Es 2,1-10). Un tale racconto non fa che tradurre secondo le categorie di pensiero degli antichi il singolare destino di Mosè e il ruolo della provvidenza divina, oltre al fatto che l'esposizione si modella su racconti dell'infanzia come quello di Sargon di Akkad, re mesopotamico (2334-2279 a.C.) che la madre aveva affidato al fiume in una cesta di vimini.
Il seguito del testo biblico (Es 2,11-22) ci mostra un Mosè cresciuto e che prende iniziative a favore dei suoi fratelli di razza, ma questo cambia presto bruscamente. Mosè è costretto a lasciare l'Egitto e a fuggire in Madian, una terra straniera, nella quale si sposa. In violento contrasto con questa sua volontà di insediarsi come capo, il capitolo 3 dell’Esodo narra come, a partire dall'episodio del roveto ardente, Dio scelga Mosè per far uscire il popolo ebreo dall'Egitto, perché Dio ha inteso il grido del suo popolo. Mosè riceve da Dio una missione e nello stesso tempo si interroga per sapere come il popolo accetterà di seguirlo. Di fronte al progetto di Dio, Mosè è dapprima sensibile alle difficoltà e alle obiezioni che gli verranno da parte del popolo.
Capo del popolo e intercessore
In realtà, a più riprese, l'autorità di Mosè si scontra con le proteste e le lamentazioni del popolo per tutta la durata del cammino nel deserto. Nonostante l'uscita dall'Egitto che testimonia la potenza del suo Dio, la contestazione sembra aggravarsi, si diffonde. A partire da Es 15,22, il popolo mormora contro Mosè perché non ha acqua da bere e Mosè invoca Dio; poco più tardi Mosè ed Aronne sono accusati di avere trascinato gli Israeliti nel deserto per farli morire di fame (Es 16,3). Un'altra volta, in Es 17, 1-7, Mosè è accusato di far morire il popolo di sete. La situazione è così grave che Mosè invoca Dio e dice anche che il popolo ha intenzione di lapidarlo. Questa contestazione si ritrova anche nel libro dei Numeri che descrive la prosecuzione della marcia nel deserto, interrotta dopo Es 19. In questi racconti, Mosè si fa il portavoce del popolo presso Dio. A più riprese, quando la situazione è particolarmente grave, egli assume il ruolo di intercessore. È il ruolo che esercita in occasione dell’episodio dell’adorazione del vitello d'oro (Es 32). Mosè riceve i rimproveri di Dio e si sforza di placare la collera divina con una preghiera molto argomentata. In primo luogo, egli ricorda a Dio l'evento dell'uscita dall'Egitto in cui si è manifestata la sua potenza, e che Egli non può rinnegare, poi evoca, in caso di una punizione radicale, la reazione degli anziani: che cosa penseranno di questo Dio che fa morire coloro che ha fatto uscire dal paese d'Egitto? Infine si richiama alle promesse fatte da Dio ai patriarchi (Es 32,11-14); e Dio rinuncia a castigare il popolo.
Mosè interviene dunque presso Dio in favore del popolo e, pur riconoscendo la colpa del popolo, rimane solidale con coloro che Dio gli ha affidato: egli domanda a Dio di perdonare il peccato del popolo; se Dio non lo farà, esige che Dio lo faccia morire, anche se lui, Mosè, non ha partecipato alla costruzione del vitello d'oro (Es 32,32). Questo ruolo di intercessore - che i racconti gli attribuiscono con grande continuità - Mosè lo trova pesante da sopportare e non esita a dirlo a Dio. L'esempio più chiaro ci è dato quando il popolo nel deserto si lamenta di non avere carne da mangiare e di nutrirsi solamente della manna (Nm 11,49). Mosè sente il pianto del popolo e dichiara a Dio: «Perché hai trattato così male il tuo servo? Perché non ho trovato grazia ai tuoi occhi, tanto che tu mi hai messo addosso il carico di tutto questo popolo? O l'ho forse messo al mondo io, perché tu mi dica: Portatelo in grembo, come la balia porta il bambino lattante, fino al paese che tu hai promesso con giuramento ai suoi padri? Da dove prenderei la carne da dare a tutto questo popolo?... Io non posso da solo portare il peso di tutto questo popolo; è un peso troppo grave per me. Se mi devi trattare così, fammi morire piuttosto...!» (Nm 11,11-15). Sbalorditiva la richiesta di Mosè che non esita a dichiarare che Dio stesso deve occuparsi personalmente di questo popolo! Attraverso le parole e le immagini usate, Dio è agli occhi di Mosè la madre del popolo e spetta a lui nutrirlo. Un intervento così forte di Mosè è raro; non ha paralleli, ma rivela la vivacità del dialogo posto sulle labbra di Mosè.
