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Fausto Ferrari

Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

Domenica, 24 Agosto 2025 09:05

XXI Domenica del tempo ordinario - Anno C

XXI Domenica del tempo ordinario - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Is 66,18b-21

Dal libro del profeta Isaia
 

Così dice il Signore:
«Io verrò a radunare tutte le genti e tutte le lingue; essi verranno e vedranno la mia gloria.
Io porrò in essi un segno e manderò i loro superstiti alle popolazioni di Tarsis, Put, Lud, Mesec, Ros, Tubal e Iavan, alle isole lontane che non hanno udito parlare di me e non hanno visto la mia gloria; essi annunceranno la mia gloria alle genti.
Ricondurranno tutti i vostri fratelli da tutte le genti come offerta al Signore, su cavalli, su carri, su portantine, su muli, su dromedari, al mio santo monte di Gerusalemme – dice il Signore –, come i figli d’Israele portano l’offerta in vasi puri nel tempio del Signore.
Anche tra loro mi prenderò sacerdoti levìti, dice il Signore».


Salmo Responsoriale Sal 116 (117)

Tutti i popoli vedranno la gloria del Signore.

Genti tutte, lodate il Signore, 
popoli tutti, cantate la sua lode.

Perché forte è il suo amore per noi
e la fedeltà del Signore dura per sempre.

 
Seconda Lettura  Eb 12,5-7.11-13
 
Dalla lettera agli Ebrei
 
Fratelli, avete già dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli:
«Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore
e non ti perdere d’animo quando sei ripreso da lui;
perché il Signore corregge colui che egli ama
e percuote chiunque riconosce come figlio».
È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non viene corretto dal padre? Certo, sul momento, ogni correzione non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo, però, arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati.
Perciò, rinfrancate le mani inerti e le ginocchia fiacche e camminate diritti con i vostri piedi, perché il piede che zoppica non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire.
 
 
Canto al Vangelo (Gv 14,6)


Alleluia, Alleluia

Io sono la via, la verità e la vita, dice il Signore,
nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.

Alleluia, Alleluia

 

Vangelo Lc 13,22-30
 
Dal Vangelo secondo Luca
 

In quel tempo, Gesù passava insegnando per città e villaggi, mentre era in cammino verso Gerusalemme. Un tale gli chiese: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?».
Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno.
Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”.
Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori.
Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono ultimi che saranno primi, e vi sono primi che saranno ultimi».

 

OMELIA
 
Il dramma di un certo cristianesimo è credere che il compimento della vita – se vogliamo la salvezza – si raggiunga accumulando pratiche e meriti: l’ascolto della Parola proclamata «tu hai insegnato nelle nostre piazze» (v. 26b), la partecipazione all’eucaristia: «abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza» (v. 26), o una condotta morale irreprensibile, irrobustita da sacrifici e da sforzi.
Ma è proprio qui che Gesù spiazza. A chi crede tutto ciò egli dice: «Non so di dove siete. Allontanatevi da me» (Lc 13, 25.27). Come a dire: non è questa la via. La porta resta chiusa per chi pretende di bussare con le credenziali del proprio io.
Paradosso divino: saranno accolti alla mensa del Regno quelli che vengono da lontano, dagli orizzonti impuri e nemici — gli scartati, i dimenticati, coloro che la storia ha sempre marchiato come perduti. L’esperienza del compimento è ad appannaggio di chi non se l’è mai nemmeno immaginato.
È il perduto che si salva, non il giusto che si vanta.
Gesù ci chiede una rivoluzione dello sguardo: non è l’ego a conquistare il cielo. Non è lo sforzo a edificare la salvezza. Possiamo dire che è come dono che precede, grazia che avvolge, presenza che non si merita. Simone Weil lo disse con parole taglienti: «La grazia è senza sforzo».
Ogni logica del merito, ogni tentativo di comprarsi la salvezza, svuota la croce del suo senso. La croce non è premio, ma gratuità offerta ai ladroni di ogni tempo, a chi non ha nulla da esibire.
Ma allora, che cosa significa il grido di Gesù: «Lottate per entrare per la porta stretta» (Lc 13,24)? Non certo lottare per essere buoni, per meritare. Il testo greco parla di agōnízesthe: combattete. Ma contro che cosa? Contro le maschere religiose che ci avvolgono, contro l’illusione di essere dalla parte giusta, contro la presunzione dei meriti. È questa presunta ricchezza spirituale a impedirci di essere raggiunti dall’Amore.
La porta resta chiusa a chi vive come servo davanti a un Dio padrone; si spalanca invece a chi riconosce di essere povero, smarrito, ferito. Perché è da quella ferita che scorre il fiume della misericordia.
Eppure, non si tratta di un quietismo passivo, di attendere con inerzia che un dio venga a salvarci. No. Per questo Gesù insiste: «Lottate!». Ci vuole più forza ad accogliere di quanta ne serva a conquistare. Ci vuole più coraggio a tendere le mani vuote che a stringerle nel pugno della conquista.
È più difficile vivere da figli liberi che da schiavi religiosi. Più arduo aprire il cuore all’amore gratuito, che piegare la schiena per guadagnarselo.
La porta stretta è allora il passaggio dalla conquista all’accoglienza, dal possesso al dono, dalla paura al lasciarsi amare.
 
