Nascita e storia del Salterio
di Michelangelo Priotto
«Ho trascorso da solo la notte in qualche bilancio interiore e alla fine - alla luce del mio albero di Natale nuovamente acceso - ho letto i salmi, uno dei pochi libri in cui ci si trova interamente a casa, per quanto distratti, disordinati e contestati possano essere».
Così scrisse Rainer Maria Rilke, il 4 gennaio 1915, al suo editore S. Fischer. Ripercorrere la storia di questo affascinante libro biblico significa anzitutto entrare in questa dimensione orante che, al di là delle differenze storiche e culturali, accomuna uomini e donne di ogni tempo e di ogni luogo. In questo articolo si cercherà di delineare sinteticamente la storia del Salterio, a partire dalla sua collocazione nell' odierno canone biblico, fino alle domande riguardanti gli ambiti d' origine, gli autori e le forme del testo.
Il libro dei Salmi nel contesto del canone biblico
Accogliere un libro nel canone non significa semplicemente un fatto tecnico, bensì una confessione di fede; si confessa cioè che tale libro è ispirato, parola di Dio. Il libro dei Salmi occupa un posto rilevante nel canone biblico, apre infatti la terza raccolta della Bibbia ebraica, i cosiddetti Scritti (ketûbîm). G. von Rad aveva definito i salmi la risposta d'Israele all'offerta salvifica divina descritta nella torà e nell'opera dei profeti. In effetti con i salmi Dio insegna a Israele a pregare, perchè possa parlare con lui in modo vero e articolato. Israele ascoltò le parole del Signore ed imparò lentamente; tra incoerenze e peccati, a parlare con Dio. Un numero sconosciuto di autori diede voce così a questa esperienza religiosa, usando un linguaggio ricco di simboli, in una poesia parca, ma appassionata e intensa.
Tuttavia questa dimensione responsoriale dei salmi non è primaria; la loro collocazione nel canone biblico li orienta fortemente alla meditazione e alla pratica della torà. Il libro dei Salmi si apre infatti con un esplicito riferimento alla torà:
Beato l'uomo che non segue il consiglio degli empi,
non indugia nella via dei peccatori
e non siede in compagnia degli stolti;
ma si compiace della legge del Signore,
la sua legge medita giorno e notte (Sal 1,1-2).
Il criterio che distingue il giusto dall'empio e dal peccatore è precisamente la meditazione della legge e sarà ancora la legge il criterio del giudizio finale (Sal 1,5-6). Quello che la raccolta dei libri profetici asseriva a proposito del popolo viene ora applicato al singolo fedele. Dunque il Sal 1 invita a leggere tutti i salmi e tutti gli Scritti come una meditazione della legge del Signore.
La conclusione degli Scritti in 2Cr 36,22-23 precisa questa meditazione e osservanza fedele della legge, invitando tutti gli ebrei, specialmente quelli della diaspora, a salire a Gerusalemme e a ricostruire la comunità attorno al tempio. Con ciò anche i salmi, lungi dall'essere un ripiegamento individualistico del singolo fedele su se stesso, diventano un cammino ascensionale e comunitario, un nuovo esodo aperto alla multiforme e gratuita azione salvifica di Dio.
Dove nascono i salmi?
È abbastanza frequente definire i salmi come il libro dei canti e delle preghiere del secondo tempio. Certamente questa dimensione liturgica è presente nel libro biblico; sappiamo infatti che nel tempio gerosolimitano c' erano cori di cantori (cf. 1 Cr 16; Sir 50,16-21); tuttavia nessuna testimonianza afferma che questi leviti cantori del tempio abbiano cantato tutti i salmi del Salterio. Il numero dei salmi usati nella liturgia è relativamente ristretto. Dalle tradizioni rabbiniche riportate nella Mishnà risulta che si cantava il Sal 105,1-5 per il sacrificio mattutino e il Sal 96 per quello vespertino, ai quali si aggiungeva poi un salmo particolare per ogni giorno della settimana (Sal 24; 48; 82; 94; 81; 93; 92: a partire dal primo giorno, cioè dalla nostra domenica). Secondo le soprascritte i Sal 30 e 29 venivano usati rispettivamente per le feste della Dedicazione del tempio e per l' ottava della festa delle Capanne. A questi si aggiungano i salmi del cosiddetto Hallel egiziano (Sal 113-118), che venivano cantati nel contesto della celebrazione pasquale. Come appare, si tratta in ogni caso di un numero limitato di salmi.
Alcuni autori vorrebbero legare il libro dei Salmi alla liturgia sinagogale. A parte la doverosa premessa che conosciamo poco sulla nascita e sulI' organizzazione di questa istituzione postesilica, si deve ammettere che le sinagoghe sia nella Palestina che nella diaspora godevano di uno statuto notevolmente libero. Non ci sono testimonianze di un uso sinagogale dei salmi, ne è storicamente fondata l'ipotesi che i salmi sarebbero stati usati come preghiera di risposta (come il nostro salmo responsoriale) alle 150 letture della torà proprie della liturgia del sabato.