Mosè, il legislatore
Per Mosè, Dio rimane il vero capo del popolo, cosa che non toglie nulla all'autorità che gli è propria e che è grande. La prova migliore è che Mosè è l’uomo dell'Alleanza e l'uomo della Legge. Solo Mosè sale, chiamato da Dio, sulla montagna (Es 19) ed è lui che legge al popolo il rotolo dell'Alleanza e gli comunica tutte le parole dette da Dio (Es 24,3-8); è sempre lui che prende il sangue dei tori per versarne una metà sull'altare che rappresenta Dio e l'altra metà sul popolo dicendo: «Questo è il sangue dell'Alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole». Se si mette da parte il Decalogo, in cui Dio si rivolge direttamente al popolo (Es 20, 1-2), le leggi sono trasmesse da Mosè ai figli di Israele (Es 20,22; Lv 1,1; Nm 36,13; Dt 28,69). Da un capo all'altro della Torà, Mosè è colui che trasmette le parole dell'Alleanza o le parole della Legge. Queste parole concernono tutti i campi dell'esistenza, compreso quello del culto e della sua organizzazione, benché Mosè non sia sacerdote. Questo denota come, in un certo senso, Mosè prevalga su Aronne, il capostipite del sacerdozio israelita. In ogni caso, la tradizione iconografica presenta Mosè come colui che riceve da Dio la Legge.
Mosè, intimo di Dio
Al di là di tutto quello che si può dire su Mosè e sul ruolo che assume nella nascita del popolo di Israele, bisogna insistere sui suoi legami con Dio, che la tradizione ha tramandato in maniere diverse. In Es 33,7-11, si scopre un Mosè che entra nella Tenda del convegno per consultarvi Dio. Il testo insiste sul fallo che Dio «parlava con Mosè», gli «parlava faccia a faccia, come un uomo parla con un altro». Quando Miriam ed Aronne criticano Mosè a proposito del suo matrimonio con una donna etiope, il testo non dice nulla della reazione di Mosè, ma fornisce dapprima la riflessione di un redattore: «Mosè era molto più mansueto di ogni uomo che è sulla terra» (Nm 12,3). Poi viene la reazione di Dio nella Tenda del convegno alla presenza di Mosè, Aronne e Miriam in un brano che merita di essere riportato per intero: «Se ci sarà un vostro profeta, io, il Signore, in visione a lui mi rivelerò, in sogno parlerò con lui. Non così per il mio servo Mosè: egli è l'uomo di fiducia in tutta la mia casa. Bocca a bocca io parlo con lui, in visione e non con enigmi ed egli guarda l'immagine del Signore. Perché non avete temuto di parlare contro il mio servo Mosè?» (Nm 12,6-8). Che cosa si può aggiungere ad una tale descrizione? Mosè è «l'uomo di Dio» (Dt 33,1) nel senso più completo dell'espressione; egli è più che un profeta, anche se spesso ha ricevuto questo titolo (Os 12,14; Dt 18,18). Alla fine del libro del Deuteronomio, dopo aver ricordato la morte di Mosè, si afferma con forza: «Non è più sorto in Israele un profeta come Mosè, lui con il quale il Signore parlava faccia a faccia» (Dt 34,10). Si ha in questa affermazione come la traccia della statura di questo Mosè di cui è difficile fare un ritratto.
* Esegeta dell’Antico Testamento, Institut Catholique di Parigi
(da Il mondo della Bibbia, n. 51)