Formazione Religiosa

Domenica, 10 Marzo 2019 21:10

Quella mors turpissima crucis che il Padre non voleva. Capitolo 1 §2 (Marco Galloni)

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La teoria della soddisfazione di Anselmo d’Aosta è spesso considerata un po’ come la madre di tutti gli equivoci in materia di soteriologia cristiana, la causa principale, se non addirittura l’unica, di ogni errore e fraintendimento.

§2. Serenthà e la discussione più recente

Il citato articolo di M. Serenthà, La discussione più recente sulla teoria anselmiana della soddisfazione: attuale “status quaestionis” (cfr. n. 11), offre una panoramica ampia e approfondita di quanto la riflessione teologica ha saputo dire su Anselmo nel ‘900, e in particolare nella seconda metà di questo secolo. I punti di vista dei teologi presi in esame da Serenthà non convergono verso conclusioni univoche. L’autore lo dice in modo esplicito: «Il panorama a questo proposito è [...] parecchio differenziato: si va dalla “stroncatura” tutto sommato radicale fino alla “difesa” più netta e decisa»(25) . Tuttavia Serenthà – come si vedrà più avanti – alla fine dell’articolo riesce a trovare un accordo, un punto in comune tra posizioni pur così distanti.  Serenthà divide l’articolo in tre parti: nella prima esamina la produzione cristologica più recente; nella seconda analizza la letteratura specializzata, cioè gli interventi espressamente dedicati a ricostruire e valutare la soteriologia anselmiana; nella terza conclude con sue osservazioni. L’autore opera tale distinzione, che pure ammette non essere così agevole, «per evitare di mettere sullo stesso piano valutazioni scaturenti da una analisi in proprio della visione anselmiana e valutazioni che magari, expressis verbis, a quella analisi rimandano, limitandosi a riproporne le conclusioni»(26) . Per Serenthà gli autori di opere cristologiche che si sono dedicati con un certo impegno al tema in questione sono solo due: W. Kasper con Gesù il Cristo e H. Küng con Essere cristiani. Decisamente più lungo l’elenco degli specialisti, cioè degli autori che si sono concentrati esclusivamente o prevalentemente sulla soteriologia anselmiana: H. U. von Balthasar, J. Plagnieux, F. Hammer, H. Dombois, J. Ratzinger, H. Kessler, R. Haubst, G. Greshake, M. Flick e Z. Alszeghy (27). Si tratta, come anticipato, di una rassegna niente affatto omogenea, che rivela divergenze di opinione spesso profonde; da queste discrepanze a livello di letteratura specializzata deriverebbero, secondo Serenthà, le differenze che caratterizzano la produzione cristologica in senso lato, cioè gli appena citati Gesù il Cristo di Kasper ed Essere cristiani di Küng.

§2.1. Il punto di vista di W. Kasper

Kasper afferma, rimandando esplicitamente a uno studio di G. Greshake, Erlösung und Freiheit (28), che «[...] la teoria anselmiana della soddisfazione può essere compresa soltanto sullo sfondo dell’ordinamento di vita vigente tra i Germani e nel primo medio evo, un ordine basato sul rapporto di reciproca fedeltà che stringe tra loro il signore feudale e il vassallo. Costui ottiene dal suo signore il feudo e la protezione, e partecipa così al suo pubblico potere, in cambio il signore riceve dal vassallo la promessa di fedeltà e servizio. A fondamento dell’ordine, pace, libertà e diritto sta dunque il riconoscimento dell’onore del signore. Non si tratta di un onore privato, bensì di una collocazione sociale, attraverso la quale il signore si rende garante della pacifica convivenza tra i suoi sudditi. Ledere questo onore significa compromettere lo stesso diritto e pace, comporta la schiavitù e il caos. Per ripristinare questo onore non bisogna che si soddisfino le personali esigenze del signore, ma è necessario che si stabilisca anche l’ordine dell’intera compagine. Così Anselmo distingue tra onore di Dio “in quanto a lui si riferisce” e onore di Dio “in quanto si riferisce alla creatura stessa”. Stando al primo punto di vista bisogna ammettere che questo onore non può essere né aumentato né diminuito. Se però l’uomo non riconosce più l’onore di Dio, allora risulta compromesso lo stesso ordo iustitiae vigente nel mondo» (29). Kasper prosegue chiarendo che in gioco non c’è un Dio geloso del proprio onore e nemmeno un astratto ordinamento giuridico che esigerebbe una compensazione, quanto l’esigenza di pace, libertà, ordine e pienezza di senso nel mondo. Dio, però, ha creato liberamente l’uomo e vuole che anche le sue creature lo riconoscano spontaneamente; egli non può pertanto ristabilire quest’ordine sola misericordia, «passando per così dire sopra la testa degli uomini. Legandosi all’ordo iustitiae Dio presta l’onore dovuto alle sue creature, rispetta la loro libertà e si mostra fedele alla sua creazione. Questo vincolo, liberamente accettato, all’ordo iustitiae esprime così la fedeltà del Dio creatore» (30). In altre parole, per dirla con Serenthà, «Gesù Cristo, assumendo su di sé il “peso” della “soddisfazione” resa necessaria dal peccato, ridà spazio alla iustitia Dei, che è la fonte della vita e della consistenza dell’uomo; e così ristabilisce l’ordo del creato, la piena alleanza tra Creatore e creatura» (31).
Quella di Kasper è una decisa riabilitazione della teoria della soddisfazione. Il teologo tedesco conclude così il suo intervento: «Osservata in questa prospettiva, la teoria anselmiana della soddisfazione risulta pienamente conforme al mondo concettuale e rappresentativo della bibbia. [...] Nell’età moderna questa dottrina anselmiana della soddisfazione ha trovato sempre minor credito e venne sempre più decisamente respinta. Ciò si spiega con il dissolversi dell’ordinamento feudale e l’affermarsi dell’individualismo moderno» (32). Così Serenthà commenta le considerazione di Kasper: «È con il superamento della società feudale e l’affermarsi dell’individualismo [...] che la visione di Anselmo è diventata sempre più incomprensibile: di qui le critiche, in particolare da parte della teologia liberale, e recentemente anche in opere di autori cattolici» (33).

