Formazione Religiosa

Giovedì, 03 Maggio 2007 02:20

Lezione nona. Il profetismo

Vota questo articolo
(3 Voti)

Lezione Nona

IL PROFETISMO

 

 

Nel cammino della storia salvifica l’incontro del Dio vivente con l’umanità rappresentata da Israele, avviene mediante continue esperienze religiose tramite alcuni personaggi che svolgono dei ruoli particolari per tutto il corso di svolgimento dell’economia divina di salvezza.

 

Il movimento profetico è una delle strutture portanti sia della comunità israelitica, sia della chiesa.

I profeti hanno un posto centrale nella storia e nell’economia della salvezza, sia dal punto di vista cronologicoteologico (evolvono la primitiva tradizione sacra sino alle forme della più alta religiosità). Ciò che i profeti annunciano con la parola, lo vivono e lo testimoniano in maniera efficace. (abbracciano tutto l’arco di storia durante il quale si è verificata la rivelazione, dalle origini al compimento), sia dal punto di vista

Essi accompagnano e promuovono tutta l’evoluzione storica, religiosa, politica e sociale d’Israele fino ai nuovi tempi inaugurati da Cristo. Meritatamente i loro scritti occupano, accanto alla Thorah, un posto primario: ad essi la fede cristiana fa riferimento come a momento costitutivo della rivelazione (nel Simbolo niceno-costantinopolitano si professa: «Credo in Spiritum Sanctum… qui locutus est per prophetas»).

1. Il profeta e la storia

Uno dei tratti più tipici del profetismo biblico è il legame intimo tra il suo annuncio e la storia di salvezza. Sono principalmente i profeti a rivelare il nesso salvifico tra gli eventi storici del presente, del futuro e del passato.

1/ Il presente

I profeti sono essenzialmente “messaggeri” e “predicatori”, perciò il loro messaggio è strettamente collegato alle situazioni e ai problemi dell’epoca storica in cui vivono. Essi sono attenti a svelare come Dio sia presente in ogni situazione concreta. Questa presenza divina e concreta è richiamata continuamente dai tipici appelli profetici: “ascoltate”; “osservate”; “cercate Jahwé” (Am. 5,6); “riconoscete Dio” (Os. 6,3); “abbiate fede”; “state calmi”; “abbiate fiducia” (Is. 7,9; 30,15); “convertitevi” (Ger. 36,3; Ez. 18,32).

Dal profeta si attende la risposta a questioni ben precise (1 Macc. 4,46; 14,41). Per questi riferimenti alla situazione del momento la parola profetica si distingue dagli insegnamenti dei libri sapienziali, che offrono verità e massime più teoriche e astratte, non legate al tempo e alla storia (N. Füglister, Profeta, in Dizionario teologico, II, p. 740).

2/ Il futuro

Certo, il profeta guarda anche al futuro. Tuttavia le dichiarazioni profetiche sul futuro sono sempre fatte in funzione al presente. Il richiamo agli eventi futuri (il giudizio, la salvezza, la venuta di Dio) è sempre molto concreto, anche se essi sono presentati in una prospettiva priva di una successione cronologica. Il profeta vede tutto vicino: Dio è concepito già in arrivo e la salvezza o rovina futura sovrastano da vicino. Si noti tuttavia che la prospettiva del futuro non è prevalente sull’annuncio profetico.

3/ Il passato

Nel messaggio dei profeti la storia presente e quella futura è radicato nel passato. Il profeta è un costruttore di un edificio già iniziato. Il suo compito consiste nel conservare intatto o ricostruire il divenire storico di Israele e la genuina fede in Jahwé da ogni contaminazione, falsificazione e banalizzazione.

Tutto il messaggio profetico è in funzione di questo compito storico salvifico. Nella visione dei profeti, così presente nella fonte J e D, l’antica storia israelitica costituisce per se stessa una profezia. Nella meditazione del passato, alla luce della loro esperienza del presente e del loro incontro con Dio, i profeti sono stati i primi teologi della storia salvifica.

2. Quadro storico del profetismo biblico

1/ I profeti dell’antichità ebraica

Fin dalla più remota antichità il popolo ebraico è stato assistito e guidato da uomini insigniti della particolare missione da parte di Dio.

