2. RICOGNIZIONE: LO SVILUPPO DELL'ANALISI
2.1 le premesse e le condizioni delle fonti
La mia ricognizione dell’esistente ha utilizzato diversi strumenti :
1. i repertori bibliografici e iconografici,
2. le visite e le rilevazioni fotografiche in loco,
3. i materiali di riflessione su questo tema nell’ambito delle tematiche inter-religiose, o meglio di sociologia della religione nella tarda modernità, di cui ho iniziato a dar conto nel capitolo precedente.
Preciso subito che, sulla prima area di studio, gli esiti sono stati limitati o quasi nulli: la segnalazione e la presentazione scritta o iconografica di questi luoghi riguarda quasi soltanto la stampa o le TV locali, in termini poco più seri di semplici note di cronaca; alcuni interventi marginali sono interni alle corporazioni degli artisti o degli architetti. Del resto, anche nei convegni in cui il tema del “luogo della preghiera” (“spazio sacro”?!) è trattato con attenzione e rilevanza anche teologica il focus è pur sempre la liturgia. E’ del tutto assente la pensabilità di luoghi religiosi non liturgici, di ambiti non-chiese su cui gli studiosi del fenomeno religioso potrebbero invece opportunamente lasciarsi interpellare, nell’ottica di una secolarizzazione per molti versi irreversibile.
D’altronde la ricerca non è riuscita a prescindere da autori cristiani o post-cristiani e vedremo che questo dato “decostruisce” il senso della mia indagine, lasciando emergere che è pur sempre uno sguardo che viene dalla fede cristiana quello che coglie e realizza lo spazio teorico inter-religioso, con le ipoteche mentali, le proiezioni e le remore vincolate a tale background.
2.2 Assenze e resistenze
Ma la non-informazione è una informazione: attesta, infatti, io credo, una bassa sensibilità degli osservatori (antropologi, teologi, sociologi della religione) per le problematiche delle persone in preghiera, intese come corpi viventi, come presenze che indicano fuori dei circuiti previsti o prevedibili, suggestioni di domanda spirituale. Attesta anche una lettura del fenomeno della “desertificazione religiosa della città” tesa alla difesa istituzionale e identitaria, alla ripresa anche approfondita di compiti specifici per le chiese, ad una evangelizzazione che mima quanto possibile la forza della cultura mass-mediatica.
A questo proposito cito, solo apparentemente “fuori luogo”, questi due esempi.
La vicenda della costruzione della cattedrale cattolica di Evry narrata dalla sociologa Danièlle Hervieu-Léger: “ … Negli anni Sessanta vengono costruite nel circondario di Parigi una serie di nuove città; una di queste è Evry… Consultata, la Conferenza Episcopale francese si esprime negativamente sulla opportunità di costruirvi una cattedrale: per due motivi. Non hanno fondi per progettare una costruzione impegnativa, e la pastorale adottata è quella del nascondimento nel mondo secolarizzato: la vita cristiana, già rappresentata dalla vecchia chiesa del villaggio preesistente, sarebbe stata viva e visibile in Evry fintanto che dei credenti se ne facessero carico, nelle sale polivalenti, nelle case, nelle iniziative comunitarie… Venti anni dopo che Evry è costruita vi fioriscono i luoghi di culto: un tempio avventista, una sinagoga, una pagoda buddista, …una moschea monumentale, il cui minareto domina la nuova città. In ambito cattolico, la problematica muta radicalmente: si fa essenziale la presenza di un luogo di culto, e anche lo stato è favorevole, anzi ne rende possibile la costruzione, a scapito del principio legislativo francese che vieta l’uso di finanza pubblica per luoghi di culto. Il ministro della cultura del governo Mitterand (!) Jack Lang nel 1994 avanza la proposta di costruire a spese dello stato, al pianterreno dell’edificio un museo della cultura religiosa, riservando il piano superiore, finanziato dalla chiesa con l’aiuto della generosità dei fedeli, alla cattedrale. Soluzione astuta ed elegante, che assicura, pur nel quadro residuale della pratica religiosa in Francia, una sua visibilità sul mercato plurale e concorrenziale.”
