Formazione Religiosa

Venerdì, 15 Settembre 2006 01:49

Il sacrificio di Abramo (AA.VV.)

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Il sacrificio di Abramo


Abramo è il padre comune dei credenti appartenenti alle tre religioni monoteistiche. Egli ha una duplice discendenza: Isacco, nato dalla sua legittima moglie Sara, e Ismaele, il figlio nato da Agar, la schiava di Sara. La tradizione attribuisce al primo la discendenza ebraica e all'altro la discendenza araba. Il testo coranico non precisa se il figlio che Dio chiede ad Abramo di immolare sia Isacco o Ismaele.




Genesi 22,1 - 19


Dio mise alla prova Abramo e gli disse: “Abramo! Abramo!”. Rispose: “Eccomi!”. Riprese: “Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio, che ami, Isacco, và nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”. Abramo si alzò di buon mattino, sellò l'asino, prese con sé due servi e il figlio Isacco, spaccò la legna per l'olocausto e si mise in viaggio verso il luogo che Dio gli aveva indicato.

Abramo prese la legna dell'olocausto e la caricò sul figlio Isacco, prese in mano il fuoco e il coltello, poi proseguirono tutt'e due insieme. Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: “Padre mio!”. Rispose: “Eccomi, figlio mio”. Riprese: “Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto?”.

Abramo rispose: “Dio stesso provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio!“. Proseguirono tutt'e due insieme; così arrivarono al luogo che Dio gli aveva indicato; qui Abramo costruì l'altare, collocò la legna, legò il figlio Isacco e lo depose sull'altare, sopra la legna. Poi Abramo stese la mano e prese il coltello per immolare suo figlio. Ma l'angelo del Signore lo chiamò dal cielo e gli disse: “Abramo, Abramo!”. Rispose: “Eccomi!”. L'angelo disse: “Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio”. Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l'ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio.



Sura 37, dal versetto 101.


Gli demmo la lieta novella di un figlio magnanimo.

Poi quando raggiunse l'età per accompagnare suo padre, questi gli disse: “Figlio mio, mi sono visto in sogno in procinto di immolarti. Dimmi cosa ne pensi”. Rispose: “Padre mio, fai quello che ti è stato ordinato: se Allah vuole, sarò rassegnato”.
Quando poi entrambi si sottomisero, e lo ebbe disteso con la fronte a terra,
Noi lo chiamammo: “O Abramo,
hai realizzato il sogno. Così Noi ricompensiamo quelli che fanno il bene.
Questa è davvero la prova evidente”.
E lo riscattammo con un sacrificio generoso.
Perpetuammo il ricordo di lui nei posteri.
Pace su Abramo!
Così ricompensiamo coloro che fanno il bene.
In verità era uno dei nostri servi credenti.
E gli demmo la lieta novella di Isacco, profeta tra i buoni.


1 - Una lettura ebraica
di Armand Abécassis (1)




L'ordine divino si riferiva di fatto al problema dell'iniziazione di Isacco e alla sua promozione alla condizione di figlio.

Che cosa saremmo pronti a sacrificare per il nostro ideale personale o collettivo? Fino a qual punto si deve amare la patria, i genitori, i figli, la sposa, un idolo della musica o dello spettacolo, una filosofia, o più semplicemente un maestro, un guru? Sembra che sia difficile trovare obbiezioni alla risposta: “L'amo e sono pronto a morire per lui”. In questo senso la logica immanente dell'amore sarebbe quella del sacrificio, come le madri lo vivono per i loro figli, per esempio, o l'eroe che muore per la patria, o come Rabbi Aqiba scorticato vivo dai Romani perché si ostinava a insegnare la Torah nonostante la proibizione o il martire cristiano nelle arene di Roma. Una simile concezione dell'amore è ammirevole e perciò è presentata come modello dalle religioni, dai capi militari e dagli agitatori rivoluzionari. È sinonimo di abnegazione, di dono, di generosità, di abbandono e di purezza, quando non di santità.

. Moloch era una divinità del popolo di Ammon, di Tiro e degli Assiri, al quale gli Ebrei e persino i loro re furono indotti a sacrificare i loro figli nella valle della Geenna! In altri termini, il Dio di Israele, il Dio monoteistico, non desidera che gli vengano sacrificati i bambini. Il racconto biblico insiste dunque sui limiti del potere paterno che in quei tempi era assoluto e giungeva fino alla morte del figlio per molte stupide ragioni, come per esempio un handicap. Il racconto biblico insegna che neppure per Dio il padre ha diritto di attentare alla vita del figlio, perché questo è un rito pagano.