Sembra dunque che i salmi siano entrati relativamente tardi nella liturgia sinagogale e anche nella liturgia cristiana i salmi entrano solo alla fine del II sec. Nonostante ciò il Salterio è il libro più conosciuto e più amato a Qumran, nelle comunità giudaiche della diaspora ellenistica è nel Nuovo Testa- mento. A che cosa è dovuta questa popolarità?
Il Salterio all'origine è un libro di formazione personale del singolo fedele, tramite cui egli traduce a poco a poco nella sua vita l'insegnamento della torà, trova risposta agli interrogativi della fede e conforto nelle prove, ed eleva il suo cuore alla meditazione e alla preghiera.
È questo profondo radicamento nella vita quotidiana che permette al libro dei salmi una risonanza così intensa nel cuore di ogni fedele.
Il credo di Israele, testimoniato dal frammento arcaico di D t 26,5-9 e da quello più ampio e recente di Gs 24,2-13, rielaborato innicamente nel Sal 136, non è una collezione astratta di teoremi teologici ne un' esaltazione litanica dell' essenza di Dio come avviene nei 99 «bellissimi nomi» di AlIah nell'islam. Il credo di Israele è la scoperta della parola divina nella storia, che perciò non è più un' o- scura e caotica nomenclatura di eventi, ma che cela in se un progetto salvifico. Per questo anche il Salterio si spalanca sull'esistenza umana, sui lutti nazionali e sulle feste, sulla politica e sui re, sugli affetti intimi e sulle attese d'un popolo; il brusio delle strade e delle città si attenua ma non si spegne, quasi fossimo entrati in un eremo silenzioso in cui tutto tace e tutto è dimenticato.
In quest' ottica si comprende l' intima relazione del Salterio con la torà e con la sapienza; si tratta di rispondere alle sollecitazioni che la vita di ogni giorno fa alla fede con una lettura e preghiera sapienziale della torà, la sola che permette di superare il pericolo del formalismo e del giuridismo. La tradizione sapienziale contrappone sovente il giusto agli empi, formulando di conseguenza consigli pertinenti e regole di vita. Nel Salterio, e specialmente nel salmo introduttivo, questa tradizione sapienziale trova la sua impronta specifica con l'essere ricollegata alla torà: il giusto, che si dedica interamente al- la torà, è sulla strada retta e salvifica; la via dell'empio che disprezza la torà conduce alla perdizione.
Un' ulteriore conferma di questo ambito vitale in cui nascono e si sviluppano i salmi è costituito dalle numerose soprascritte che riferiscono i salmi a Davide. Come si dirà meglio sotto, questa davidizzazione costituisce un invito a leggere il Salterio nel contesto della vita del re israelitico, evitando generalizzazioni e astrazioni, per trovare poi una risposta personale ai propri bisogni.
Quando e da chi furono compilati i salmi?
Se la passata interpretazione privilegiava i singoli salmi come unità a se stanti, parallelamente si tentava di datare i singoli salmi, con esiti però molto insoddisfacenti, andando la datazione dal tempo monarchico a quello maccabaico. Oggi, in consonanza con la nuova interpretazione, si preferisce parlare di datazione del libro dei salmi! Seguendo l'argomentazione di T. Lorenzin, si può pensare che il Salterio sorga tra il 200 e il 150 a.C.
Alcuni elementi avvalorano questa datazione: le affinità linguistiche e teologiche della cornice del Salterio (Sal 1,2; 146-150) col libro del Siracide (composto verso il 175 a.C.); parimenti la parentela teologica con testi esseni trovati a Qumran e datati nella medesima epoca; la condivisione dell'ordine e del numero 150 dei salmi con la versione dei LXX, che sorge verso il 100 a.C.; la vicinanza delle raccolte finali del Salterio (Sal 90-106; 107-150) con le correnti della sapienza appartenenti alla medesima epoca.
Le soprascritte dei salmi attribuiscono 74 salmi a Davide, 12 ad Asaf, 11 ai figli di Core, 3 a Idutun, 2 a Salomone, 1 a Mosè, 1 a Etan; 48 salmi sono anonimi. Queste soprascritte non appartengono al testo ispirato e tuttavia sono importanti a motivo della loro antichità (sono già conosciute dalla versione dei LXX). Appartengono a gruppi giudaici legati alla spiritualità dei poveri di YHWH. La maggior parte di esse attribuiscono i salmi a Davide. Questa convinzione affonda le radici nel ricordo di Davide cantore e suonatore di cetra (cf. 1 Sam 16,18; 18,10; 2 Sam 1,17ss; 3,33; 6,5; Am 6,5) e nella presentazione da parte del Cronista di Davide come fondatore del culto (cf. 1 Cr 15.16). Così nei due secoli prima della nostra era Davide diventa l'autore dei salmi, il prototipo per eccellenza di ogni cantore. Una chiara testimonianza si trova a Qurnran, dove una nota del grande rotolo dei salmi attribuisce a Davide 5050 lodi (11QPs).