§2.2. L’opinione di H. Küng

Di parere diverso è H. Küng. Il teologo svizzero riconosce che Anselmo è stato «il primo a dare organicità a prospettive prima presenti in maniera sparsa e asistematica», come riferisce Serenthà (34). Ma afferma anche, dopo aver esposto lo schema della soddisfazione anselmiana, quanto segue: «Per i contemporanei era questa una teoria senza dubbio affascinante nella sua chiarezza formale, nella sua conseguenzialità giuridica, nella sua compiutezza sistematica. Costretta, tuttavia, in uno schematismo giuridicamente impersonale di equivalenze meccaniche: colpa ed espiazione, prestazione e contraccambio, danno e risarcimento. Altrove Dio è per Anselmo «ciò che non si può pensare più grande» o «più grande di ciò che si può pensare». Nella sua teoria della redenzione non risaltano però né l’incomprensibilità di Dio né la sua libertà (interamente legata al vigente ordine del mondo). La forzatura razionale, il restringimento sulla morte di croce e l’esasperazione giuridico-cultuale propri della teoria anselmiana della soddisfazione vennero corretti e reinterpretati già da Tommaso d’Aquino» (35). E ancora: «[...] In questa dottrina della redenzione non dominano, come nel Nuovo Testamento, la grazia, la misericordia e l’amore; domina, come nel diritto romano, una giustizia di stampo spiccatamente umano (iustitia commutativa); domina una logica del diritto, in nome della quale la morte di croce viene isolata sia dal messaggio e dalla vita di Gesù sia anche dalla sua resurrezione: Gesù, in fondo, è venuto per morire. [...] Più che riflettere il Nuovo Testamento, la teoria della soddisfazione enunciata da Anselmo rispecchia nella sua struttura specifica il medioevo e il suo concetto giuridico-razionale dell’ordine» (36). Le conclusioni cui giunge Küng sono esattamente opposte a quelle di Kasper: per il teologo svizzero risulta evidente «come il sistema giuridico di Anselmo travisi il messaggio biblico» (37). Non per niente Küng arriva a definire la teoria anselmiana «una fantasmagoria mortale tra Padre e Figlio», «un fosco processo di redenzione», e si domanda, non senza ironia: «Si deve forse anche a questo fosco processo di redenzione se in seguito i redenti ebbero così poco l’aspetto di redenti, come osservò criticamente Nietzsche?» (38).

