Vedere
Oggi è con curiosità, quasi con nostalgia, che ricordiamo come, al momento di definire le caratteristiche del "mondo attuale" in quel distante 1965, la Gaudium et Spes parlasse, evidenziandone il carattere nuovo e sorprendente, di un'epoca di cambiamenti, e di cambiamenti accelerati. (...). E il Concilio, a sua volta, innescò un periodo di grandi mutamenti religiosi e pastorali. (...). In appena 50 anni, la portata, la profondità e la complessità di quei "cambiamenti accelerati" iniziali si sono trasformate e ci hanno trasformato. Oggi, tutti noi sentiamo che non si tratta più di un aggiornamento, di un'attualizzazione, ma di un cambiamento sostanziale, qualitativo, di una specie di mutazione genetica, di una mutazione genetico-spirituale, forse di una metamorfosi di cui non sappiamo a quale nuovo essere umano condurrà.
Di fronte a un orizzonte così vasto, stiamo vivendo quello che può definirsi come uno dei maggiori periodi di cambiamento, dibattito e conflitto di tutta la storia del cristianesimo. (...). Sono milioni i credenti che non si sentono a loro agio con il modo tradizionale di vivere la fede, di pensarla e di esprimerla. Il Vaticano II, che sembrava aver prodotto una riconciliazione con il mondo colmando un ritardo di 300 anni, ha vissuto una luna di miele molto breve. Come è noto (...), poco tempo dopo la sua conclusione, iniziarono le esitazioni, i dubbi, i freni e i passi indietro, l'involuzione e la restaurazione, e, 50 anni più tardi, ci troviamo divisi tra quanti vogliono archiviarlo e tornare al passato, quanti vogliono recuperarne lo spirito e quanti considerano che l'attualità richieda cambiamenti molto più profondi di quelli che il Concilio tentò di realizzare per quel mondo che ormai non esiste più.
Per tutti coloro che avvertono una tensione tra fede tradizionale e appartenenza a una società culturalmente nuova e adulta (...), la situazione attuale, da qualunque angolatura la si guardi, richiede che si trovi con urgenza la chiave per costruire una nuova base di dialogo, una nuova visione, una ristrutturazione globale, urna nuova semantica teologica che (...) ci permetta di condividere nuove prospettive e camminare verso il futuro.
Giudicare
In un'ottica epistemologica, ci chiediamo quale sia il fattore determinante, la causa più profonda, più radicale, della trasformazione attraverso cui sta passando la condizione religiosa dell'umanità, questo presunto cambiamento di paradigma globale, o nuovo tempo assiale. Dal punto di vista epistemologico, riteniamo di poter affermare che tale fattore è dato dalla crescita esponenziale delle conoscenze.
Ampliamento della conoscenza
Negli oltre tre secoli dall'inizio della rivoluzione scientifica occidentale, la scienza ha sperimentato una crescita inimmaginabile, un'autentica esplosione. Il libro della natura, della realtà, tanto ai livelli micro quanto a quelli macro, come pure nelle dimensioni dell'infinitamente complesso, si è andato dispiegando di fronte a noi, rivelando i suoi segreti. Thomas Berry parla del "valore rivelatore" dell'esplosione scientifica, del suo carattere di autentica Rivelazione, con la maiuscola.
È nota e anche famosa l'idea che il tempo necessario a raddoppiare le conoscenze dell'umanità si sia così ridotto che, se nell'età della pietra furono necessari 7mila anni (...) per duplicare l'insieme delle conoscenze globali di cui l'umanità disponeva a quel tempo, negli anni '90 ce ne sono voluti solo 5. (...). E oggi si dice che ciò avviene in un tempo assai più breve. Il New York Times pubblica in una settimana più informazione di quella di cui disponeva una persona di cultura media del XVIII secolo.
Trasformazione della conoscenza
Ebbene, ogni ampliamento della conoscenza porta a una sua trasformazione. Ovviamente, non si tratta di una semplice accumulazione lineare. Le conoscenze non si possono giustapporre in maniera innocente. (...). Le nuove conoscenze non sono solo nuovi dati da accumulare (pezzi mancanti di un puzzle), ma acquisizione di nuove visioni, di nuove sfide che a loro volta aprono nuove prospettive o che pongono allo scoperto il limite o persino la falsità dei postulati precedenti. (...). L'espansione della conoscenza produce inevitabilmente cambiamenti di paradigma e, con ciò, una ristrutturazione della conoscenza, la creazione di nuove mappe, di nuove logiche, di nuove semantiche per il pensiero. (...).