ABRAMO (1850-1750), padre del popolo eletto, è nabì (profeta). Chiamato da Dio, gode di una particolare intimità con Lui (“amico di Dio”), è un potente intercessore (Gen. 12,20); a lui Dio svela i suoi decreti e fa la promessa (Gen. 18).

Tutti gli altri patriarchi sembra che siano stati insigniti del carattere profetico (Gen. 26; 28; 35;…).

MOSE', soprattutto a partire dal sec. VIII, viene ritenuto come profeta, anzi, il primo di essi, per la sua intimità con Dio, l’autorità della sua parola e la forza di intercessione (Es. 32).

MYRIAM, sorella di Mosé, è detta pure nabiah (profetessa), si ricordi il suo cantico di gioia per l’uscita del popolo dal Mar Rosso (Es. 15,20-21).

I SETTANTA ANZIANI hanno lo spirito di Dio ricco di entusiasmo.

2. Al tempo dei Giudici.

In questo periodo la parola di Dio si fa sentire più di rado e le visioni non sono frequenti.

DEBORA, profetessa, giudica il popolo (Gdc. 4,4).

3. Al tempo di Samuele

Dal sec. XI al sec. VIII il profetismo si sviluppa molto. Da quel periodo fino a Malachia (450) la serie dei profeti è quasi ininterrotta.

SAMUELE fu dichiarato solennemente profeta (1 Sam. 3). La sua importanza è notevole sia sul campo strettamente religioso (esorta il popolo a intercedere per lui), sia su quello politico (egli struttura diversamente l’ordinamento di governo del popolo ebraico, istituendo la monarchia e dirigendola nei suoi primi passi).

Al tempo di Samuele esistono in Israele dei collegi di profeti, specie di confraternite religiose, situate per lo più presso i luoghi di culto: Gabaa, Naioth, Samaria, Gerico, Galgal, Betel. Tali profeti avevano soprattutto il compito celtico di proferire oracoli. La loro posizione religiosa fu spesso di guida del popolo e di baluardo contro il culto di Baal e l’idolatria in genere. Conducevano vita in comune, povera, e con obbedienza al capo del gruppo. Vestivano pellicce e cinture di pelli; forse recavano un contrassegno sulla fronte. Profetavano estaticamente con fenomeni di suggestione individuale e collettiva. L’entusiasmo era suscitato da canti, musiche e danze. Questo tipo di profetismo ebraico è illustrato bene da 1 Sam. 19,20-24. Da tali collegi di profeti escono Natan e Gad (che esercitarono la loro funzione nell’aula reale di David), Ahia, Semeis, Elia, Eliseo, Michea.

4. Aberrazioni

In mezzo ai veri e autentici profeti, nella Bibbia, si trova anche un certo numero di falsi profeti o profeti di menzogna, i quali profetizzano in nome di Dio senza averne avuto il mandato o falsificano il messaggio divino. Cfr. Ger. 14,14. Costoro lottano accanitamente contro i veri profeti. Il criterio per distinguere i veri dai falsi profeti è contenuto in Dt. 18, 21-22:

– aa) le profezie di questi ultimi non si adempiono;

– bb) seducono il popolo con spettacoli e falsi prodigi; lo adulano e ne assecondano i gusti senza preoccuparsi di portarlo a Dio;

– cc) non possono giustificare la loro missione con una chiamata specifica da parte di Dio.

5. I profeti scrittori

A partire dal sec. VIII inizia l’epoca classica del profetismo israelitico, che dura fino al periodo post-esilico. Sono i grandi profeti conosciuti, dei quali ci occuperemo in seguito: Amos, Osea, Isaia, Michea, Sofonia, Geremia, Baruc, Habacuc, Nahum, Ezechiele, Daniele, Abdia, Aggeo, Zaccaria, Malachia, Gioele, Giona (il libro).

6. Origine e natura del profetiamo

a) Profetismo extra-biblico

Nelle civiltà coeve e circonvicine ad Israele esiste un tipo affine di profetiamo. Ne resta traccia nei documenti letterari, religiosi e nei reperti archeologici. La Mesopotamia è addirittura la patria della mantica (arte della divinazione) come istituzione statale. Sono note le tecniche divinatrici all’epoca di Hammurabi. Anche per la Fenicia e Canaan restano numerose testimonianze dei fenomeni estatici ed oracolari durante il culto nei reperti di Ras Shamra (Ugarit) e nelle steli e iscrizioni di Byblos.