 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 24 Agosto 2025 08:57

XX Domenica del tempo ordinario - Anno C

XX Domenica del tempo ordinario - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Ger 38,4-6.8-10

Dal libro del profeta Geremia
 

In quei giorni, i capi dissero al re: «Si metta a morte Geremìa, appunto perché egli scoraggia i guerrieri che sono rimasti in questa città e scoraggia tutto il popolo dicendo loro simili parole, poiché quest’uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male». Il re Sedecìa rispose: «Ecco, egli è nelle vostre mani; il re infatti non ha poteri contro di voi».
Essi allora presero Geremìa e lo gettarono nella cisterna di Malchìa, un figlio del re, la quale si trovava nell’atrio della prigione. Calarono Geremìa con corde. Nella cisterna non c’era acqua ma fango, e così Geremìa affondò nel fango.
Ebed-Mèlec uscì dalla reggia e disse al re: «O re, mio signore, quegli uomini hanno agito male facendo quanto hanno fatto al profeta Geremìa, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame là dentro, perché non c’è più pane nella città». Allora il re diede quest’ordine a Ebed-Mèlec, l’Etiope: «Prendi con te tre uomini di qui e tira su il profeta Geremìa dalla cisterna prima che muoia».


Salmo Responsoriale Sal 39 (40)

Signore, vieni presto in mio aiuto.

Ho sperato, ho sperato nel Signore,
ed egli su di me si è chinato,
ha dato ascolto al mio grido.
 
Mi ha tratto da un pozzo di acque tumultuose,
dal fango della palude;
ha stabilito i miei piedi sulla roccia,
ha reso sicuri i miei passi.
 
Mi ha messo sulla bocca un canto nuovo,
una lode al nostro Dio.
Molti vedranno e avranno timore
e confideranno nel Signore.
 
Ma io sono povero e bisognoso:
di me ha cura il Signore.
Tu sei mio aiuto e mio liberatore:
mio Dio, non tardare.

 
Seconda Lettura  Eb 12,1-4
 
Dalla lettera agli Ebrei
 
Fratelli, anche noi, circondati da tale moltitudine di testimoni, avendo deposto tutto ciò che è di peso e il peccato che ci assedia, corriamo con perseveranza nella corsa che ci sta davanti, tenendo fisso lo sguardo su Gesù, colui che dà origine alla fede e la porta a compimento.
Egli, di fronte alla gioia che gli era posta dinanzi, si sottopose alla croce, disprezzando il disonore, e siede alla destra del trono di Dio.
Pensate attentamente a colui che ha sopportato contro di sé una così grande ostilità dei peccatori, perché non vi stanchiate perdendovi d'animo. Non avete ancora resistito fino al sangue nella lotta contro il peccato.
 
 
Canto al Vangelo (Gv 10,27)


Alleluia, Alleluia

Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice il Signore,
e io le conosco ed esse mi seguono.