Il teologo riformato Bernard Reymond della Università di Lausanne, in un suo intervento del 1998, relativo al ruolo dei protestanti francofoni nella elaborazione di una teologia “laica”, così si esprimeva: “… l’Eglise peut bien devoir s’effacer et chercher à le faire. Mais elle ne saurait commencer par là; son effacement relève d’une perspective eschatologique. Dans l’immédiat elle doit bel et bien etre là: très corporellement d’abord, mais aussi symboliquement afin de poser la question spirituelle que la laicité par partis pris d’athéisme pratique, cherche sans cesse à écarter pour éviter d’en etre troublée et contestée…”
Mi sono soffermata su esempi così casualmente coincidenti nella ispirazione di fondo, per sottolineare la sostanziale disattenzione, quando non resistenza teorica, al fenomeno che ho scelto di esaminare.
E’ peraltro un dato consistente la iniziativa delle comunità evangeliche (riformate e luterane) negli esempi di cappelle inter-religiose; il coinvolgimento delle parrocchie cattoliche è reale, in subordine: parlo di esempi nord-europei; in Italia vedremo come la chiesa cattolica ha sostanzialmente ignorato il problema.
Siamo però comunque arrivati al dunque della ricognizione, e agli esempi salienti cui ho dedicato interesse e cura descrittiva.
2.3 esemplarità forti
2.3.1 1960, palazzo dell’ONU, New York
“Ciascuno di noi ha dentro di sé un centro di quiete avvolto dal silenzio…” questa nota presente nel diario di Dag Hammarksjold e pubblicato postumo nel 1963… ispirò negli anni in cui egli fu segretario generale dell’ONU (1953-1961) la sua iniziativa di creare all’interno della sede delle Nazioni Unite a NewYork la prima “stanza del silenzio”aperta “… agli spazi infiniti del pensiero e della preghiera…” per uomini di ogni fede, soprattutto chiamati in quell’organismo mondiale ad essere veri costruttori di pace. La stanza del silenzio che Hammarksjold aveva anche sommariamente descritta nella sua nudità progettuale, oggi è invisibile ai più: non se ne rintraccia alcuna riproduzione grafica o fotografica, non è indicata nella mappa del palazzo, non è inclusa nel tour offerto come servizio ai visitatori. È però stata evocata come idea sorgiva, nobile precedente,da chi in seguito ha progettato o auspicato esperienze analoghe.
È il caso della “sala del silenzio” realizzata dall’architetto Louis Kahn nel Palazzo del Parlamento di Dacca (Bangladesh) che, distinta dalla moschea e priva di contrassegni religiosi specifici, è progettata come luogo aperto alla meditazione di chiunque ed è caratterizzata solo da diffusori cilindrici di luce .
È il caso della Rothko Chapel di Houston (Texas USA), i cui promotori nei tardi anni ’60 non avevano a cuore solo una straordinaria proposta artistica, ma ne coltivavano il significato di offerta alla esperienza meditativa e alla ricerca spirituale.
2.3.2 La Rothko Chapel - Houston, 1965
Esempio insigne di arte contemporanea, essa viene progettata ed edificata nel 1965 dall’arch. Ph. Johnson su indicazioni del pittore Mark Rothko, ebreo lettone emigrato in America e divenuto negli anni ’30 e ’40 un originale esponente dell’espressionismo astratto, che vi colloca quelle grandiose tele che sono considerate suoi indiscussi capolavori. La finanziano i coniugi Dominique e John De Menil, ricchi collezionisti d’arte, unitariani, convinti assertori della valenza mistica della pittura astratta. Il pittore ne impone le forme architettoniche proprio in funzione della collocazione delle sue tele, che sono le protagoniste dello spazio interno. Si tratta di un corpo ottagonale, secondo la forma dei battisteri antichi, senza finestre: lo spazio è invaso, attraverso le ampie feritoie velate della copertura, da una luce leggera diffusa “senza fonte”, che permette a chi siede sulle panche, linearmente disposte lungo i lati, di “immergersi” nella contemplazione delle grandi tele. Tre trittici e cinque quadri singoli si presentano come campiture monocrome giocate su una tavolozza di tinte cupe, dal rosso-vino al marrone al nero opaco striato leggermente di verde chiaro. Rothko dichiarava che, uscendo dal tradizionale e dal figurativo, l’opera d’arte sarebbe stata tale solo in un rapporto intimo con l’osservatore, che avrebbe potuto contemplandola a distanza ravvicinata, immergersi nelle sue vibrazioni cromatiche, ottenute con sottili strati di pigmento lasciati scorrere lungo i bordi della tela, quasi sopprimendone i limiti. Questo, nella chapel è reso possibile in uno spazio tutto racchiuso intorno allo sguardo dei fruitori, veri depositari della libertà di lettura dell’opera che mai, nel caso di Rothko, egli lascia definire astratta:
“… Non sono un artista astratto: non mi interesso dei rapporti di forme colori… Mi interessa esprimere le fondamentali esperienze umane, tragedia, estasi, destino, e simili. Il fatto che molti dinanzi ai miei quadri si emozionino intensamente dimostra che le mie tele sono in grado di dare espressione alle fondamentali dimensioni umane. La gente che piange davanti ai miei dipinti compie la stessa esperienza religiosa che io vivo quando li dipingo…E se voi vi chiedete solo dei loro rapporti cromatici, vi sfugge l’essenziale…”.