Si noti come in tale tipo di profetismo hanno grande peso i fenomeni esteriori; manca l’idea di elezione e di vocazione particolare del profeta da parte di Dio. Esistono certo delle somiglianze con il sistema profetico del Vicino Oriente antico, in cui uomini ispirati trasmettevano in vari modi la parola di Dio ai loro correligionari.

Nella misura in cui la religione israelitica aveva dei tratti in comune con quella degli altri popoli, si esprimeva in istituzioni affini, di cui una era il profetismo.

Nella misura però in cui la religione d’Israele era a se stante nel mondo Vicino Orientale antico, il suo profetismo fu diverso da quello degli altri popoli (cfr. B. Vawter, Introduzione alla letteratura profetica, in Grande Commentario Biblico, Queriniana, Brescia, p. 291).

b) Profetismo biblico

Il periodo arcaico del profetismo israelitico ha delle affinità con quello extra-biblico fenicio e cananeo. Secondo alcuni studiosi sarebbe addirittura una istituzione di tipo cananeo, utilizzata poi e purificata dalla religione Jahwistica.

I nomi con i quali si designa colui che è stato insignito da Dio della vocazione profetica sono molti e significativi rispetto alla funzione che designano:

nabi = che bolle (eccitato); oppure, chiamato

roeh = veggente

hozeh = visionario

ish ha Elohim = uomo di Dio

ebed Jahwé = servo del Signore

malak Jahwé = nunzio di Dio

zofeh = sentinella

somer = custode

ro’eh = pastore.

3. Struttura del profetismo biblico

La struttura essenziale del profetiamo biblico si compone di tre costanti che si compenetrano:

– il rapporto del profeta con Dio;

– l’affidamento di una missione;

– l’ufficio di mediatore.

1. Il rapporto specifico del profeta con Dio emerge prima di tutto dall’incontro con Jahwé al momento della chiamata: è un rapporto unico nel suo genere, di concezione individuale, diretta e divino-umana.

Il profeta è scelto da Dio e santificato, cioè messo da parte (Ger. 1,5). La mano di Jahwé giunge su di lui (1 Re, 18,46), lo tocca (Ger. 1,9) e pesa su di lui (Is. 8,11; Ez. 3,14). Egli è afferrato dal Signore (Am. 7,15), sopraffatto e sedotto (Ger. 20,7); è preso dalla Spirito (Ez. 2,2), assalito (Ez. 11,5; 1 Sam 10,6.10; 19,20.23), irrorato (Gioe. 3,1), unto (Is. 61,1; 1 Re 19,16). Egli è talmente un «uomo dello Spirito» (Os. 9,7) da suggerire al giudaismo rabbinico l’identi­ficazione tra lo «Spirito Santo» e lo «Spirito della profezia» (N. Füglister, Profeta, in Dizionario teologico, II, p. 733).

Sequestrato da Dio, il profeta diviene l’uomo di Dio (ish ha ‘Elohim), amico e confidente di Dio, introdotto a comprendere i suoi piani e le sue intenzioni (Am. 3,7; Sap. 7,27).

L’assunzione al servizio divino è compendiata nella significativa designazione del profeta come servo di Jahwé (‘ebed Jhwh) (2 Re 9,7; Ger. 7,25; Ez. 38,17; Zac. 1,6).

2. La seconda componente essenziale del profeta biblico è l’affidamento di una missione. Il profeta è «uomo di Dio» e «servo di Jahwé» perché è stato assunto da Dio al suo servizio, per lavorare per lei. Per questo Dio gli comunica il suo Spirito: è scelto per essere inviato (Is. 6,8; Ger. 1,7; 14 ss.; Ez. 2,3). In quanto inviato di Dio egli è messaggero di Dio (malak-aggelos) (Is. 44,26; Ag. 1,13; Mal. 3,1) e bocca di Dio (Ger. 15,19). Per questo egli può introdurre il messaggio con espressioni come: «così parla Jahwé»; «ascoltate la parola di Jahwé», «oracolo di Jahwé». Il mezzo particolare con cui Dio comunica al profeta la sua parola è l’ispirazione divina e la rivelazione: una misteriosa illuminazione dell’intelligenza e delle altre facoltà, che può avvenire in vari modi: tramite visioni e colloqui che colpiscono i sensi esterni, una visione interna opuure mediante una rivelazione immediata. L’annuncio profetico si compie mediante forme che corrispondono alle capacità di coloro che devono ricevere la parola di Dio. Comunemente mediante la parola e la predicazione il profeta diventa la «bocca di Dio»:

«Ecco, io metto nella tua bocca le mie parole» (Ger. 1,9)
«Tu sarai come la mia bocca» (Ger. 15,19).