§2.3. Von Balthasar e l’analogia libertatis

Per quanto riguarda gli specialisti ci limitiamo ad Hans Urs von Balthasar, tra i teologi più benevoli nei confronti dell’arcivescovo di Canterbury. Secondo Balthasar l’intera riflessione anselmiana si svolge all’insegna della libertà: «La scarna opera di Anselmo, splendida nel suo perfetto equilibrio, realizza in forma pura gli assunti dell’estetica teologica. La ragione anselmiana è monastica, come quella dell’Areopagita, ma benedettina, cioè al tempo stesso comunitaria, dialogica. Come ragione monastica, quanto alla forma essa è contemplativa, intuitiva, docile; come ragione benedettina è, quanto al contenuto, coscienza di libertà personale e di vita impregnata di libertà» (39). Anche l’analogia entis, nell’Anselmo di von Balthasar, è riletta in chiave di libertà: «Per lui (Anselmo) la analogia entis filosofica diviene analogia personalitatis o libertatis e, corrispondentemente, la perfetta realizzazione della creatura va a coincidere con la sua piena liberazione nell’assoluta libertà divina sulla via dell’inserimento in Dio [...]» (40). In fondo, dice ancora von Balthasar, i più importanti trattati dogmatici di Anselmo ruotano intorno al tema della libertà, e il Cur Deus homo, che «demitizza la dottrina della redenzione e fonda tutto nella spontanea libertà della morte del Redentore, ivi compresa l’emancipazione della libertà in catene dell’uomo» (41), non costituisce eccezione.
È evidente che l’analogia libertatis può realizzarsi solo nella grazia, come partecipazione alla vita trinitaria e anticipazione del compimento escatologico, cioè in vista di quella piena realizzazione che avrà luogo quando la creatura sarà libera con Dio e in Dio, e finalmente vorrà unicamente ciò che Dio vuole. Non si tratta quindi di limitare la libertà umana, di costringerla in recinti rigidamente prestabiliti ma, al contrario, di liberarla, di farla crescere e maturare, di esercitarla pienamente. Ecco perché è necessario un Dio-uomo che riconduca la libertà della creatura nella libertà assoluta di Dio (42). Scrive ancora von Balthasar: «La libertà divina non è costretta dalla minima necessità quando Dio liberamente (sponte) si risolve a salvare l’uomo perduto. E tutta l’obbedienza del Figlio incarnato dipende integralmente dalla spontaneità del suo amore, sviluppa soltanto le intrinseche necessità di questo amore libero, e questo fino al mistero del monte degli ulivi, all’assunzione della colpa del mondo, alla morte. Tutto il mistero trinitario che si cela nella relazione tra Padre e Figlio – il fatto che il Figlio obbedisca realmente e sino alla fine, e che d’altra parte il Padre non costringa a nulla, ma permetta il cammino sacrificale del Figlio – è, comunque lo si consideri, un mistero di amore spontaneo e non costretto. Ed appunto questa spontaneità, assoluta perché divina, nel sacrificio del Figlio ne costituisce il valore supremo che infinitamente compensa tutte le colpe del mondo» (43).
Osservata da questo punto di vista le teoria della soddisfazione anselmiana perde molto del suo carattere cupo e diventa persino, come dice Albanesi, “avvincente e convincente”: «L’uomo con il peccato ha distrutto l’armonia del cosmo e deturpato l’opera di Dio, degradando, nello stesso tempo, la sua stessa natura. Sebbene la potenza e la dignità di Dio non vengano toccate minimamente dal peccato dell’uomo, tuttavia l’onore di Dio viene in un certo qual modo macchiato, in quanto l’uomo non ha saputo conservare il posto che il creatore gli aveva assegnato. Dunque l’ordine infranto esige una riparazione; l’alterazione dell’armonia dei rapporti tra Dio, creato e creatura va sanata, perché Dio non può tollerare lo squilibrio, il caos, la deformità nella sua opera. E siccome l’amore ha senso solo nella reciprocità dei rapporti, l’uomo deve essere messo in condizioni di corrispondere, nella libertà, all’amore di Dio, restituendogli quella dignità che aveva perso con il peccato. L’uomo deve essere necessariamente coinvolto in maniera attiva nel dinamismo della redenzione, per tornare ad essere il partner di Dio a pieno diritto» (44).
Von Balthasar sottolinea il fatto che una simile dinamica di redenzione non ha in sé nulla di giuridico: «Al contrario, Anselmo intende respingere ogni rappresentazione di un Dio di giustizia “che si diletti del sangue di un innocente o che ne abbia bisogno, né voglia perdonare al colpevole se prima l’innocente non è stato ucciso”» (45). Il teologo svizzero arriva persino a riconsiderare l’azione mediatrice del Figlio: «Cristo non è (ariana) istanza mediatrice, ma è l’efficacia del patto stesso (pacti efficacia), perciò l’intero genere umano fondato da Adamo può convergere verso quel centro che egli è» (46).
Von Balthasar opera dunque, al pari e forse più di Kasper, una riabilitazione della teoria della redenzione di Anselmo. Tuttavia non ne nasconde i limiti e i punti deboli, che elenca nel IV volume della Teodrammatica. Così li riassume N. Albanesi: un certo estrinsecismo; eccessiva concentrazione sulla morte del Dio-uomo; debole riferimento trinitario (47).