“… In senso stretto non ci deve esser alcuna astrazione: ogni forma, ogni zona sulla superficie pittorica che non ha la concretezza pulsante di carne e ossa, non ha la fragilità della gioia e del dolore, è semplicemente nulla…”.
“So che da un punto di vista storico, il dipingere opere di grande formato può dare l’impressione di voler realizzare qualcosa di pomposo, grandioso: lo scopo per cui lo faccio è invece di essere intimo alla esperienza umana degli altri; … quando si realizza un grande quadro, si è al suo interno e quando lo si contempla si percepisce la mancanza di limiti come il malessere dinanzi a quanto non può essere espresso, e come libertà di superamento della visione comune…”.
La Chapel da questa funzione primaria deriva una valenza più ampia e robusta di invito alla contemplazione. Rothko, del resto, pur ricco del suo background biblico, ritiene fortemente religiosa ogni esplorazione estetica, che egli avverte affine alla esperienza esistenziale del tragico.
La dimensione religiosa si esplicita nello spazio della cappella anche con la offerta di testi sacri delle diverse tradizioni, presenti come risorsa di lettura e come attestazione di una accoglienza scevra da esclusioni e da pregiudizi. All’esterno dell’edificio un suggestivo monumento qualifica in termini di memoriale civile lo spazio intorno ad uno specchio d’acqua riflettente: è il Broken Obelisc che Barnett Newman, un artista amico di Rothko, dedicò a Martin Luther King. La Rothko Chapel, che è segnalata dal National Geographic come una delle prime dieci località dispensatrici di pace nel mondo, appartiene attualmente alla Rockfeller Foundation di Houston e rappresenta un luogo di costante richiamo per visitatori di confessione religiosa diversa e svolge in questo senso una serie di attività programmate secondo un calendario preciso. Se ne occupa il personale della Fondazione e la sua recente decisione di aprire la cappella anche a riti privati diversi (commemorazioni familiari, matrimoni…), che va nella direzione di garantire entrate congrue con le spese di gestione, è anche un indicatore di vitalità e di efficace presenza dell’edificio riconosciuta nel contesto urbano in cui sorge.
2.3.3 La “sala de reflexiò” - Barcellona 1996
“Fondamento del sapere è il vuoto, saper realizzare il vuoto è la condizione elementare della attesa dell’apprendere”: con questa provocatoria affermazione di valore viene presentata da Antonio Tapies la suggestiva cripta nuda che nella nuova università Pompeo Favre di Barcellona si offre alla meditazione solitaria, ma anche a momenti di dialogo, seminario, incontro e scambio tra studenti e docenti. Le pareti bianche spoglie ospitano un solo grande episodio figurativo, un dittico di pittura astratta che, mimando l’apertura di due pagine di libro e alludendo quindi ad una misteriosa narratività, presenta la sagoma enorme di un utero che potrebbe anche essere una campana, un frutto, un inizio di vita…
Nel vuoto dell’interno campeggia solo una vecchia sedia impagliata, che dialoga, nelle sue elementari pesantezze materiche, con altre gemelle sedie appese alla parete di fronte, pronte ad essere usate e riposte, evocanti una comunità possibile, sospesa, muta…
Parlano invece sommessi, alcuni segni-graffiti sulle pareti: la “inevitabile” icona della croce ospita paradossalmente le due parole-chiave della sapienza orientale, samsara / nirvana, proposte come richiami alla elementare polarità tra la sofferenza inquieta del desiderio e la pace della liberazione. Su un piccolo umile altare un serpente uroboro scolpito in pietra segnala la dimensione escatologica della ciclicità della vita e il compito di transito dalla morte alla vita…
Da questi primi illustri esempi, che restano lontani da una qualche riproducibilità, almeno nel senso del loro alto livello estetico-espressivo, passo alla analisi di una piccola e più modesta realizzazione, che mi è parsa convincente dal punto di vista dei parametri che via via sono andata formulando in una mia griglia di lettura e di valutazione.
