Formazione Religiosa

Martedì, 07 Agosto 2012 21:51

Liturgia... quale futuro?

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Non può trattarsi qui di fare delle profezie ben circoscritte sul futuro; è questione piuttosto di alcune deduzioni a partire dalla fede cristiana e di desideri che si fondano sulle esperienze della recente riforma liturgica.

1. Considerazioni dì principio

L’interrogarsi sulla liturgia del futuro suppone già una risposta affermativa alla domanda fondamentale se anche in futuro ci sarà una liturgia. Questa risposta si basa sulla fede che il dono salvifico che Dio fa di sé all’uomo in Cristo è qualcosa di permanente, finché ci sono uomini sulla terra. La croce e la risurrezione di Cristo, come pilastri di questa fede, mantengono la loro forza di irradiazione. Essi sono il sole che non conosce tramonto. Nello stesso tempo alla chiesa, quale comunità dei credenti e dei redenti, è promessa una durata ininterrotta in forza della permanente presenza del Signore (cfr. Mt 28,20) e del suo Spirito (Gv 14,16 ecc.). Perciò ci saranno sempre di nuovo uomini che si aprono alla chiamata di Dio e gli obbediscono e nella memoria delle azioni salvifiche passate di Cristo ne attendono con ansia il compimento attraverso, con e in Cristo stesso.
Poiché accanto al sommo sacerdote divino anche l’uomo mutevole è soggetto della liturgia si capisce facilmente che deve essere in programma una mutazione di forme. Già la SC afferma che la liturgia contiene una parte immutabile in forza della istituzione divina e insieme però anche «parti suscettibili di cambiamento, che nel corso dei tempi possono o anche devono variare, qualora in esse si fossero insinuati elementi meno rispondenti alla intima natura della stessa liturgia, o si fossero resi meno opportuni» (21). Chi considera gli studi di A. L. Mayer sulla liturgia nella storia spirituale d’Europa (1), ne ricava un concreto insegnamento orientativo. In certo senso vale anche qui il detto di F. W. Weber: «E giacché i giorni nuovi si edificano sulle rovine dei vecchi, un occhio non offuscato volgendosi all’indietro sa guardare innanzi» (2).

2.  La recente riforma e i suoi risultati

Già il presente mostra una quantità quasi sconcertante di forme e di fatti riguardanti le assemblee e le azioni liturgiche. Sulla base del lavoro preparatorio della scienza liturgica e del movimento liturgico, il Vaticano II e i gruppi di lavoro costituiti in seguito a esso poterono, nel senso di SC 21, rielaborare e arricchire la «liturgia formatasi in maniera organica» (J. A. Jungmann). Scopo ultimo era, attraverso una liturgia rinnovata, di «far crescere ogni giorno più la vita cristiana tra i fedeli» (SC 1); quindi rinnovamento della chiesa attraverso un rinnovamento della liturgia. Il concilio aveva spiegato espressamente che i mutamenti sono giustificati solo quando lo richiede «una vera e accertata utilità della chiesa» (SC 23).
Chi cerca, con la necessaria conoscenza della storia e della materia, di valutare questo processo di riforma unico per estensione e intensità, deve giungere a un giudizio positivo anche se taluni punti della riforma portano i segni di compromessi necessari. È noto che un convoglio può essere veloce solo come la più lenta delle navi. Tuttavia si può affermare: i riti sono divenuti più chiari e trasparenti, i testi più ricchi di teologia biblica. Da una precedente “liturga clericale” ne è venuta una liturgia della comunità, aperta a una attiva e consapevole partecipazione dei fedeli. La flessibilità di esecuzione dei riti, nel senso della possibilità di scelta e di scambio, e della libera messa in opera, ha raggiunto in confronto a prima un considerevole livello. L’elemento della libertà è così grande che anche oggi vale ancora per molte comunità ciò che il cardinale Hermann Volk esprimeva come supposizione al terzo congresso liturgico tedesco a Magonza nell’aprile 1964, «che noi presto potremo assai più di quanto ora già possiamo» (3).
Tuttavia ci furono e ci sono voci di dissenso. Esse vengono da direzioni opposte: per gli uni si è riformato troppo poco, per gli altri la riforma è andata troppo avanti. Chiaramente si ha qui una conferma che la riforma si muove su una linea media, a proposito della quale il proverbio dice che la verità sta nel mezzo.
Tuttavia non corrisponde a giustizia quando i criteri di entrambe le parti stigmatizzano la riforma liturgica come la causa di una diffusa crisi di fede e di una indifferenza liturgica. Chi è in grado di valutare l’atteggiamento spirituale della gente sarà d’accordo con l’affermazione del cardinale di Colonia Joseph Höffner per cui il clima generale non è favorevole alla fede. Se però cala il livello della fede si abbassa anche la disponibilità per la liturgia. L’irruzione del “secondo Illuminismo” in una “religione popolare” tradizionale sarebbe diventato probabilmente senza il concilio e la riforma liturgica ancora più devastante. Si può tuttavia registrare il fatto che un gruppo piccolo ma crescente di persone vive consapevolmente della fede e trova la sua fonte nella liturgia domenicale rinnovata. (4)
Certo anche la liturgia dopo il Vaticano II non ha ancora esaurito la sua capacità di miglioramento. Si pensi ad es. alla traduzione dei testi latini in parte ancora insoddisfacente, al contenuto spesso piatto e stereotipo di talune orazioni tradizionali, ai punti deboli nell’Ordo lectionum Missae, al lavoro ancora incompiuto della creazione di nuove preghiere e canti liturgici, e a taluni segni e rubriche superati, che hanno un carattere più di museo che di attualità. Anche per la liturgia vale ciò che è vero per l’intera chiesa, che è semper reformanda, e cioè sempre bisognosa di riforma. Solo occorre tener presente che nello sforzo per una riforma liturgica l’impazienza è una cattiva consigliera.