Attualmente, l'epistemologia scientifica si caratterizza per il suo carattere dinamico, non statico, e, come tale, sempre provvisorio e in nessun modo dogmatico o definitivo. La scienza non tenta più di dimostrare alcunché: fa solo ipotesi interpretative provvisorie, in attesa che ne appaia subito una migliore. (...). Non importa che ci tolga la sicurezza e ci neghi il piacere di poter riposare su conoscenze sicure, definitive, indiscutibili, quasi dogmatiche. «Il maggior contributo della conoscenza del XX secolo è stata la conoscenza dei limiti della conoscenza» (Edgar Morin). La conoscenza assoluta, la scienza elaborata sulla base di formulazioni cartesianamente "chiare e distinte", ritenute assolutamente certe e irrevocabili anche nel loro significato letterale, è impensabile per l'epistemologia di oggi. Allo stato attuale della conoscenza, l'umanità si sente pellegrina, sempre in cerca di un nuovo modo di cogliere la verità, di una nuova interpretazione, di un'ipotesi più veritiera o di una verità più profonda, sempre in cerca di una verità inaccessibile. (...). Ma, come sappiamo, non è questa la configurazione epistemologica propria di alcune religioni, specialmente dei tre monoteismi, le "religioni del Libro". (...).
La religione crede di possedere la verità, la Verità Totale, la Verità Eterna e Immutabile: la Verità Divina. Crede anche di possederla non come frutto di un lavoro di ricerca e di sviluppo umano, ma come un dono ricevuto dall'Alto, dalla Rivelazione. (...). La religione non può tollerare cambiamenti nelle verità tradizionalmente considerate come rivelate o dogmatiche; non può abbandonare affermazioni che appartengono al suo "deposito", anche qualora, nel mondo reale e nella scienza, abbiano perso plausibilità. (...). Per sua tradizionale natura, la religione non è amica di conoscenze dubbie, discutibili, non definitive, né di ristrutturazioni o cambiamenti di paradigma. (...).
Il contrasto tra queste due epistemologie, quella della futura società della conoscenza - in gran parte già presente - e quella tradizionale delle religioni, è, a mio avviso, uno dei principali problemi che le religioni devono affrontare al momento di rinnovarsi e adeguarsi al mondo di oggi. (...).
Le persone sono, allo stesso tempo, figlie della società e della religione, della scienza e della fede, del cuore e della ragione, del pathos religioso e del logos razionale, e non risulta loro facile né desiderabile assumere una divisione epistemologica schizofrenica. Esse hanno il diritto di rivendicare un'esperienza religiosa epistemologicamente unificata.
Elementi di conflitto tra scienza e fede
(...) Tutti noi sappiamo che oggi l'astrofisica sta scoprendo, quasi ogni giorno, nuovi dati, come l'esistenza degli esopianeti (pianeti extrasolari, ndt), e la religione non vi si oppone più, accettando che la scienza operi liberamente nella sua area di competenza. Sembrerebbe che non ci sia più un conflitto tra fede e scienza. Tuttavia, ad un'analisi più attenta, gli esopianeti stanno completando e approfondendo lo smantellamento del geocentrismo iniziato con Galileo. Oggi non è più in discussione il fatto che la Terra non occupi il "centro" del cosmo; quello che è in gioco è la posizione centrale, unica nel cosmo, della Terra abitata, il carattere di unicità della Terra: nel momento in cui l'astrofisica si dice convinta che nel cosmo, per quanto non si conosca nessun altro pianeta con vita, "debbano esserci" milioni di altri pianeti come il nostro, con vita intelligente, l'onore della Terra di occupare un posto centrale, unico nell'universo si trova minacciato come lo era con le scoperte eliocentriche di Galileo nel XVII secolo. La non unicità della Terra sembra implicare la non unicità di tutto quello a cui sulla Terra attribuiamo un carattere unico. Un concetto, questo dell'unicità, riaffermato dalle religioni, nel corso della storia, più che da chiunque altro. Ci siamo abituati a dire che tra religione e scienza non c'è conflitto e corriamo il rischio di renderci conto che, effettivamente tale conflitto esiste, e che i rischi sono alti.
