Il medico americano V. R. Potter nel 1971 scriveva il libro, Bioetica: un ponte verso il futuro. Il sottotitolo evidenziava un'urgenza: costruire un ponte per collegare la scienza biologica (genetica), e le possibilità bio-tecniche, con l'etica. Egli aveva intuito che si andava verso un futuro sempre più dominato dalla scienza e dalla tecnica. Fino a un recente passato, erano le grandi ideologie sociali a progettare il futuro, oggi a guidarlo sono la scienza e la tecnica. Se il secolo XX è stato salutato come il secolo della rivoluzione fisica con la scoperta della struttura atomica della materia, il secolo XXI è stato annunciato come quello della rivoluzione biologica che, con la conoscenza della struttura genetica del vivente, ha raggiunto il massimo del sapere biologico (genetico).
Secondo la cultura orientale, sono due le soglie: struttura della materia fisica (atomo) e del vivente (Dna) che il sapere scientifico non avrebbe mai dovuto oltrepassare, perché incapace di dominarle. Di fatto sono state oltrepassate; ora bisogna saperle usare con alto senso etico. In altre parole, è necessario costruire un ponte che colleghi i due pilastri: potenza e sapienza; progresso scientifico e progresso umano; razionalità scientifica e razionalità etica; il fare tecnico con il fare morale.
Qual è la struttura del ponte oggi?
A che punto è la costruzione del ponte che collega i due pilastri: biologia ed etica? A distanza di 40 anni, si possono fare alcune considerazioni.
1 La prima riguarda lo sviluppo quantitativo: la bioetica è la parte dell'etica più coltivata da diversi decenni. Le pubblicazioni sono innumerevoli, si sono moltiplicati i centri di studio di bioetica, i comitati di bioetica a livello universitario, ospedaliero, governativo. Nel 1995 l'enciclica Evangelium vitae 27 riconosce che «particolarmente significativo è il risveglio di una riflessione etica attorno alla vita: con la nascita e lo sviluppo sempre più diffuso della bioetica vengono favoriti la riflessione e il dialogo tra credenti e non credenti come pure tra credenti di diverse religioni su problemi etici, anche fondamentali, che interessano la vita».
2 La seconda riguarda la qualifica razionale della bioetica: vale a dire che è un'etica che intende argomentare ex ratione, non ex fide. D'altra parte, esiste un'etica religiosa (cattolica). Si pone pertanto la questione del rapporto tra bioetica laica e bioetica religiosa. La bioetica laica è di gran lunga maggioritaria, contrariamente a quanto invece era nel passato, dove l'etica era quasi sinonimo di etica cattolica. In questo nuovo contesto, ci si domanda, che cosa offre di suo l'etica religiosa? Occorre che, da parte laica come anche da parte cattolica, siano superati inveterati pregiudizi: i laici temono che i cattolici impongano la loro morale; i cattolici ritengono che i laici siano affetti da relativismo in campo etico.
3 Una terza considerazione riguarda i contenuti (temi, argomenti, questioni) sui quali si è riflettuto (e si riflette). Sono i nuovi e inediti problemi etici posti dalle nuove conoscenze biologiche e dalle conseguenti possibilità tecnico-biologiche. Le esemplificazioni non mancano:
● fino a ieri, l'etica si occupava del nascere naturale. Dal 1978 si occupa del nascere artificiale che, soprattutto con la fecondazione eterologa, mette in questione il concetto tradizionale di filiazione, di paternità/maternità; il rapporto tra sessualità e procreazione. Inoltre, con la fecondazione artificiale, si apre la seria questione degli embrioni sopranumerari;
● fino a ieri, l'etica si era occupata del morire umano affidato alla natura. Oggi l'etica deve occuparsi delle nuove tecniche per prolungare la vita (accanimento terapeutico) o, viceversa, per dare la morte (eutanasia);
● fino a ieri, erano impensabili modifiche genetiche; oggi non solo è pensabile ma si producono esseri diversi (transgenici) in campo vegetale e animale. La medesima tecnica potrebbe essere attuata per l'uomo;
● fino a ieri, la ricerca biomedica procedeva su binari scontati; oggi scontati proprio non sono (non è scontata, ad esempio, la sperimentazione sugli animali) e per nulla quella sul e con l'essere vivente umano.