Ma, soprattutto, gli interpreti ebrei mostrano che la prova di Abramo non poteva consistere, come sempre si insegna, nel sacrificio del figlio su richiesta di Dio. In quel caso sarebbe spettato ad Abramo stesso di dare la sua vita per provare il suo amore! L'angelo mandato al patriarca gli dice: “Non stendere la mano contro il ragazzo e non fargli alcun male! Ora so che tu temi Dio e non mi hai rifiutato tuo figlio, il tuo unico figlio” e non: “Ora so che tu ami Dio”.Temere Dio è rispettarlo, cioè obbedire alla sua legge e non alla legge che noi ci dettiamo da soli, individualmente o collettivamente. La prova era dunque quella della Legge e non quella dell'amore. Si trattava per Abramo di mostrare che era capace, in quanto essere umano, di interiorizzare una legge che riceveva dall'esterno, una legge trascendente.

E su che cosa verteva questa legge? Lo enuncia il versetto due di questo capitolo: Dio disse: “Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, và nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò”. Rashi, il famoso commentatore della Torah, osserva: “Dio non ha detto ad Abramo: 'Sgozzalo!', perché il Santo, sia Benedetto, non voleva l'immolazione di Isacco, ma 'farlo salire sulla montagna' per dargli il carattere di una offerta a Dio. Quando lo fece salire gli disse : 'Fallo discendere!'” .

Comprendiamo bene ciò che questa lettura significa: il patriarca avrebbe mal compreso l'ordine divino che di fatto si riferiva al problema dell'iniziazione di Isacco, alla sua elevazione e alla sua promozione alla condizione di figlio. La funzione del padre non è, come ha creduto di comprendere Abramo, di insegnare al figlio a morire, ma a innalzarsi fino a quel punto da cui possa ridiscendere con il padre. Potrà allora sposarsi, come narra il racconto seguente, e divenire padre a sua volta. “Immola tuo figlio” non poteva essere un ordine divino; purtroppo il padre interpreta l'iniziazione del figlio come la sua sottomissione totale e assoluta alla sua propria comprensione del mondo e della trasmissione umana. Ma l'angelo non lascia che Abramo tocchi il figlio Isacco. Attende che lo leghi, perché questo è tutto ciò

che è richiesto, ma il coltello non tocca Isacco e il sangue del figlio non scorre, perché Dio non lo voleva. Per questo la tradizione ebraica ha dato all'episodio biblico il titolo di “Legatura di Isacco” e non quello di “sacrificio di Isacco”.In questo racconto biblico è analizzata la relazione fra le generazioni, cioè, in realtà, la relazione fra padre e figlio, fra la paternità e la filialità. Se Abramo avesse sacrificato il figlio sarebbe stato un pagano. La sua prova consistette nel poter compiere il suo sacrificio lasciando vivere il figlio e ridiscendendo con lui dalla montagna. Non nella salita aveva luogo la prova, secondo l'interpretazione di Rashi, ma nella discesa “con” il figlio.


2 - Una interpretazione musulmana
di Eric Geoffroy (3)

Il testo coranico orchestra il tema della prova, vera pedagogia spirituale per i credenti.

Secondo l'islam il Corano è il punto terminale della Rivelazione. Si presenta come la ricapitolazione e la sintesi dei messaggi presedenti, e vari messaggi biblici vi sono riportati in maniera condensata e allusiva.

L'episodio del sacrificio di Abramo illustra il tema coranico della prova (bala) che agisce come una vera pedagogia spirituale per i credenti e, a maggior ragione, per i profeti: la loro elezione e la loro investitura hanno come passaggio obbligatorio la purificazione di Abramo (Ibrahim in arabo) perché egli ha subito con successo varie prove. Una delle più intense fu senza dubbio quel sogno nel quale il patriarca si vide nell'atto di immolare il figlio: “Figlio mio, mi sono visto in sogno in procinto di immolarti. Dimmi cosa ne pensi”. Rispose: “Padre mio, fai quello che ti è stato ordinato: se Allah vuole, sarò rassegnato”.