Se dal punto di vista letterario la questione della paternità davidica dei salmi da tempo è stata risolta in senso negativo, il significato davidico dei salmi conserva tutto il suo valore. Davide è il modello di un re benedetto dal Signore; così la preghiera dei salmi suscita la speranza messianica di un nuo- vo Davide. Davide è anche il prototipo del giusto perseguitato e dunque il rappresentante di tutti i giusti sofferenti. Scrivere nella soprascritta «salmo di Davide» significa dunque non soltanto evocare la condivisione delle medesime sofferenze e persecuzioni sofferte da Davide, ma soprattutto proclamare la salvezza e la liberazione operate da Dio, proprio come era avvenuto per il re israelita dopo la persecuzione di Saul o di Assalonne.
Un testo vivente
I salmi furono composti in ebraico. I manoscritti sono relativamente recenti, databili verso la fine del primo millennio d.C.; essi sono il Codice di Aleppo (verso il 930 d.C.) e il Codice di Leningrado (verso il 1008 d.C.). Numerosi frammenti di salmi canonici sono stati ritrovati a Qumran, soprattutto nella grotta IV (18 manoscritti) e XI (5 manoscritti). Questi testi di circa mille anni anteriori al testo masoretico documentano uno stadio di graduale fissazione del Salterio canonico, che nel I sec. a.C. godeva ancora di un certo stato di fluidità.
Il testo di numerosi salmi è lacunoso in molti punti e documenta un complicato processo di trasmissione. Alle difficoltà generali di ogni tradizione testuale sono da aggiungersi le difficoltà intrinseche relative all' origine e all 'uso del Salterio. In effetti i salmi, composti lungo un arco temporale di sei o otto secoli, furono originariamente cantati e trasmessi oralmente. Dopo la loro redazione scritta vennero sottoposti a un interminabile processo di copiatura e di adattamento alle condizioni storiche e liturgiche di Israele. Tutti questi elementi contribuiscono a fare del Salterio il libro dell' Antico Testamento che impegna più a fondo il critico testuale.
La traduzione più antica e più importante è quella greca, conosciuta come la Settanta (LXX), risalente alla fine del IIsec. a.C. La sua importanza, più che nella qualità della traduzione che appare abbastanza mediocre, consiste soprattutto nell' essere il testimone di un testo ebraico più antico rispetto al nostro testo masoretico; per cui molte presunte incongruenze della LXX rispetto al testo masoretico si possono spiegare se si riconosce che il testo ebraico utilizzato dai traduttori greci fosse leggermente diverso da quello che noi conosciamo. La versione dei LXX acquistò subito una grande importanza e divenne il testo ufficiale della Chiesa primitiva. La maggioranza delle citazioni del salmi nel Nuovo Testamento (l' 85%) infatti sono prese da questa traduzione e così i grandi commentatori della Chiesa antica, come Eusebio, Origene, Teodozione, Basilio, ecc., leggono e interpretano i salmi su questa traduzione.
Fin dal tempo di Tertulliano (nato attorno al 160 d.C.) esisteva già in Africa un Salterio latino tradotto dalla LXX, scrupolosamente fedele al testo greco, con una certa rozzezza però, che fece quasi subito sentire il bisogno di rimaneggiamenti più o meno profondi. Per l' enorme uso del Salterio e il grande amore ad esso, si moltiplicarono revisioni e correzioni e così nacquero i Salteri africano, mozarabico, romano, ecc. Tutto questo complesso materiale viene ora compreso sotto il nome di Vetus latina. Fra il 383 e il 384 Girolamo fece una prima revisione sulla LXX del Salterio della Vetus latina in uso a Roma; insoddisfatto ne fece una seconda, in Palestina, più accurata. Questo secondo testo, fedelissimo all' originale greco e alla lingua rustica della versione precedente, entrò in vigore in Gallia prima che altrove, donde prese il nome di Salterio gallicano. Il favore di questo Salterio fu tale che esso rimase non solo nei testi liturgici, ma dopo qualche oscillazione entrò definitivamente nel corpo della Vulgata. Così per secoli, fino alla riforma del concilio Vaticano II, la Chiesa latina e le Chiese d'Oriente hanno pregato in latino e in greco il medesimo testo del Salterio, il venerando testo della LXX.
Ora leggiamo e meditiamo i salmi nelle moderne traduzioni, che per lo più seguono il testo masoretico. Commenta Alonso Schökel:
Se la Bibbia è il «grande codice», il libro più tradotto della letteratura universale, all'interno della Bibbia sono i Vangeli e i Salmi a riportare la palma dei libri più tradotti: È giusto, nonché opportuno, che di questo grande repertorio si facciano varie versioni, secondo epoche, funzioni e gusti. In prosa o in verso, più letterali o più libere, per la recitazione corale, per il canto o per la preghiera universale.
(da Parole di Vita, n. 1, 1995)