Formazione Religiosa

Domenica, 26 Aprile 2015 21:29

Pasqua, festa del corpo

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Festa del corpo; ma col Risorto e nella certezza di una fede che non tradisce l’uomo. Celebrazione da compiersi con lo sguardo al futuro e nella comunione con gli altri – i più poveri, soprattutto.

Pasqua di resurrezione, festa del corpo. Oggi possiamo definirla così, dal momento che protagonista dell’evento straordinario è il corpo di Gesù di Nazaret, il quale  - dopo la morte in croce e il suo seppellimento – secondo promessa ritorna in vita e si manifesta a molti, quasi a mostrare in anticipo come saremo una volta entrati nella “vita eterna“.  

Nel  racconto evangelico sul Risorto si tocca l’essenza stessa del messaggio cristiano, la ragione profonda del nostro credere: giustamente San Paolo afferma che, se Cristo non è risuscitato, la nostra fede è inutile
 
Festa del corpo, dunque, è proclamazione del suo destino glorioso: perché, sia pure con caratteristiche diverse,  al momento della resurrezione dei morti torneremo ad avere un corpo vero, intimamente legato alla nostra persona. Saremo ancora noi, in carne e ossa. Anche su questo il vangelo ci ha anticipato qualche sprazzo:  quando Gesù apparve agli apostoli la prima volta, questi lo guardavano increduli, quasi fosse un fantasma; ma egli diede subito la prova della sua reale consistenza corporea: “avete qualcosa da mangiare?“, chiese: gli portarono del pesce arrostito ed egli se ne cibò. Così si convinsero che era proprio lui. Si convinse persino Tommaso, che, scettico alle prime notizie sul Maestro, aveva detto che avrebbe creduto soltanto dopo avere messo le mani nei punti in cui Gesù era stato trafitto. Iniziava in quel momento, diffondendosi nel mondo, la grande attesa cristiana per il compiersi della  “beata speranza “ che ha per traguardo la vita eterna, oltre la soglia della morte.  
 
Quella frase di Gesù, “Avete qualcosa da mangiare?“, indica quale attenzione il cristiano debba dedicare al corpo, parte integrante della sua esperienza storica, bersaglio inevitabile oggi della sofferenza e della morte, ma insieme crisalide in attesa della sua forma definitiva. Parlare del corpo e del suo valore in uno dei momenti “forti” dell’anno liturgico, quando la chiesa ci ha chiesto di mortificare la carne mediante il digiuno e l’astinenza, potrebbe sembrare un controsenso; anche perché in campo laico mai come oggi libri e giornali sono pieni di riferimenti di ogni genere al corpo: pensiamo agli apporti significativi dati in questi ultimi anni ad una equilibrata educazione sessuale; pensiamo ai progressi dell’alimentazione e della scienza medica che hanno notevolmente elevato la durata media della vita e sconfitto malattie fino a poco tempo fa considerate incurabili; pensiamo al vertiginoso diffondersi della cosmesi, della ginnastica e dello sport, al culto della “linea”. Siamo davanti ad una vera e propria  “cultura del corpo“. Ma bisogna riconoscere che quasi sempre la prospettiva cristiana vi è assente. Si guarda all’involucro umano come ad un bene da sfruttare, da commercializzare e da salvaguardare il più a lungo possibile perché “dopo“ sarà tutto finito, cioè secondo la logica del “carpe diem” nella comune affermazione che “di domani non v’è certezza“.  

E il corpo diventa soprattutto il “mio“ corpo, che ha precedenza assoluta sugli altri. Applicato alla vita, questo modo di ragionare è quanto di meno cristiano ci possa essere. La cronaca di tutti giorni ci rivela questa logica perversa che si prefigge come valori assoluti il profitto economico, il godimento sfrenato e la sete di potere davanti a cui non contano le vite umane. Fin troppo eloquenti al riguardo sono per esempio le statistiche sulla fame nel mondo, che ci evocano le immagini di milioni di fratelli distrutti dalla povertà e dalla malattia in almeno due terzi della Terra.  

Non possiamo dimenticare, in un discorso sul corpo, la vita e la morte, quanti, nei Paesi che si dicono all’avanguardia del progresso, insistono nell’applicare la pena di morte, magari come ipocrisia di una maggiore “souplesse”: invece del cappio o del colpo alla nuca, il boia si limita a far scivolare la pillola di cianuro nella bacinella della camera a gas, o ad azionare i contatti che producono la scarica sulla sedia elettrica; oppure a fare una iniezione di “pentotal” al condannato: un atto, questo, che abbiamo sempre visto compiere da chi ha come missione quella di salvare la vita e di guarire il corpo, non di ucciderlo. Ma si sa ormai che la siringa è protagonista da tanti tragici “viaggi“ senza ritorno da quando la droga è entrata nell’elenco delle “conquiste civili“.  
 
Quindi, festa del corpo; ma col Risorto e nella certezza di una fede che non tradisce l’uomo. Celebrazione da compiersi con lo sguardo al futuro e nella comunione con gli altri – i più poveri, soprattutto – recuperando la dimensione biblica cara a Paolo e ai cristiani della prima generazione: “noi che aspettiamo la redenzione del corpo”,”siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membri gli uni degli altri” (Romani 12,5).

 

Letto 2189 volte Ultima modifica il Domenica, 26 Aprile 2015 21:46
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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