Tutti i traduttori rendono questo passo al passato: “Figlio mio, mi sono visto in sogno…”-, ma è importante restituire il presente usato nel testo arabo: egli vede la visione in diretta, non in differita! I commentatori insistono sulla dimensione onirica della scena, assente nel testo biblico. Tuttavia Abramo non ha interpretato, “trasposto” dice l'arabo, questa visione, perché, secondo l'opinione dei commentatori, il sogno o la visione dei profeti appartiene alla rivelazione (wahy) ed è da loro percepito come una realtà immediata. Infatti: “Quando poi entrambi si sottomisero, e lo ebbe disteso con la fronte a terra, Noi lo chiamammo: “O Abramo, hai realizzato il sogno. Così Noi ricompensiamo quelli che fanno il bene”. In realtà la visione ricevuta da Abramo non gli ordinava di immolare materialmente il figlio, ma di consacrarlo a Dio. L'islam si accorda su questo con la tradizione ebraica.

Questa è davvero la prova evidente”. Prova suprema di sottomissione a Dio quella di credersi obbligato a sgozzare il proprio figlio! Secondo alcuni sufi, la prova consisteva nel dare il vero significato alla visione. Essi fanno notare che il figlio è il simbolo dell'anima. Quel che Dio chiede ad Abramo è dunque di immolare il suo “io”, questa anima profetica, elevata certo, ma ancora capace di amore per uno che non è Dio. Ora, per essere investito pienamente dell'intimità divina, Abramo deve vuotare il suo cuore di ogni attaccamento alle creature. D'altronde, l'episodio del sacrificio segue immediatamente a un passo in cui si vede Abramo distruggere gli idoli adorati dal suo popolo (84-98).

E lo riscattammo con un sacrificio generoso”, perché la posta è enorme. Un ariete proveniente, secondo la tradizione, dal paradiso e portato sulla terra dall'angelo Gabriele per il sacrificio, si sostituisce al figlio: grazie a questo scambio, Dio riscatta ad Abramo tutta la sua discendenza, profetica e non, per meglio preservarla e benedirla. Così: “Perpetuammo il ricordo di lui nei posteri. Pace su Abramo!” : dopo la sottomissione (islam) viene la pace (salam). L'animale, essere puro perché conosce per intuizione diretta il creatore, come i regni minerali e vegetali, può infatti prendere il posto di un essere umano puro, profeta e figlio di profeta. Con il suo sacrificio consentito, egli permette ai “figli di Adamo” - e non soltanto di Abramo - di rigenerare la loro energia vitale e quella spirituale.

Rimane il fatto che la commemorazione del sacrificio di Abramo, attualizzato ogni anno con il sacrificio di animali, è diventato la “grande festa” (al-îd-al-kabir) dei musulmani, celebrata il 10 del mese di dul-hijja, mese del pellegrinaggio, lo Hajj. Coloro che l'hanno compiuto lo sanno bene, lo Hajj è una prova. A somiglianza della bestia, il pellegrino è l'offerta sacrificale il cui percorso rituale consente alla comunità musulmana, e all'umanità intera, di rigenerarsi. Se il sacrificio dell'animale conserva ancora oggi la sua pertinenza, e se la condivisione e il dono della carne perpetuano “l'ospitalità sacra” di Abramo, è importante non perdere di vista il senso primo del sacrificio: la purificazione interiore.

Si osserverà che il Corano non precisa se il figlio offerto in oblazione è Ismaele, padre degli Arabi, figlio della serva Agar, oggetto della gelosia da Sara, oppure Isacco, suo fratello minore, padre degli Ebrei. Questa imprecisione ha diviso i musulmani e ciascuno trae dagli stessi passi coranici argomenti opposti, a favore di Isacco o di Ismaele.

Il silenzio del Corano sull'identità del figlio sacrificato - o immolato - nel contesto attuale, può essere interpretato sia come fonte di rivalità e di inimicizia, sia come fonte di vicinanza o di intimità fra ebrei e musulmani. Non sarà forse nel superamento dell'ego, vero senso del sacrificio di Abramo, che gli uni e gli altri arriveranno a restaurare una armonia secolare guastata da sviluppi politici recenti?


3 - Un punto di vista psicologico
di Marie Romanens (4)

Come non stupirsi che il Dio di Israele, che chiede all'uomo di non uccidere, sembri qui esigere un assassinio? Questo dio che ha promesso ad Abramo una posterità innumerevole, che ha concesso alla sua sposa, Sara, donna anziana e sterile, di mettere al mondo un figlio, come può essere che voglia con un sol gesto cancellare tutte le sue parole e i suoi fatti? Sarebbe dunque un dio pieno di incoerenza, crudele e despota?