Di importanza ancor maggiore è il conflitto-sfida che la nuova cosmologia rappresenta per le religioni. Le religioni bibliche, per esempio, condividono la stessa cosmovisione in cui si inquadra tutto il loro messaggio a partire dai miti primordiali raccolti e rielaborati nel libro della Genesi. La storia, la presentazione, l'immagine che la nuova cosmologia ci offre del mondo in cui viviamo mal si adatta a tale visione biblica, non solo in piccoli dettagli come il geocentrismo/eliocentrismo, ma in dimensioni globali, strutturali: il mondo non è stato creato come ci è stato raccontato; le specie non sono state create da Dio così come sono; forse non c'è stata una creazione né si può considerare questo mondo come un piano inferiore rispetto al piano superiore celestiale; e noi, gli umani, non siamo una specie essenzialmente diversa dagli altri esseri viventi; né questo mondo è un semplice scenario collocato qui per noi; e neppure sembra che il senso della realtà in generale possa essere espresso adeguatamente come il "progetto divino di una storia di salvezza umana"... Praticamente, la maggior parte delle affermazioni cosmologiche presenti nell'insieme del patrimonio simbolico delle religioni bibliche deve essere riformulata, compresa nuovamente o riorganizzata. (...). La persona colta della nostra società ha una visione del mondo e di se stessa, dunque in relazione al cosmo, radicalmente diversa da quella che la cosmovisione "rivelata" ci ha trasmesso. Anche qui le persone vivono e soffrono in maniera schizofrenica il conflitto fede/scienza. (...).
Insieme alla cosmologia, la prospettiva di genere, il femminismo, spesso associata alla prospettiva ecologica, l'ecofemminismo, è anch'essa una prospettiva ermeneutica nuova che non può essere ignorata (...). La prospettiva di genere postula la decostruzione del patriarcalismo installato nel cuore stesso delle religioni, per liberarle da tale meccanismo oppressore. La pertinenza della rivendicazione profonda dell'ecofemminismo è ormai venuta alla luce e buona parte della metà femminile dell'umanità - e anche di quella maschile - non potrà mantenere la propria appartenenza religiosa, se le religioni non si "depatriarcalizzeranno" radicalmente. (...).
Agire: nuove semantiche, nuovi significati
È urgente trovare indicazioni precise per progettare nuove semantiche che, in un futuro prossimo, rendano possibile il superamento di tali conflitti, la rielaborazione di un patrimonio simbolico religioso riconciliato con le scienze attuali, con la società della conoscenza che si avvicina: semantiche che possano portare la riconciliazione nel cuore diviso dei credenti che affrontano in modo schizofrenico la propria doppia appartenenza alla società culturale attuale e alle religioni tradizionali. (...)
a) Nuove semantiche religiose a partire da nuove semantiche culturali
(...) Una semantica pienamente moderna. Il Vaticano II ha comportato una riconciliazione con la modernità, ma solo fino a un certo punto. Il Concilio ha riconosciuto l'autonomia delle realtà terrene, ma ha continuato a parlare della realtà concepita nello schema dei "due piani", con i dualismi cielo/terra, corpo/anima, natura/grazia, naturale/soprannaturale, storia umana/storia della salvezza... Ha mantenuto la visione eteronoma propria della pre-modernità, con un'accettazione solo parziale dei valori moderni. Occorre avanzare in direzione di una semantica che incorpori pienamente i significati postulati dalla modernità a partire dalla cosmovisione di una realtà integrata, unica, senza dualismi, senza un piano superiore e uno inferiore a livello di rappresentazione della realtà e senza eteronomia a livello di assiologia e di morale.
Una semantica che resti integralmente liberatrice. La teologia della liberazione ha compiuto a meraviglia il compito di rileggere il cristianesimo, storicamente vincolato al potere, a partire dall'opzione per i poveri e da un'esperienza spirituale in grado di incontrare la trascendenza nell'immanenza: esperienza spirituale legata all'opzione per i senza giustizia, che anticipa l'escatologia nella storia, nella costruzione dell'Utopia integrale che Gesù chiamava "Regno di Dio". La semantica che questa teologia e questa spiritualità hanno sviluppato, pur non essendo l'unica necessaria, è imprescindibile e deve continuare ad essere coltivata affinché le religioni non si limitino alla ricerca di una mistica a-storica o trascendentalista, ma rispettino l'integrità della spiritualità, vincolandola sempre all'impegno con la prassi di trasformazione storica e sociale.
