Vita nello Spirito

Sabato, 26 Giugno 2004 10:43

Il "disgusto" e il silenzio di Dio (Bruno Forte)

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Di fronte al silenzio di Dio e alla sua inquietante ambiguità, l’essenziale è la semina, l’atto che si compie in obbedienza a Lui, lasciando nelle Sue mani l’intero raccolto dell’avvenire

Sono in molti ad essere stati colpiti dalle parole pronunziate dal Papa nell’udienza dell’11 dicembre. In riferimento a un testo del profeta Geremia (14, 19-21) e in particolare alla domanda rivolta a Dio "Perché ci hai colpito, e non c’è rimedio per noi?", Giovanni Paolo II ha detto: "Oltre alla spada e alla fame, c’è una tragedia maggiore, quella del silenzio di Dio che non si rileva più e sembra essersi rinchiuso nel suo cielo, quasi disgustato dall’agire dell’umanità".

Chì si sentisse scandalizzato davanti a simili espressioni, dovrebbe ricordare che il Papa sta commentando un testo profetico struggente, pronunciato in una situazione drammatica del popolo di Israele da un uomo, Geremia, che è l’unico fra i profeti ad essere stato chiamato da Dio a una consacrazione totale. Non è dunque difficile cogliere un’analogia fra il grido del Profeta e il grido ripetuto di questo vecchio Papa, che chiede pace e giustizia per i più deboli e non perde l’occasione per dire no alla logica folle della guerra come via di soluzione dei conflitti. È come se - davanti alla sordità dei potenti della terra - il Papa si appellasse al giudizio di Dio e col Profeta riconoscesse nel divino silenzio un drammatico giudizio sui mali del mondo. Si comprende allora come questo lamento – lungi dall’essere voce di disperazione o addirittura di sfida – sia voce dell’amore di chi sente tutto il peso del peccato del mondo e legge nel misterioso linguaggio dell’Eterno un appello dolente a ritornare a Lui.

Ma non è questo un invito utopico? Un pensatore ebreo, Andrè Neher, che al silenzio del Dio biblico ha consacrato forse la sua opera più bella ("L’esilio della Parola. Dal silenzio biblico al silenzio di Auschwitz", Genova 1983) ci aiuta a trovare risposta a queste domande, descrivendoci un Dio che responsabilizza l’uomo davanti al futuro senza garantirgli niente, rendendolo attento al valore dell’opera presente a prescindere da ogni risultato o ricompensa promessi. "Dio si è ritirato nel silenzio – scrive Neher - , non per evitare l’uomo ma, al contrario, per incontrarlo. (…) Cessando di essere un rifugio, il silenzio diventa il luogo della suprema aggressione. La libertà invita Dio e l’uomo all’appuntamento ineluttabile".

È nel rischio della libertà che si gioca insomma con la vita di ogni uomo davanti al tempo e davanti all’eterno: chi in Dio non cerca facili rassicurazioni, ma la nuda roccia della verità, sa che il bene va fatto anche quando apparisse improduttivo o perdente. Di fronte al silenzio di Dio e alla sua inquietante ambiguità, l’essenziale è la semina, l’atto che si compie in obbedienza a Lui, lasciando nelle Sue mani l’intero raccolto dell’avvenire. Al silenzio di Dio può corrispondere allora solo un atto di amore gratuito e totale, che porti a rischiare ogni cosa pur di piacere a Lui e a costruire la vita e il mondo secondo la sua volontà. Come dire: occorre giocare tutto sulla convinzione che la pace è opera di giustizia, e che senza giustizia e perdono non ci saranno mai la pace e il bene per tutti. Ma chi dei grandi dell’Occidente sarà disposto ad ascoltare questo grido di dolore, di speranza e di fede, in Dio e nell’uomo?

Bruno Forte

 

Letto 4352 volte Ultima modifica il Venerdì, 11 Gennaio 2013 09:24
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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