Mediante azioni simboliche: Isaia cammina nudo e scalzo per far comprendere che gli Egiziani e gli Etiopi sarebbero stati prossimamente deportati (Is. 20,1-6). Osea deve sposare una prostituta per indicare che anche Israele «si prostituisce» abbandonando l’Eterno (Os. 1,2).

Mediante la parola scritta o trascritta in seguito (come per Ez. e Dan.).

Le forme letterarie che rivestono il messaggio profetico sono varie: oracoli (solenni dichiarazioni della volontà di Dio), i racconti biografici o autobiografici, l’esortazione, ecc.

3. Il profeta è anche mediatore tra Jahwé e Israele. Egli non è solo a servizio di Dio, ma anche servo di Israele. Così egli parla al popolo in nome di Dio e a Dio in nome del popolo. Questa funzione mediatrice si manifesta in modo particolare nell’intercessione (1 Sam, 12,17-25; 15,11; Am. 7,2.5; Ger. 18,20: 42,2-4).

Due esempi classici delle costanti del profetiamo si hanno nella vocazione di Isaia e di Geremia (Ger. 1,4-19). Prendiamo in esame, in particolare: Is. 6,1-13.

Analisi del testo

6,1: Datazione esatta dell’avvenimento: l’anno della morte di Ozia, cioè circa il 740 a.C.

1-4: La visione. È una teofania (= apparizione di Dio) in cui Dio è contemplato nella gloria del suo tempio; assiso come un re orientale su un alto trono e adorno di un ampio manto. Dio riempie la scena con la sua grandezza e onnipotenza maestosa, come un re dell’universo. Intorno a lui si trovano dei Serafini.

2: Il coprirsi la faccia dei Serafini significa che nessuna creatura può contemplare il volto di Dio senza morire.

3: L’acclamazione “santo” ripetuta tre volte equivale al superlativo “santissimo”. La santità di Jahwé è la sintesi della sua trascendenza e della sua presenza in mezzo al popolo. La “gloria” è la manifestazione della grandezza e santità divine.

4: I fenomeni tellurici, le voci e il fumo sono particolari elementi delle teofanie.

5-8: Effetti della visione sul profeta.

5: La prima reazione del profeta è un profondo senso di sgomento perché, a contatto con la santità eccelsa di Dio, acquista coscienza non di aver peccato, ma di essere peccatore. Le “labbra” saranno l’organo dell’annuncio della parola, e quindi le più bisognose di essere mondate. «E in mezzo ad un popolo…»: solidarietà del profeta con il suo popolo.

6: Il gesto del Serafino ha un significato simbolico: significa purificazione e adeguamento del profeta alla missione.

8: Dio si consulta con la corte celeste sull’uomo da inviare. Isaia si offre prontamente e senza esitare per la missione che Dio gli affiderà.

9-10: La missione. Le parole di questa missione lasciano sbigottiti. Ci si attenderebbe una missione di salvezza, e invece ci troviamo di fronte all’esplicito invito di Dio ad operare l’indurimento del popolo. Per alcuni i verbi sarebbero da interpretare in maniera concessiva e permissiva in senso di «dar occasione di». Oppure, secondo un gruppo di esegeti, potrebbe significare: «ti mando ad un popolo di cocciuti… La tua predicazione sarà inutile. Tuttavia, va’; così non avranno più scuse…». Un autore, invece, dà questa interpretazione: «Non dobbiamo dimenticare che Isaia qui sta rivivendo l’esperienza della sua vocazione a distanza di anni, in una condizione di spirito di amarezza per il constatato rifiuto che il popolo pertinacemente oppone ai richiami di Jahwé. In questo stato d’animo è troppo naturale che egli carichi le tinte tragiche della sua missione. Le carica, dunque; non le crea» (F. Montagnini, Il libro di Isaia, Brescia, p. 230).