Una semantica depatriarcalizzata. (...) Sappiamo che la forma patriarcale di guardare il mondo è apparsa nella storia proprio nell'epoca in cui sono sorte le religioni formali. Non poche tesi vincolano i due fenomeni. Oggi avvertiamo che la semantica religiosa è stata collegata ai valori patriarcali del potere maschile: la dominazione, la conquista, il profitto, l'accumulazione. La nostra teologia, il nostro diritto, il nostro clero, la nostra organizzazione, la nostra liturgia, il nostro immaginario... sono rimasti impregnati da strutture e significati patriarcali. È urgente ampliare il nostro sguardo, decostruire il patriarcalismo, non solo nella semantica teologica tradizionale, ma nell'intera vita delle istituzioni religiose, e costruire una semantica che ci liberi da tanta zavorra patriarcale che ancora ci trasciniamo dietro.
Una semantica oikocentrica, biocentrica, che ci restituisca al nostro "luogo cosmico". La vecchia semantica cristiana, sviluppata in un mondo che praticamente nulla sapeva di tutto quello che oggi conosciamo sul cosmo, era costruita alle spalle della natura; ignorava la grande cosmologia: negava l'evoluzione biologica; riduceva la realtà cosmica a un mero scenario del dramma della "storia della salvezza" dell'essere umano, considerato superiore, soprannaturale, caduto solo temporaneamente e provvisoriamente nella realtà naturale.
La teologia deve non solo incorporare quest'ultima, ma sviluppare urgentemente una semantica che riporti il religioso al suo quadro reale, ossia la natura, la sua casa-oikos meravigliosa. Dobbiamo pensare nell'ottica della cosmologia attuale e comprendere l'essere umano come risultato della storia della vita terrena, e questa come risultato della storia della Terra e del Cosmo. Dobbiamo superare radicalmente l'antropocentrismo, andando anche oltre il ristretto quadro degli ultimi tremila anni di storia giudaico-cristiana, per allargare il nostro sguardo al cosmo e riconoscere la sua storia ancestrale evolutiva come nostro oikos, il luogo naturale di tutto l'umano-divino.
Oikocentrare, biocentralizzare il nostro pensiero e la nostra semantica deve essere una regola fondamentale della nuova se mantica religiosa in un tempo in cui l'umanità più cosciente ha già deciso di tornare al suo luogo oikocentrico (homecoming), dopo questo "esilio" vissuto in vari millenni di pensiero e di conoscenza oiko-espatriati.
Una semantica pluralista non esclusivista né inclusivistica. La nuova cultura e la nuova società sono non solo plurali ma anche pluraliste. (...). Una semantica pluralista, rispettosa di tutte le religioni, è già in marcia nel senso comune, nella condotta pratica di molte persone. Una teologia responsabile deve incorporare decisamente tale semantica per poter dialogare con il mondo reale che è sempre più pluralista, e in modo irreversibile.
Una semantica "post-religiosa". L'intera semantica religiosa è stata fondata su una concezione della religione come dimensione principale e totale della realtà. La religione, nel suo concetto tradizionale, rappresentava il quadro di riferimento unico e totalizzante della comprensione e dell'espressione della realtà. I tempi sono cambiati, ed è cambiato il concetto che abbiamo oggi della religione, non più identificata con la spiritualità, con la dimensione spirituale profonda dell'umanità, ma considerata appena come una delle sue forme di espressione, apparsa solo cinquemila anni fa, con la nascita di un tipo di società legato alla Rivoluzione Agraria. Oggi, sempre di più, la religione cede la sua supremazia a vantaggio della spiritualità, che non ha pochi millenni dietro di sé, ma è coetanea dell'essere umano. E la visione religiocentrica cede il passo a un paradigma definito post-religioso, secondo quanto recentemente presentato dalla Commissione Teologica Internazionale dell'Eatwot (Associazione Ecumenica dei Teologi/ghe del Terzo Mondo). A partire da questa nuova visione, il quadro più inclusivo per una semantica religiosa del futuro non è più propriamente la religione, ma la spiritualità. Abbiamo bisogno di una semantica più spirituale e meno religiosa.