Alleluia, Alleluia

 

Vangelo Lc 12,49-53
 
Dal Vangelo secondo Luca
 

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

 

OMELIA
 

«C’era un uomo, che aveva inventato l’arte di accendere il fuoco. Prese i suoi attrezzi e si recò presso una tribù del nord, dove faceva molto freddo. Insegnò a quella gente ad accendere il fuoco. La tribù era molto interessata. L’uomo mostrò loro gli usi per i quali potevano sfruttare il fuoco – cuocere il cibo, tenersi caldi, ecc. .

Quelle persone erano molto grate all’uomo per quanto era stato loro insegnato sull’arte del fuoco, ma prima che potessero esprimergli la propria gratitudine, egli scomparve. Non gli importava ricevere il loro riconoscimento o la loro gratitudine: gli importava il loro benessere. Si recò in un’altra tribù, dove nuovamente iniziò a dimostrare il valore della sua invenzione. Anche quelle persone erano interessate, un po’ troppo però per i gusti dei loro sacerdoti, che iniziarono a notare che quell’uomo attirava la gente, mentre essi stavano perdendo popolarità. Così, decisero di liberarsene. Lo avvelenarono – o lo crocifissero, non ricordo più. Ora, però temevano che la gente si rivoltasse contro di loro, e così fecero una cosa molto saggia, persino astuta. Fecero eseguire un ritratto dell’uomo e lo montarono sull’altare principale del tempio. Gli strumenti per accendere il fuoco furono sistemati davanti al ritratto, e la gente fu invitata a venerare il ritratto e gli strumenti del fuoco, cosa che fece ubbidientemente per secoli.

L’adorazione e il culto continuarono, ma non fu mai usato il fuoco». (Anthony de Mello)

 «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49)

Il fuoco. Non quello che consuma e distrugge, ma quello che scalda, trasfigura, illumina. Il fuoco che è passione dell’anima e compassione per ogni essere; il fuoco che purifica le illusioni e dischiude l’essenziale. Gesù lo porta con sé. Lo getta sulla terra. Lo sogna già acceso. Eppure, sembra che duemila anni non siano bastati per vederne davvero la fiamma divampare.

Non è forse vero che, troppo spesso, ci siamo accontentati delle braci spente di un culto spento, mentre la vera brace — quella del Vangelo — attendeva di ardere nel cuore dell’umano?
Il fuoco delle Beatitudini, della vita povera, disarmata, libera dal bisogno di possesso e di potere, è stato soffocato da cenere di convenzioni, da riti senza più scintilla, da parole svuotate del loro incendio originario.

Eppure, come ci ricorda Anthony de Mello, il problema non è nella Tradizione, ma nel modo in cui la trattiamo. Tradizione infatti “Non il culto delle ceneri, ma la custodia del fuoco” (Gustav Mahler).

Il racconto del maestro del fuoco parla a noi. Parla alla Chiesa, alla spiritualità, a ogni ricerca umana. Quante volte abbiamo venerato il volto dell’uomo che portava il fuoco, senza più usare gli strumenti che ci aveva lasciato! Quante volte abbiamo eretto altari e codificato liturgie, dimenticando che il fuoco era destinato a essere acceso — non adorato.

Il dramma è tutto lì: la fiamma è stata trasformata in icona, e la Parola in dogma. Ma la Parola è fuoco vivo, non pietra scolpita. È urgenza, non istituzione.

Questo fuoco non si può rinchiudere nei recinti del potere o nelle stanze del consenso.
È fuoco che divampa dove trova un cuore disponibile, un’anima sveglia, una mano tesa.
È il fuoco del samaritano che si china, del pane spezzato, dell’ultimo posto scelto liberamente. È il fuoco che illumina i poveri in spirito e che svergogna ogni falsa sicurezza.

Allora, oggi più che mai, questa parola ci brucia dentro:
“Quanto vorrei che fosse già acceso!”. La domanda che ci resta è semplice e radicale: Lo accenderò io questo fuoco? O continuerò a venerarne le ceneri?