3. Aspetti di una liturgia del futuro

a) La problematica libertà-ordinamento nella liturgia

Per la liturgia del futuro bisogna mirare a un’armonica composizione tra libertà e ordinamento, soggettività e oggettività, creatività e struttura preordinata. Da una parte la moderna scienza della comunicazione (v. sopra a p. 68 ss.) ci mostra quanto siano importanti le qualità soggettive del liturgo (“colui che comunica”) per l’esito dell’informazione e del messaggio, e come solo “comunicazioni” sulla giusta lunghezza d’onda realmente giungano e vengano accolte. Per questo ci sono molte ragioni per una nota personale, creativa e aderente alla realtà nella celebrazione liturgica. D’altra parte la liturgia ha bisogno, a prescindere completamente dagli elementi immutabili, di una certa oggettività e quindi di una limitazione della componente soggettiva. Chi volesse ad ogni costo dare all’azione liturgica la “linea aerodinamica” dei vari tempi rimarrebbe per lo più indietro rispetto al rapido mutare dello stile dell’epoca e più che attirare allontanerebbe i fedeli. Inoltre il compiacimento per i prodotti della propria creatività troppo spesso rende ciechi per le proprie debolezze e difetti. Perfino uno spirito così critico come Karl Rahner dava la più grande importanza a un compimento personalizzato della liturgia di fronte a una esecuzione più rubricistica e nello stesso tempo però metteva in guardia da un’apertura indiscriminata a una messa in opera soggettiva della liturgia. «Io non sono neppure dell’opinione che ogni teologo dovrebbe comporre nuove Preghiere eucaristiche, che dopo tre settimane non si possono più ascoltare... che in ogni situazione e in ogni comunità si dovrebbe nominare ogni sacerdote come liturgo liberamente operante. Ciò porterebbe a sciocchezze peggiori di tutto ciò che si è avuto in passato e si ha oggi» . Per questo una celebrazione con una intelaiatura relativamente durevole e con testi preformulati offre migliori premesse per una liturgia ottimale.
Non si deve neppure dimenticare che in un tempo di facile manipolazione degli uomini da parte dei mezzi di comunicazione i “liturghi liberamente operanti” corrono il pericolo di introdurre accanto a unilateralità soggettive anche elementi ideologici e dottrinali che scompigliano le idee e portano confusione nelle comunità. Colui al quale ciò sembra pessimismo timoroso può essere indotto alla riflessione da esperienze corrispondenti del cristianesimo primitivo. Il vescovo e martire Ignazio di Antiochia (+ prima del 117) dalla nave che lo trasportava prigioniero scrisse lettere di ammonizione con cui scongiurava di tendere all’unità nella celebrazione della liturgia: «Sia ritenuta valida l’eucaristia che si fa dal vescovo o da chi è da lui delegato... quello che egli approva è gradito a Dio, perché tutto ciò che si fa sia legittimo e sicuro» (5). La storia della chiesa riferisce di talune epoche critiche nelle quali la liturgia tradizionale si mostrò come il mezzo più importante per il mantenimento dell’unità e come criterio della ortodossia.
Queste riflessioni non escludono che la competente autorità ecclesiastica modifichi la possibilità di una libera messa in opera della liturgia e soprattutto conceda a gruppi qualificati di sperimentare nuove forme. Però tali esperimenti devono rimanere controllabili. Solo allora essi possono fare da battistrada a una liturgia migliore.