2.3.4 Sihlcity - Zurigo 2006.
A Sihlcity, Zurigo, da 5 anni esiste una… chiesa non-chiesa, uno spazio bello e accogliente, aperto al silenzio, alla accoglienza, alla quiete di una sosta, dentro un vivacissimo centro commerciale che attira la popolazione del territorio cantonale non solo per lo shopping, ma per pranzare, ballare, assistere a spettacoli musicali, circensi, ecc.
Ecco in un angolo seminascosto di questo grande spazio attrezzato, segnalata in termini discreti ma accurati, l’offerta di qualcosa che non si compera, che è il richiamo alla benevolenza di un Dio e alla accoglienza fraterna, alla solitudine che ricompone.
Sihlcity era una cartiera attiva nel sobborgo omonimo di Zurigo dal 1836 al 1973; essa nei suoi edifici di mattoni rossi aperti sul fiume Sihl ha dato lavoro nel corso di più di un secolo a migliaia di persone. Il dismesso industriale, ora del tutto irriconoscibile sotto gli accattivanti e funzionali rivestimenti in plastica delle luminose gallerie commerciali, si mostra ancora col suo volto originario solo nella vetusta ciminiera, ai piedi della quale il modesto edificio della ex-centrale termica ospita la cappella interconfessionale, annunciata da un piccolo ombroso giardino.
Di dimensioni modeste, la cappella è inserita in una piccola struttura, dove alcuni locali attrezzati per l’accoglienza invitano via via al silenzio dell’interno. Come la ciminiera all’esterno, c’è un segnale evocativo di memoria anche nel vestibolo: la vecchia campana dell’opificio (40 per 45 cm) che scandiva i tempi del lavoro nella fabbrica; ovviamente nessuno oggi la suona: ciò mi pare metafora efficace. Il luogo della preghiera nel caos della città ha da essere periferico, silente, nascosto, potenzialmente negletto, potenzialmente prezioso…
L’accessibilità è infatti nella Kalendarplatz del centro commerciale, ben segnalata, ma insieme schermata da una collocazione appartata: è un luogo che non si offre facilmente, bisogna andarlo a cercare seguendo tracce discrete e facendo attenzione…
Soglia di cristallo dai battenti pesanti e luce bassa diffusa: siamo in una sala di non più di 30 mq, le cui pareti sono ricoperte di un fitto tendaggio di fili di piccole sfere d’acciaio,che col loro oscillare leggero danno la percezione di annullamento dei muri e di dilatazione dei volumi.
Protagonista dello spazio la grande vetrata opera di Hans Erni, l’artista chiamato il “Picasso svizzero” che si esprime con grande libertà in forme sia astratte che figurative e lavora per la cappella di Zurigo alla vigilia dei suoi cento anni (1909-2010): egli sceglie di affollare lo spazio colorato di complessi rimandi simbolici: al centro un occhio, persistente ma discutibile rimando al divino che ci guarda. O forse al nostro guardare, sì, alla esperienza dello sguardo che, dice Rilke, “noi in vita lentamente impariamo…” ; intorno esseri viventi, animali soprattutto, scenari naturali inquietanti che evocano forse il danno tecnologico sul creato, o che rinviano alla vitalità, anche attraverso simboli delle diverse tradizioni religiose…
Lo spazio della stanza è orientato, non solo per la segnalazione sul pavimento dell’ideogramma dell’Islam in direzione dell’oriente, ma per la presenza in posizione rilevata di elementi caratterizzanti la parete verso cui sono rivolti i sedili, un grande cero, un leggio, ai cui piedi sono lasciati dei tessuti colorati, dei petali di fiori, dei kilim. Nelle scaffalature laterali sono presenti libri delle tradizioni religiose: la Bibbia in tedesco, il Quran, la Bahgavadgita, dispositivi per la filodiffusione e l’ascolto. Oltre ai testi delle “regole d’oro” delle religioni del mondo, coi relativi riferimenti bibliografici e i rispettivi simboli iconici, compaiono accurate ed eleganti pubblicazioni di “Rastworte”, in cui citazioni di salmi biblici, pensieri di Gandhi, di Bonhoeffer, di Kierkegaard, di Nelly Sachs, fanno affiorare non solo una selezione intelligente di stimoli alla ricerca meditativa, ma anche la persistente suggestione delle religioni positive e del loro potenziale ispiratore pur in ambiti aperti intenzionalmente alla spiritualità laica.