 
 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 24 Agosto 2025 08:44

XIX Domenica del tempo ordinario - Anno C

XIX Domenica del tempo ordinario - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Sap 18,6-9

Dal libro della Sapienza
 

La notte [della liberazione] fu preannunciata
ai nostri padri,
perché avessero coraggio,
sapendo bene a quali giuramenti avevano prestato fedeltà.
Il tuo popolo infatti era in attesa
della salvezza dei giusti, della rovina dei nemici.
Difatti come punisti gli avversari,
così glorificasti noi, chiamandoci a te.
I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto
e si imposero, concordi, questa legge divina:
di condividere allo stesso modo successi e pericoli,
intonando subito le sacre lodi dei padri.


Salmo Responsoriale Sal 32 (33)

Beato il popolo scelto dal Signore.

Esultate, o giusti, nel Signore;
per gli uomini retti è bella la lode.
Beata la nazione che ha il Signore come Dio,
il popolo che egli ha scelto come sua eredità.
 
Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme,
su chi spera nel suo amore,
per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.
 
L’anima nostra attende il Signore:
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
Su di noi sia il tuo amore, Signore,
come da te noi speriamo.

 
Seconda Lettura  Eb 11,1-2.8-12
 
Dalla lettera agli Ebrei
 
Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio.
Per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava.
Per fede, egli soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città dalle salde fondamenta, il cui architetto e costruttore è Dio stesso.
Per fede, anche Sara, sebbene fuori dell’età, ricevette la possibilità di diventare madre, perché ritenne degno di fede colui che glielo aveva promesso. Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare.
Nella fede morirono tutti costoro, senza aver ottenuto i beni promessi, ma li videro e li salutarono solo da lontano, dichiarando di essere stranieri e pellegrini sulla terra. Chi parla così, mostra di essere alla ricerca di una patria. Se avessero pensato a quella da cui erano usciti, avrebbero avuto la possibilità di ritornarvi; ora invece essi aspirano a una patria migliore, cioè a quella celeste. Per questo Dio non si vergogna di essere chiamato loro Dio. Ha preparato infatti per loro una città.
Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco, e proprio lui, che aveva ricevuto le promesse, offrì il suo unigenito figlio, del quale era stato detto: «Mediante Isacco avrai una tua discendenza». Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe anche come simbolo.
 
 
Canto al Vangelo (Mt 24,42a.44)


Alleluia, Alleluia

Vegliate e tenetevi pronti,
perché, nell’ora che non immaginate,
viene il Figlio dell’uomo.

Alleluia, Alleluia

 

Vangelo Lc 12,32-48
Dal Vangelo secondo Luca
 
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno.
Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli, dove ladro non arriva e tarlo non consuma. Perché, dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.
Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!
Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».
 
OMELIA
 

Siamo tutti amministratori di un tesoro fragile e luminoso: la nostra vita.
Il Vangelo di questa domenica è un appello accorato a vegliare, a essere presenti, a custodire il capitale più prezioso che ci è dato — non l’oro né il tempo, ma la nostra essenza, il Sè autentico che cresce donandosi.

I verbi si susseguono come un canto di risveglio: essere pronti, attendere, aprire, vigilare, agire… Ogni verbo è un richiamo all’attenzione, all’arte del vivere desti, non assopiti nel torpore del consumo o del calcolo.

Il vangelo ci ricorda che vi sono due modi per amministrare la propria vita:
accumulare grano, come nella parabola di domenica scorsa, e illudersi di possedere l’essenziale, oppure donare grano, nutrire altri, condividere ciò che fa vivere, e così scoprire che è nel donarsi che si riceve la pienezza.

«Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così» (Lc 12,43). Felice chi si scopre intento a far felici gli altri. Perché allora — dice il Vangelo — Dio stesso gli affiderà tutti i suoi averi (v. 44). Ma che cosa possiede Dio da poter affidare agli uomini? Null’altro che sé stesso ovviamente. Va da sé che colui che ama, partecipando della medesima vita di Dio ne diventa trasparenza vivente.