Una semantica a partire da una nuova epistemologia. (...). Pare ovvio che l'epistemologia che ha dominato il linguaggio religioso e il linguaggio della teologia tradizionale abbia rinchiuso tutta la conoscenza e tutto il pensiero religiosi in un carcere da cui non possono evadere. (...). Considerata a partire da un'analisi puramente filosofica, l'epistemologia ancora in vigore nelle religioni crede di avere a che fare con verità rivelate, provenienti direttamente dalla comunicazione che il potere divino ha voluto condividere con gli esseri umani, attraverso la mediazione dell'autorità religiosa. Considera i dogmi come veritas revelata ab Ecclesia proposita, indubitabili (se non si vuole incorrere nel peccato), indiscutibili (materia di fede, in ultima analisi), irriformabili.
In una situazione così bloccata, Giovanni XXIII ebbe la genialità di introdurre una distinzione luminosa: «Occorre che questa dottrina certa ed immutabile, alla quale si deve prestare un assenso fedele, sia approfondita ed esposta secondo quanto è richiesto dai nostri tempi. Altro è infatti il deposito della Fede, cioè le verità che sono contenute nella nostra veneranda dottrina, altro è il modo con il quale esse sono annunziate». (...).
Ma la gioia durò poco. Subito Roma tornò a richiamare l'attenzione sul carattere intoccabile di tutto ciò che viene considerato come materia di fede: (...) «Non si possono abbandonare le stesse formule in cui la dottrina è stata ponderata e definita. Su questo punto, il Magistero della Chiesa non transige» (Paolo VI, Allocuzione del 4 dicembre 1968). (...) «Perché le formule di cui si serve la Chiesa per proporre i dogmi di fede esprimono concetti che non sono legati a una determinata forma di cultura umana, né a una determinata fase di progresso scientifico e neppure ad una qualche scuola teologica; ma manifestano l'esperienza universale e necessaria. Per questo si adattano a tutti gli uomini di tutti i tempi» (Paolo VI, Mysterium Fidei). (...).
Non possiamo prolungare questa evocazione della semantica religiosa tradizionale ancora in vigore ufficialmente nella Chiesa cattolica (essa non è stata ufficialmente superata e viene ancora rivendicata con metodi inquisitoriali nei confronti di teologi e teologhe). Diciamo che, da un punto di vista filosofico, questa epistemologia religiosa è incompatibile con l'epistemologia non solo delle scienze attuali, ma anche della persona mediamente colta. (...). L'attuale epistemologia non può più credere neanche alla possibilità di un pensiero o di un linguaggio atemporali, universali, senza vincolo né dipendenza da una determinata cultura, di un pensiero assoluto nelle sue formule, estraneo a qualunque mutazione storica e non bisognoso di attualizzazione, anche solo per continuare ad essere intellegibile nel corso del tempo. L'epistemologia attuale dell'uomo e della donna comuni sa che praticamente tutta la conoscenza, ma specialmente quella religiosa, è metaforica e, spesso, mitica, e ha valore di realtà, ma proprio attraverso la metafora e il mito, e non per una diretta adaequatio res et intellectus, per una corrispondenza oggettiva tra le nostre affermazioni religiose e un mondo soprannaturale oggettivo e verificabile. Di più: l'attuale antropologia sa che la nostra conoscenza consiste nel modellare la realtà per rapportarci ad essa nel miglior modo possibile. Si tratta di costruzioni umane, per quanto godano di un'ispirazione realmente divina.