La disposizione nello spazio della sala ne è del resto conferma: chi decide di sostare lì dentro siede invitato a guardare, verso un libro, o verso un lume, o qualcosa che comunque gli evoca il “sacro” delle proprie memorie religiose; il vuoto, l’assenza sono qui esperienze non attingibili.
È posto in evidenza anche il registro dei visitatori, da cui si può trarre l’informazione diretta, anche se non completa, circa il flusso degli accessi, e le espressioni del vissuto dei visitatori. L’uso quasi esclusivo della lingua tedesca, a me sconosciuta, me ne ha impedito un’utile consultazione, ma i volontari presenti negli attigui locali della accoglienza mi hanno fornito indicazioni preziose sulla frequentazione della cappella. Si parla di frequentatori connotati da provenienze multietniche, ma spicca per precisazione esplicita ribadita anche in analoghi siti inter-religiosi, l’assenza degli ebrei. Si parla di buona, pur non prevalente presenza di giovani, disposti anche ad intraprendere colloqui spirituali coi volontari che garantiscono la custodia della cappella (sono protestanti e cattolici, tra cui continuativamente un pastore della chiesa riformata svizzera). E qui si coglie, come ho sopra precisato, l’elemento peculiare che imprime al luogo l’impronta decisiva della sua vitalità e del suo significato: la presenza concreta di una vigile committenza. Sono, anche in questo, come in altri casi non italiani (aeroporti, stazioni ferroviarie, centri commerciali) delle comunità cristiane, comunità protestanti o parrocchie cattoliche che si accordano per far decollare queste offerte spirituali, che restano comunque ancorate alla presenza di persone che si rendono disponibili, e immagino competenti, all’incontro, al colloquio. Nel caso di Sihlcity, essi invitano anche settimanalmente chi vuol condividere nei locali della ospitalità un pasto frugale, sperimentando una occasione di accoglienza integrale. Alla Sihlkirche si associa così, nel sentire della gente di passaggio e di chi lavora nel centro commerciale, il ricordo della calda zuppa di nocciole e patate, che il mercoledi mezzogiorno fa tutt’uno con l’incontro, il dialogo, il riconoscimento reciproco nelle diversità, tratti di benessere elementare. C’è in questo luogo e in queste esperienze l’annuncio leggero e sereno di qualcosa che forse connoterà l’espressione dell’identità e l’autentica testimonianza cristiana negli anni a venire…
Diradandosi e dissolvendosi, infatti, memorie e vincoli delle proprie appartenenze storiche, uomini e donne in ricerca di attimi di autenticità interiore, si incontreranno forse anche così, nella preghiera solitaria, nel condividere risorse, nel gesto semplice del farsi reciprocamente posto, premessa per comprendersi ed aiutarsi a restare umani.
2.3.5 Gli esempi degli ospedali italiani
Le realizzazioni che sono riuscita a censire e su cui si è concentrato il mio interesse, passando dal piano dela documentazione a quello della ricognizione diretta, si possono così classificare:
in Italia :
cappella all’ospedale delle Molinette, Torino
“ “ di Legnano
“ “ di Como
“ “ di Vimercate, recentemente trasformato in cappella cattolica.
In Svizzera :
a Basilea cattedrale trasformata in cappella ecumenica e inter-religiosa
a Zurigo cappella nell’aeroporto Kloten
cappella nella stazione ferroviaria
cappella nel centro commerciale Sihlcity.