La ricerca scientifica pone dei problemi morali, non solo a livello dei fini, ma anche a livello della coerenza tra fini e mezzi, tra procedure e fini, come viene in evidenza, ad esempio, nella questione delle cellule staminali. Si ha l'impressione che la tecnica proceda a oltranza, rimuovendo l'etica: quanto si può fare tecnicamente, si può fare moralmente; il fattibile diventa norma di comportamento anche etico; e l'etica, da parte sua, rincorre e diviene strumentale e funzionale alla tecnica.
L'effettiva realizzazione del collegamento etica-biologia è indebolita dal pluralismo etico o, meglio, dal relativismo etico secondo cui una posizione è ugualmente sostenibile alla pari di un'altra anche opposta: la verità oggettiva non c'è o è difficilmente raggiungibile.
Questione antropologica prima che etica
Prima ancora che etico, il relativismo è antropologico: tante bioetiche, quante antropologie. Viene così al centro nella cultura occidentale la questione antropologica: chi è l'essere umano, da dove viene e dove va? La cultura postmoderna è caratterizzata dal cosiddetto pensiero debole, così denominato perché teorizza la difficoltà anzi l'impossibilità di conoscere la verità oggettiva (che è tale a prescindere da quello che eventualmente pensa il soggetto). L'individuo contemporaneo, detto postmoderno, coltiva e teorizza il pensiero debole: la verità oggettiva non c'è - si afferma - o non è raggiungibile; ognuno ha la sua verità e con questa deve vivere e prendere responsabilmente le sue decisioni. Sintetizza bene l'enciclica Fides et ratio 91 (1998): «Secondo alcune correnti di pensiero postmoderne, infatti, il tempo delle certezze sarebbe irrimediabilmente passato, l'uomo dovrebbe ormai imparare a vivere in un orizzonte di totale assenza di senso, all'insegna del provvisorio e del fuggevole».
Così, le grandi domande (chi sono, da dove vengo, dove vado) non ottengono risposta o vengono rimosse. Nietzsche definiva il nichilismo la mancanza di finalità, del perché. In altre parole, l'individuo postmoderno si può descrivere come colui/colei che ha interrotto il rapporto tra immanenza e trascendenza, soggettività e oggettività, individualità e socialità, particolarità e universalità, corporeità e spiritualità. Da tale autocomprensione dell'individuo, deriva, di conseguenza, un'etica della stessa dimensione: immanentista, soggettivista, individualista, situazionista.
Se così stanno le cose, se la cultura largamente dominante è immanentista e individualista, il dialogo e il confronto devono privilegiare maggiormente il versante antropologico, prima ancora che quello etico del lecito/illecito, del permesso/proibito. Per restituire importanza al discorso bioetico, devono venire al centro le grandi domande, che la cultura tecno-scientifica tende a rimuovere, ma che tornano con prepotenza: il senso del vivere, soffrire e morire umano. In questa direzione, il messaggio cristiano ha un patrimonio immenso da trasmettere con la parola e la testimonianza.
Criteri di valutazione morale
«Non tutto quello che si può fare tecnicamente è anche bene (morale) farlo»: è un'espressione ormai entrata nel vocabolario corrente. Ma in base a quali criteri si può giudicare e valutare in termini di bene/male morale quanto è tecnicamente possibile fare?