b) Alleggerimento e riduzione dell’abbondanza di testi e di riti

Ciò che è inteso nel titolo lo illustriamo prendendo come esempio una celebrazione liturgica occidentale attorno all’anno 400. Il vescovo Agostino di Ippona, altamente stimato dai suoi contemporanei e da tutta la posterità cristiana, inizia l’eucaristia domenicale con il saluto Dominus vobiscum e prende posto alla cattedra. Il lettore inizia subito con la prima lettura. L’intero rito di introduzione da parte del sacerdote (vescovo) consiste quindi di due parole. Se lo si paragona a quello attuale si è colpiti dalla sua sovrabbondanza di riti e di preghiere: bacio dell’altare, eventualmente anche incensazione dell’altare, segno di croce, saluto dell’assemblea (spesso molto lungo), introduzione (spesso una piccola predica), atto penitenziale (con invito e pausa di silenzio), Kyrie eleison, al quale possono essere premesse delle invocazioni a Cristo liberamente formulate, Gloria e colletta. Allora due parole, oggi otto parti (sviluppate). Ogni epoca, soprattutto il Medioevo, ha creduto di dover aggiungere qualcosa, e nessuno in seguito ha osato lasciar nuovamente cadere qualche cosa. Un simile stato di cose risulta dal raffronto tra la preparazione dei doni di un tempo e di oggi: Agostino, dopo l’omelia e il congedo dei catecumeni, lascia la cattedra, si reca all’altare isolato nell’area presbiterale e guida la preghiera universale. Quindi i diaconi raccolgono i doni dei presenti e scelgono il pane e il vino per l’eucaristia, mentre i cantori eseguono un santo. Agostino stesso non dice alcuna preghiera per la preparazione dei doni. Con il prefazio egli inizia la Preghiera eucaristica (6).
Il confronto con l’attuale preparazione dei doni non ha bisogno di ulteriore commento.
Una cosa dovrebbe esser chiara: se si volesse mantenere anche nel prossimo millennio questa prassi delle aggiunte e degli ampliamenti, le due parti essenziali, liturgia della Parola e liturgia eucaristica sarebbero ancor più soffocate, i rapporti tra intelaiatura e parti essenziali ancor più alterati e la quantità metterebbe in pericolo la qualità della celebrazione eucaristica.
Per la liturgia del futuro risulta: dove chiarificazioni delle parti essenziali nel testo e nel rito sono riconosciute come significative e necessarie, si possono approvare del tutto, come ad es. miglioramenti delle Preghiere eucaristiche esistenti o introduzione di nuove. In nessun caso però l’intelaiatura può essere ulteriormente ampliata, piuttosto la sovrabbondanza esistente dovrebbe essere ridotta. Riguardo alla messa, accanto alla forma completa attuale sarebbe pensabile e auspicabile una forma breve specialmente per messe di piccoli gruppi e per i giorni feriali. Non si tratterebbe di una abbreviazione della durata, ma di un alleggerimento della sovrabbondanza dannosa. Quando al Vaticano II il vescovo missionario tedesco Duschak fece l’ardita proposta di sviluppare accanto alla messa nella forma di allora una nuova messa più semplice, a partire dallo spirito del Nuovo Testamento, e di lasciarle in vigore una accanto all’altra, Romano Guardini, profondamente commosso, fu d’accordo e pensò, con riguardo alle idee già da lungo tempo coltivate: «Sarebbe proprio la cosa giusta» (7).
Nel frattempo questa proposta è diventata sempre più convincente. In un questionario della Congregazione per il culto divino in preparazione del congresso dei presidenti e segretari delle commissioni liturgiche nazionali, dal 23 al 28 ottobre 1984 a Roma, i rappresentanti dell’area linguistica tedesca risposero tra l’altro con il desiderio che la Congregazione per il culto divino «studiasse nuovamente se un solo Ordo Missae fosse sufficiente per tutte le situazioni» (necessità pastorale di un Ordo simplex) (8).
Ciò che si è detto qui per la celebrazione eucaristica vale anche mutatis mutandis per altri settori della liturgia: meno sarebbe meglio; alleggerimento e riduzione potrebbero portare a un miglioramento qualitativo nel senso di una partecipazione attiva e, come deve essere rilevato nell’articolo seguente, meditativa alle celebrazioni liturgiche.