Ma potrebbe anche trattarsi di un modo enfatico di esprimersi, quasi che Dio voglia suscitare una reazione nel suo popolo; le parole potrebbero essere intese come una minaccia nell’intento d’indurre Israele a ritornare a Dio.

11-13: Risultato finale. Il profeta inizia già ad esercitare la sua missione di intermediario tra il Signore e il suo popolo. Il profeta ha «confidenza di dire tutto» (parresia) a Dio, d’intercedere per la patria che egli ama. Dio risponde che il castigo durerà finché non ci sarà la deportazione e l’esilio. Solo una decima parte sarà salvata. La nazione è paragonata ad una foresta, di cui restano dei ceppi nel terreno. Da quei ceppi nasceranno dei polloni (il resto). Nello stile profetico, che ama le allusioni discretamente velate, Isaia parla di due catastrofi (vv. 12 e 13). La superstite «decima parte» del popolo e della terra promessa designa il resto di Giuda. «Più di una volta, infatti, specialmente nei testi profetici, il rapporto di uno a dieci indica la proporzione che corre tra Giuda e Israele» (F. Montagnini, Il libro di Isaia, cit. p. 232).

Conclusione: Il profetismo alla luce di Cristo

Cristo irradia nuova luce su tutto il messaggio profetico. Con il suo apparire si ridesta la profezia, assopita negli ultimi tempi della storia israelitica. Gesù è il profeta, atteso per il tempo messianico (Gv. 6,14).

Egli consacra la speranza dei profeti e realizza il disegno di salvezza del Padre. Egli continua e completa la parola dei profeti: è la parola di Dio fatta carne: «Iddio, dopo avere molte volte e in molte maniere parlato anticamente ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del suo Figlio» (Eb. 1,1-2). Egli è non solo “bocca di Dio” ma la parola stessa di Dio.

Bisogna dire tuttavia che Cristo non si capisce senza i profeti. Gli Evangelisti e gli scrittori del N.T. si preoccupano di confermare e provare la verità della missione di Gesù mediante la testimonianza dei profeti.

A partire dalla Pentecoste secondo il messaggio della comunità primitiva espresso per bocca di Pietro (At. 2,14ss), lo Spirito di Dio viene comunicato «ad ogni carne» (Gl. 2,8 è citato espressamente da Pietro) sicché i credenti in Cristo Gesù sono costituiti in un nuovo popolo profetico.

Il carisma profetico continua nel seno della nuova comunità messianica accanto ed insieme ad altre funzioni o cariche istituzionali: l’apostolo, il maestro (didaskalos) e gli anziani (presbyteri).

«Tutta la Chiesa ha una missione profetica: essa è incaricata di far conoscere a tutte le nazioni la nuova Alleanza e di tramandare loro le sue necessità in funzione del presente: scruta attraverso i secoli la Rivelazione ricevuta per meglio scorgerne le ricchezze; mantiene la speranza del compimento di questa Alleanza al momento del ritorno del Signore. In comunione con la Chiesa e con i suoi capi, successori degli apostoli, ogni cristiano, al posto che gli compete, partecipa a questa missione profetica» (P. de Surgy, Le grandi tappe del mistero della salvezza, p. 122).

Per un approfondimento ulteriore del profetiamo neotestamentario e nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium, cfr. B. van Leeuwen, La partecipazione comune del popolo di Dio all’ufficio profetico di Cristo, in La Chiesa del Vaticano II, a cura di G. Barauna, trad. it., Firenze, pp. 465-490.


Bibliografia

N. Füglister, Profeta, in Dizionario teologico, cit. pp. 725-751.

B. Vawter, Introduzione alla letteratura profetica, in Grande Commentario Biblico, Brescia, pp. 289-306.

F. Festorazzi, Il popolo di Dio e i suoi educatori, in Introduzione alla storia della salvezza, cit., pp. 99-114.

G. Ravasi, I Profeti, Milano.

H. Günkel, I Profeti, Firenze.

P. De Surgy, Le grandi tappe del mistero della salvezza, cit., pp. 103-123.

Letto 7967 volte Ultima modifica il Venerdì, 18 Novembre 2011 16:12
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Search