Si può ben capire che molte persone si siano allontanate da lui dopo aver recepito una simile immagine come una rappresentazione divina. L'interpretazione che è stata loro data andava nel senso della sottomissione: bisogna obbedire ciecamente per non spiacere a questo dio geloso. Nel senso del dolorismo, anche: per rientrare nelle sue grazie, bisogna accettare ciò che fa soffrire di più!

Tuttavia questo passo biblico sembra dire una cosa diversa. Certo, parla di prova: “Dio mise alla prova Abramo”. Ma la prova è inerente alla vita. Essa è ciò che conduce ciascuno a crescere in umanità, cioè a divenire più cosciente e più capace di apertura. Non stupisce dunque che il destino di Abramo prima o poi lo confronti con questa esigenza. Non potrebbe anche essere, infine, che questo testo non parli di subordinazione, ma piuttosto di liberazione? Il suo scopo non sarebbe di conservare in uno stato di piccolezza, ma al contrario di favorire lo sviluppo pieno dell'essere.

Il suo aspetto sommamente paradossale ci interroga. Quando Abramo lascia i servi, ordina loro di aspettare il ritorno di “noi“, cioè del padre e del figlio, mentre noi pensiamo che dovrà tornare da solo. Sembra che Dio esiga un sacrificio per rifiutarlo subito dopo. Ci si può domandare se questo aspetto fuorviante della scrittura non sia là proprio per consentire al lettore, attraverso le domande che suscita, un cammino, un cammino appunto per la sua crescita .

Il mistero si fa più profondo quando si pensa al comportamento di Isacco. Un figlio quasi muto, che si lascia legare senza ribellarsi. Eppure la sola volta che apre la bocca è per porre una domanda cruciale: “Dove è l'agnello per l'olocausto?” Come ogni bambino ha il dono di andare al cuore dell'argomento. e interpella questo padre ambiguo che lo ama come “suo” figlio, il suo “unico”, e che si aggiusta perché possano andarsene “tutt'e due insieme”. Non si sente forse l'agnello sacrificato questo figlio, così desiderato da farci immaginare i genitori intenti a covarlo continuamente con un'attenzione piena di angoscia? Non deve restare legato, se suo padre, ancora tanto immaturo, ha bisogno per vivere di restare così aggrappato a lui?

Abramo risponde: “Dio stesso provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio!”. Così il patriarca accetta, volgendosi verso chi è più in alto di lui, di non sapere, di non restare in posizione di potere. La psicanalista Marie Balmary (5) osserva che le parole “figlio mio” e “se ne andarono tutt'e due insieme”, che manifestano un'unione soffocante, sembrano quasi messe al posto dell'agnello. Il coltello è chiamato a tagliare il legame di dipendenza, a rendere il figlio libero e così a far diventare questo padre pienamente padre. Abramo si dimostra capace di superare le sue angosce, di dimenticare i suoi bisogni affettivi troppo invadenti e di lasciare Isacco libero di andare al suo destino. L'immolazione dell'ariete significa che egli accetta la perdita. Così ognuno, padre e figlio, e forse anche il lettore, sfugge alle forze di morte generate da un Io troppo possessivo per accedere alla Vita feconda.



Note

1) Armand Abécassis è professore di filosofia generale e comparata all'Università Michel de Montagne (Bordeaux III). Autore fra l'altro di La pensée Juive (4 tomi, Le Livre de Poche) e di Puits de guerre, source de paix (Le Seuil).

2) Levitico 18,21; 20,2,3,4,5; 1 Re 11,7; 2 Re 23,10, Geremia 32,35.

3) Eric Geoffroy è professore di arabo e di islamistica all'Università Marc-Bloch di Strasbourg. È autore fra l'altro di l'Instant souf (Actes sud) e di una Initiation au soufisme (Fayard).

4) Marie Romanens è psicanalista. È autore fra l'altro di le Divan et le Prie-dieu (DDB).

5) Le Sacrifice interdit (Grasset, 1999).


(da Le monde des Religions, n. 1, septembre-octobre 2003)



Letto 4449 volte Ultima modifica il Martedì, 23 Gennaio 2007 10:59
Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

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