Tengo forte la distinzione tra i due gruppi di esemplari per le nette differenze che connotano anche i due contesti di riferimento, con cui nelle mie visite e nelle interviste in loco mi sono confrontata.
In Italia le cappelle di stazioni ferroviarie e aeroporti sono tutte rigorosamente cattoliche: il progetto del cardinal Martini nel 1998, al sorgere della grande Malpensa, di dotare l’allora nuovo aeroporto di uno spazio inter-confessionale, affidandone la progettazione all’arch. svizzero Mario Botta, non ebbe seguito per il mancato consenso delle autorità aeroportuali; si è realizzata poi una cappella cattolica.
Le rarefatte espressioni del culto cattolico che vi si ritrovano, peraltro doviziosamente sorrette da rilevanti tratti devozionali (icone mariane soprattutto), non ascrivono questi luoghi alla tematica della presente ricerca. Si fanno presenti invece in questi ultimi 10 anni esperienze di costruzione di “sale del silenzio” negli ospedali regionali del Piemonte, della Lombardia e del Lazio…..
La prima esperienza in ordine di tempo, quella dell’Ospedale delle Molinette a Torino, data del 2006 e la sua realizzazione rappresenta un po’ un percorso paradigmatico, attualmente, se non erro, ripreso e amplificato nella esperienza della erigenda “sala del silenzio”degli Ospedali riuniti San Camillo e Forlanini di Roma.
Questo l’iter progettuale:
1. si realizzano accordi e intese informali tra la Direzione sanitaria e i responsabili per la assistenza religiosa dei pazienti dei vari culti e delle diverse culture;
2. Si assume come base per una intesa la dichiarazione di Amsterdam del 2004, nell’ottica del “migrant friendly hospital project”, e si istituisce un tavolo interculturale, multi-religioso col compito di redarre un protocollo di accoglienza che preveda attenzioni e garanzie sulle modalità di rispetto della cultura e della dignità del malato, del morente, della salma, della relazione con le persone di riferimento affettivo;
3. Solo a seguito di questo percorso di costruzione di un patrimonio di riflessione e di prassi condivisa sulla dimensione spirituale della malattia, della cura, della morte, la realizzazione del luogo per il silenzio il raccoglimento la meditazione diventa un ancoraggio concreto anche per facilitare l’incontro con persone accreditate dalle diverse fedi o culture per momenti di ricerca e di conforto;
4. La “stanza del silenzio” alle Molinette, nella sua effettiva concretezza, si presenta poverissima: grandi immagini rasserenanti, divani e tappeti comodi ma usurati rendono possibile sosta e riposo, a detta dei custodi anche per le notti e le giornate invernali dei “barboni”….; copie sgualcite dei libri sacri e quaderni disponibili per annotazioni libere da parte dei visitatori, sono elementi di arredo estremamente modesti, ma efficacemente privi di simbolizzazione di parte;
5. Non è chiaro, ma il particolare non è irrilevante, chi nell’ordinario custodisce…, pulisce (?) la stanza, che è ben segnalata negli spazi contigui dell’ospedale, ma assai decentrata: anche qui la non informazione suggerisce l’informazione. Il luogo degli incontri, delle intese, delle decisioni gestionali è presumibilmente altrove, in quella rete informale che si immagina sussista tra le persone responsabili delle diverse confessioni religiose: l’assistenza al letto dei malati sicuramente per loro merita maggior rilievo e più precisa attenzione... Ma la sala, per quanto dimessa e trascurata, mostra nelle date dei quaderni di annotazione libera dei visitatori, una consistente continuità di frequentazione.
Tutt’altra storia quella degli ospedali lombardi: qui per ben tre nosocomi di recente costruzione, realizzati tra il 2009 e il 2011, Legnano Como Vimercate, l’amministrazione sanitaria regionale ha ideato luoghi di silenzio. Essi sorgono in ambiti in genere assai prossimi alle onnipresenti cappelle cattoliche e ne viene affidata la progettazione ad una équipe di artisti e architetti che così ne configura, nel settembre 2010, le linee-guida:
“… Dar forma e compiutezza d’arte in un ospedale a spazi dedicati alla preghiera personale e al silenzio, ma anche al rapporto col dolore, con la morte, o col meraviglioso evento del parto e della nascita, è intervento che esige chiarezza e insieme discrezione. La natura del luogo e il carattere delle esperienze umane di cui è teatro non lasciano campo a vanità, ad atteggiamenti che ignorino il senso profondo del nascere, del vivere, del soffrire, del morire, del pregare. Occorre perciò configurare luoghi calmi, semplici, durevoli, non effimeri, ospitali, silenziosi, armonici… essi devono risultare capaci di accogliere ogni persona, e di veicolare significati in modi attenti e rispettosi della condizione di ciascuno… secondo criteri artistici improntati ad una discrezione minimalista…”.