c) Incremento del silenzio meditativo

Numerosi rilevamenti hanno dato come risultato che molti fedeli (fino al 50%) desiderano più momenti di silenzio nelle celebrazioni liturgiche. L’accentuazione della “partecipazione attiva” ha portato in non poche parrocchie a un clima di attivismo, per cui i singoli non possono giungere a un sufficiente livello di concentrazione interiore. Molti lamentano nella liturgia postconciliare un processo di verbalizzazione, che rende difficile dire una “preghiera personale”. Non si dovrebbero squalificare troppo presto tali reazioni come espressione di pietà individualistica, che non ha posto nella liturgia. Anche in questa sede il singolo ha diritto di presentare a Dio se stesso e le proprie domande. A ciò si aggiunge che testi e segni hanno bisogno di esser fatti propri interiormente e ciò è da realizzare a preferenza nel silenzio interno ed esterno. Anche quel dono e offerta personale a Dio, che si unisce al sacrificio di Cristo e costituisce un elemento essenziale della celebrazione eucaristica, è reso possibile in un momento di raccoglimento interiore. Tale silenzio non è quindi fare una pausa, ma «è la quiete della vita interiore. È la profondità del fiume nascosto. È raccolta presenza, apertura e disponibilità» (9).
Qui sorge la domanda fino a che punto la recente riforma liturgica ha soddisfatto questo desiderio. La SC contiene un articolo (30) nel quale vengono raccomandate le diverse possibilità della partecipazione attiva. Un po’ isolata segue quindi la frase conclusiva: «Si osservi anche, a tempo debito, il sacro silenzio». Come riferisce J. A. Jungmann, ciò fu aggiunto solo in seguito come desiderio dell’aula conciliare. I PNMR trattano un po’ più diffusamente del silenzio nella liturgia. Esso «si deve anche osservare, a suo tempo, come parte della celebrazione... Durante l’atto penitenziale e dopo l’invito alla preghiera, il silenzio aiuta il raccoglimento; dopo la lettura e l’omelia, è un richiamo a meditare brevemente ciò che si è ascoltato; dopo la comunione, favorisce la preghiera interiore di lode e di ringraziamento» (23).
La liturgia del futuro dovrà creare probabilmente ancora altre possibilità di silenzio meditativo, come ad es. durante la preparazione dei doni e dopo le intercessioni per i vivi e per i morti.
Naturalmente a tali momenti di silenzio raccolto deve unirsi una atmosfera d’insieme, che non dà adito all’agitazione febbrile, all’inquietudine e alla noia

Note

1) Cfr. titolo abbreviato: Mayer, Liturgie.
2) Dreizehnlinden XVII, 3 (Reclam; Leipzog s.d.), 215.
3) A. Hänggi (ed.), Gottesdienst nach dem Konzul..., Mainz 1964, 145.
4) Liturgische Kommission Der DBK, Sonntag und Sonntagsgottesdienst, in LJ 35 (1985) 11.
5) Ad Smyrn, VIII, 1 s., in Bithlmeyer 108 [trad. it., in A. Quacquarelli, I Padri apostolici, Paoline, Roma, 136].
6) Dumentazione in F. Van Der Meer, Augustjnus der Seelsorger..., Köln 1951, 453-467.
7) E. Tewes, Romano Guardini..., in Gd 19 (1985) 17-19; inoltre Lettera, ivi, 50.
8) GD 18 (1984) 180.
9) R. Guardini, Besinnung vor der Feier der heiligen Messe, Mainz 1939, 24 cfr. Anche la sezione generale tematica, ivi, 19-64 (trad. It., Il testamento di Gesù, Vita e pensiero, Milano, 4, 1-30).

 

Letto 3773 volte Ultima modifica il Venerdì, 12 Aprile 2013 09:07
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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