§2.4. Una rivalutazione del pensiero anselmiano

Abbiamo visto, sia pure in estrema sintesi, quanto divergano le opinioni dei teologi sul pensiero di Anselmo e in particolare sulla teoria della soddisfazione. Serenthà riesce però a trovare un denominatore comune tra pareri così differenti. Egli ritiene superato lo status quaestionis secondo il quale la teoria anselmiana condurrebbe a un insufficiente riconoscimento del libero dono di Cristo e a un’eccessiva enfasi sulla necessità della morte dell’uomo-Dio. Per Serenthà i problemi che pone oggi la riflessione anselmiana sono ben più radicali: riguardano l’immagine di Dio che sta dietro l’elaborazione di Anselmo, la sua visione dell’ordo universi e del peccato dell’uomo, lo spazio accordato alla vicenda storica di Cristo, l’eventuale rapporto con le attuali tematiche sull’auto-redenzione/emancipazione dell’uomo... (48). In questo, secondo Serenthà, esisterebbe «un consenso abbastanza generalizzato tra gli Autori esaminati, soprattutto i più recenti: sia in chi ritiene di dover parlare di fondamentali carenze insite nella visione elaborata dall’Arcivescovo di Canterbury, sia in chi ne dà una valutazione più positiva» (49).
Al termine del suo articolo Serenthà riabilita Anselmo: «[...] La lezione anselmiana – scrive – potrà rivelarsi carica di una sua significatività» (50). Perché ciò si verifichi, tuttavia, occorre collocare correttamente l’autore nella cultura del suo tempo e risalire direttamente a lui, andare cioè al di là delle riduzioni fattene in particolare dai manuali. Serenthà riconosce al pensiero anselmiano i seguenti meriti: il superamento definitivo della teoria, presente in ambito patristico, dei cosiddetti diritti del demonio; l’assenza del Deus offensus et iratus di cui parlano alcuni padri, per esempio Tertulliano; lo sforzo di ricercare una intelligibilità del dato di fede, senza limitarsi semplicemente a riproporlo (51). Questa rivalutazione di Anselmo, precisa Serenthà, va operata «avendo di mira una serena e “spregiudicata” disamina che non lo squalifichi solo perché si tratta di un autore non moderno, ma neppure dimentichi l’acquisizione ormai comune che “interpretazione non è equivalente a difesa dell’Autore, come spesso si pensava nei tempi passati. Si credeva di dover usare riguardo al Santo e al Dottore della Chiesa, al quale non si poteva attribuire alcun difetto. Questi tempi sono fortunatamente finiti”» (52).

Marco Galloni

Note

25) M. SERENTHÀ, op. cit., p. 345.
26) Ibidem.
27) Ivi, pp. 345 – 383.
28) W. KASPER, Gesù il Cristo (titolo originale: Jesus der Christus, Matthias-Grünewald-Verlag, Mainz, 1974), trad. it., Queriniana, Brescia, 2010, p. 308, n. 51.
29) Ibidem.
30) Ivi, pp. 308 – 309.
31) M. SERENTHÀ, op. cit., p. 347.  
32) W. KASPER, op. cit., p. 309.
33) M. SERENTHÀ, op. cit., p. 347.  
34) Ivi, p. 348.  
35) H. KÜNG, Essere cristiani (titolo originale: Christ Sein, R. Piper and Co. Verlag, München, 1974), trad. it., Rizzoli, Milano, 2012, pp. 567 - 568.
36) Ivi, pp. 569 - 570.
37) Ivi, p. 568.
38) Ivi, p. 569.
39) H. U. von BALTHASAR, Gloria II (titolo originale: Herrlichkeit - Fächer der stile: Klerikale stile; Johannes Verlag, Einsiedeln, 1962), trad. it., Editoriale Jaca Book, Milano, 2001, p. 191.
40) Ivi, pp. 221 - 222.
41) Ivi, p. 214.
42) Cfr. N. ALBANESI, op. cit., p. 45.
43) H. U. von BALTHASAR, op. cit., p. 222.
44) N. ALBANESI, op. cit., p. 45 - 46.
45) H. U. von BALTHASAR, op. cit., p. 225.
46) Ivi, p. 226.
47) N. ALBANESI, op. cit., p. 48.
48) M. SERENTHÀ, op. cit., p. 389.
49) Ibidem.
50) Ivi, p. 392.
51) Ibidem.
52) Ivi, pp. 392 – 393: la frase riportata da Serenthà tra virgolette è di P. Franciscus Salesius Schmitt, editore dell’Opera Omnia di Anselmo.

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Fausto Ferrari

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