1 In negativo, non sono criteri ultimi:
● la fattibilità, per il semplice motivo che, come si è detto, non tutto quello che si può fare (tecnicamente) è anche bene (moralmente) farlo;
● la natura, perché, anche secondo la concezione biblica, la natura umana e cosmica non è un dato fisso, ma dinamico ed evolutivo;
●la prassi anche diffusa e dominante: essa infatti rinvia a un ulteriore criterio per essere giudicata in termini di bene/male. Non può, quindi, costituire il criterio ultimo;
● il desiderio, perché a sua volta può e deve essere valutato in termini di bene e di male.
2 In positivo, il criterio ultimo di valutazione e di giudizio di quanto si fa e si promette di fare è il bene della persona, la sua dignità, i suoi diritti. Si tratta di un principio chiaro e condivisibile da credenti e da non credenti, sebbene non sia agevole descrivere e definire incondizionatamente che cosa sia, nei singoli casi, il bene della persona. Il concetto di persona non è facilmente circoscrivibile, se si considera l'estrema variabilità che si riscontra nella storia delle varie culture.
Tuttavia, si può facilmente riconoscere che, a partire da ogni cultura, si scoprono convergenze circa le esigenze (valori) che competono alla persona, in quanto persona, e che per questo devono essere rispettate e promosse. L'espressione bene della persona non è una formula vuota e generica, fa riferimento a istanze etiche che sono proprie dell'umanità dell'uomo e della donna e che solitamente sono chiamate diritti umani. Una formulazione e individuazione dei diritti dell'uomo compaiono in molteplici dichiarazioni universalmente riconosciute.
Problemi aperti
1 Rapporto tra naturale e artificiale. S'intende per naturale ciò che è dato, originario, che non è prodotto dall' essere umano. Il naturale ha un senso in sé e per sé, la realtà che viene prima e che è offerta all'essere umano. Il naturale non è perfetto ma da perfezionare, non è compiuto ma da compiere, non è statico ma dinamico ed evolutivo. Nella prospettiva di una concezione non statica ma dinamica della natura umana e cosmica, il sapere scientifico e il potere tecnologico non sono da diffidare o da temere. E’, invece, l'essere umano che deve convertirsi da un atteggiamento prometeico del fare a oltranza, senza misura e senza limiti, a un saper fare con sapienza e intelligenza.
2 Autoregolamentazione della scienza e della tecnica? E’ necessaria l'autoregolamentazione della scienza e della tecnica, ma non basta. Non si può ignorare che la scienza e la tecnica nelle nostre società sono legate al potere economico e militare, per cui la cosiddetta autoregolamentazione della comunità scientifica è una mera illusione. La ricerca scientifica è un'attività della società, spetta quindi alla società e, per essa, allo Stato controllare democraticamente sia la ricerca come l'applicazione. Non si tratta di mortificare la libertà ma, come ogni libertà, di finalizzarla al bene comune.
3 Dalla bio-etica al bio-diritto. Legiferare è obbligatorio. Non si tratta, infatti, di questioni private, ma di questioni che coinvolgono il bene di tutti. Il principio guida di una legislazione civile è il riferimento alla morale umana, fondata sui valori comuni o, detto più chiaramente, i diritti umani. Non si permette/proibisce giuridicamente in base a una morale confessionale, ma in base ai diritti umani che tali sono per tutti. È a questo livello che deve avvenire il dibattito legislativo sui temi della vita.
Luigi Lorenzetti *
* Direttore della Rivista di teologia morale
Bibliografia
Lucas Lucas R., Antropologia e problemi bioetici, San Paolo 2001, Cinisello Balsamo (Mi);
Zuccaro C., La vita umana nella riflessione etica, Queriniana 2000, Brescia;
Tettamanzi D., Nuova bioetica cristiana, Piemme 2000, Casale M.to (Al); Dizionario di bioetica (a cura di M. Doldi) Piemme 2002;
Leone S., Nuovo manuale di bioetica, Città Nuova 2007, Roma;
Lorenzetti L., La morale nella storia, Edb 2009, Bologna: "Vita, bioetica, biodiritto", pp. 203-310.
(da Vita Pastorale, anno 2011, n. 10, p. 77)