Dopo aver delineato i criteri per la scelta dei professionisti, e i loro rispettivi ruoli ( un architetto arredatore e, su indicazione, altri artisti), il testo delle linee-guida precisa: “… Ci si orienta per una voluta complessiva compresenza di segni e di immagini. Il segno offre evocazioni universali di religiosità, mentre l’immagine ha più forte connessione con le fedi: il luogo del silenzio non può che essere eminentemente luogo segnico… Non trattandosi mai di luogo di culto, nulla può essere aggiunto rispetto a quanto qui predisposto, neppure temporaneamente: portale di ingresso, panche, vetrate o pannelli murali non figurativi, eventuale segno o oggetto, su cui poter posare lo sguardo, nella meditazione silenziosa".
Il risultato della iniziativa è stata la realizzazione di due interessanti stanze del silenzio di piccole dimensioni: non dimentichiamo che nella progettazione dei nosocomi, esse finiscono per occupare solo modesti spazi di “risulta”.
Ciascuno di essi ospita però una importante presenza simbolica, effettivamente capace di richiamo spirituale non confessionale.
Nell’ospedale di Legnano si è realizzato un “gioco d’acqua” : in un disco scuro e inclinato, collocato al centro del locale, scorre acqua dentro un canaletto dal percorso a labirinto. Il piano ha anche funzione di seduta, e l’acqua che vi sgorga e che percorre il tracciato secondo un moto casuale, privo di senso, va a confluire e a scomparire nel centro.
"Si tratta in realtà", osserva il progettista E. Ceriani, "di un anti-labirinto: solo in apparenza caotico, il moto è di fatto obbligato, senza alternative se non di tempi e conduce in modo inesorabile al suo centro".
“… A discrezione il gioco e il mormorio leggero dell’acqua possono essere intesi come allegoria di percorsi individuali che si rincorrono secondo direzioni in apparenza contrastanti, in realtà destinati a snodi comuni e rivolti ad un’unica meta… Il centro o meta può essere simbolicamente: il seno di Abramo, i paradisi, le reincarnazioni, il ritorno al tutto, o il nulla o la forza del dolore. Per tutti passaggio, soglia, esito obbligato… la cui reale consapevolezza può avvicinare o accomunare persone falsamente in contrasto per il senso del loro andare. La proposta va quindi anteposta ad ogni fede, o assenza di fede, nessuno escludendo…”.
Nel caso di Como la piccola sala irregolare allungata verso una brutta finestra trova orientamento in una trave-spina dorsale a soffitto da cui è tesa fino al pavimento una corda sonora, che, pizzicata, risuona producendo suoni bassi e vibratili. “Chi entra può toccarla ed essere coinvolto in una ritualità di tipo primitivo, che vive del solo evento sonoro: l’evolversi del suono infatti non dipende più dalla volontà di chi l’ha provocato…”.
La finezza della ideazione di questi due esempi, che non ha confronto per la qualità realizzata, con gli altri esempi che ho visitato, cade però in un contesto in cui una committenza lontana, pur attenta all’esito estetico, agisce in assenza di tracce di cultura inter-religiosa condivisa. Si tratta di espressioni di ricerca artistica isolate, in un contesto che le ignora, non le segnala opportunamente, le lascia orfane di relazioni interpersonali e inter-istituzionali, le abbandona alla obsolescenza: i cappellani cattolici, gli unici interlocutori che ne conoscono l’esistenza, mi parlano di una quasi totale assenza di frequentatori dei siti. Non può in effetti un luogo, anche il più suggestivo, sopperire col suo valore ambientale alla assenza di cura, animazione, iniziativa efficace.
(continua)
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