È ovvio che ci troviamo di fronte ad un conflitto tra la scienza - l'epistemologia in questo caso - e la religione, due mondi che funzionano con due semantiche radicalmente differenti. Due mondi che non possono dialogare, che non potranno convivere in pace all'interno della stessa persona finché non condivideranno una semantica minimamente compatibile. Mi spingo a dire che aiutare le religioni ad adeguare la propria semantica tradizionale, ancora in vigore, all'epistemologia attuale non sarebbe solo di enorme aiuto, ma anche la condizione sine qua non perché le religioni possano uscire dall'attuale impasse. Ed è, pertanto, un dovere fondamentale della teologia nel presente e per il futuro.
b) Nuova semantica religiosa globale: l’assialità
(...) Alludevo prima all'ipotesi lanciata poco più di 60 anni fa da Karl Jaspers riguardo a ciò che è stato definito come tempo assiale, Achsenzeit, un momento (durato, storicamente parlando, vari secoli) che ha segnato un prima e un dopo - da qui l’immagine di asse - nell'evoluzione dell'umanità. Per Jaspers, è stato il tempo in cui, tra l'800 e il 200 a. C, l'umanità ha operato un decisivo balzo in avanti, che ha aperto una nuova tappa nella sua coscienza spirituale e storica, prolungatasi fino ad oggi. È anche il periodo che coincide - per quanto un po' meno simultaneamente di quanto Jaspers pensasse (...) - con la nascita delle grandi religioni, che oggi chiamiamo religioni mondiali e che anch'esse sopravvivono. Jaspers non parlò di un secondo tempo assiale, come alcuni ora ritengono. È stato alla fine del XX secolo che gli studiosi, riprendendo la sua tesi, in buona parte passata inosservata, ne hanno sottolineato l'attualità confrontandola con la radicale crisi di trasformazione in cui è entrata la religione alla fine del XX secolo. A fronte dell'interpretazione negativa e colpevolizzante dei vertici delle religioni, che attribuiscono tale crisi al materialismo, all'edonismo, alla perdita di valori della società occidentale, la tesi-ipotesi di un secondo tempo assiale ha acquisito plausibilità tra gli studiosi del fenomeno religioso. Staremmo vivendo questo nuovo tempo assiale?
Il tempo assiale di quasi tremila anni fa ha reso possibile l'emergere di un nuovo tipo di religioni, le religioni assiali, che sono religioni di salvezza e di liberazione, in particolare personale, ma anche collettiva e sociale, sorte come risultato di una trasformazione, di una vera metamorfosi, che ha dato origine a un nuovo tipo di religiosità, con una nuova esperienza spirituale, nuovi riferimenti religiosi, un nuovo linguaggio simbolico, una nuova semantica per esprimere il Mistero di sempre. La scienza attuale valuterà la plausibilità di questa ipotesi. Non sembra necessario, in realtà, discutere se sia o meno fondato il fatto di denominare come secondo tempo assiale l'attuale crisi della religione, se non altro perché non appare possibile che due esperienze storiche si ripetano in maniera identica a una distanza di quasi tre millenni. Sembra però necessario prestare attenzione alla trasformazione o alla metamorfosi della religiosità che a quanto pare sta avvenendo, come quella che ha comportato quel "primo" tempo assiale. Si tratta allora (...) semplicemente di percepire che la trasformazione in cui siamo immersi può essere, come quella, realmente profonda e radicale, una vera metamorfosi, molto più che semplici cambiamenti accelerati, un'epoca di cambiamento o un cambiamento d'epoca...
La teologia dovrebbe assumere questa sfida. Le religioni non sono eterne. (...). La scienza attuale guarda con favore alla visione di una trasformazione radicale della spiritualità umana, tale da rendere non necessaria la "figura storica" assunta dalla spiritualità nelle religioni originate nel cosiddetto tempo assiale. E guarda con favore alla possibilità che tale trasformazione faccia sorgere nuove configurazioni storiche delle tradizioni religiose, configurazioni che, forse, oggi non siamo neppure in grado di immaginare. Perché non aguzzare la vista per cercare di scoprire i primi indizi dei nuovi cammini verso cui si incamminano la spiritualità e la religiosità umane?
Una teologia responsabile deve assumere questa dimensione di assialità, la sfida di una trasformazione la cui radicalità supera la nostra attuale capacità di immaginazione, per non perdere la possibilità di accompagnare questo kairos che forse stiamo attraversando senza saperlo. Assumere questa possibilità significa non fare teologia a partire da un locus atemporale, cieco alla possibilità di un'evoluzione più ampia. Significa tematizzare espressamente la dimensione di assialità, di cambiamento di asse, di accoglienza di un nuovo tempo che sta nascendo. (...).
José Maria Vigil
(da Adista, n. 20, 1 giugno 2013, pp. 2-6)