«Dio è amore, e chi sta nell’amore dimora in Dio» ci ricorda Giovanni (1Gv 4,16).
Non un amore sentimentale o astratto, ma quello che si traduce in pane spezzato, in cura prestata, in presenza che solleva. Chi invece vive solo per possedere, centrato sul proprio piccolo io, conoscerà una vita lacerata. E il testo è duro, spiazzante: «Il padrone […] lo dividerà in due» (Lc 12,46). Non è punizione dall’alto, ma l’effetto naturale di una vita egoista: ci si disgrega. L’egoismo manda in pezzi.
Si vuole la felicità, ma si scelgono le vie del consumo e del narcisismo. Si desidera amare, ma si finisce per difendersi. E il cuore si fa campo di battaglia.

Occorre dunque vegliare, stare attenti a come ci giochiamo l’esistenza. Non domani. Non altrove. Ma qui e ora. Ogni gesto, ogni parola, ogni scelta è seme nel campo del tempo.

E Gesù, uomo del risveglio, ci ricorda che dire “io” non è affermare sé stessi contro l’altro, ma dire all’altro: eccomi, perché «Dire “io”, significa dire – all’altro – “eccomi”» (E. Lévinas)

 
 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 24 Agosto 2025 08:38

XVIII Domenica del tempo ordinario - Anno C

XVIII Domenica del tempo ordinario - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Qo 1,2; 2,21-23

Dal libro del Qoèlet
 

Vanità delle vanità, dice Qoèlet,
vanità delle vanità: tutto è vanità.
Chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare la sua parte a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e un grande male.
Infatti, quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e fastidi penosi; neppure di notte il suo cuore riposa. Anche questo è vanità!


Salmo Responsoriale Sal 89 (90)

Signore, sei stato per noi un rifugio 
di generazione in generazione.

Tu fai ritornare l’uomo in polvere,
quando dici: «Ritornate, figli dell’uomo». 
Mille anni, ai tuoi occhi,
sono come il giorno di ieri che è passato, 
come un turno di veglia nella notte.

Tu li sommergi:
sono come un sogno al mattino, 
come l’erba che germoglia;
al mattino fiorisce e germoglia, 
alla sera è falciata e secca.

Insegnaci a contare i nostri giorni 
e acquisteremo un cuore saggio. 
Ritorna, Signore: fino a quando? 
Abbi pietà dei tuoi servi!

Saziaci al mattino con il tuo amore:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni. 
Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio: 
rendi salda per noi l’opera delle nostre mani, 
l’opera delle nostre mani rendi salda.

 
Seconda Lettura  Col 3,1-5.9-11
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi
 
Fratelli, se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra.
Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! Quando Cristo, vostra vita, sarà manifestato, allora anche voi apparirete con lui nella gloria.
Fate morire dunque ciò che appartiene alla terra: impurità, immoralità, passioni, desideri cattivi e quella cupidigia che è idolatria.
Non dite menzogne gli uni agli altri: vi siete svestiti dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova per una piena conoscenza, ad immagine di Colui che lo ha creato.
Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.
 
 
Canto al Vangelo (Mt 5,3)


Alleluia, Alleluia

Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.

Alleluia, Alleluia

Vangelo Lc 12,13-21
 
Dal Vangelo secondo Luca
 
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?».
E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
 
OMELIA
 
Accumulare tesori per sé: ecco dove comincia la sofferenza.
Ogni grande tradizione spirituale lo grida in mille modi: chi s’illude di costruire sé stesso edificando sul potere, il successo, le sicurezze ha già perso la partita della vita.
T.S. Eliot si domanda con struggente lucidità: «Dov’è la vita che abbiamo perduto vivendo?»
Sì, dov’è? Gesù ce lo ricorda senza ambiguità. C’è un solo modo per venire alla luce di Sé: morire a sé stessi. Non è un cupo invito al sacrificio, ma un richiamo al risveglio.
È la fine del sonno, l’inizio della Vita autentica. Sta qui l’evangelico ‘arricchirsi presso Dio’: spendere la vita non secondo le logiche del possesso, ma della verità; impegnarsi per ciò che non passa, nutrendo l’anima e non l’ego.
C’è una Vita oltre la vita: è questa che merita la nostra attenzione, la nostra dedizione, il nostro coraggio. Attenti però, non s’intende qui la vita dopo la morte, ma ciò che ora sta dietro il velo dell’illusione, dietro le quinte di quel palcoscenico sul quale stiamo recitando la nostra avventura umana. La Vita autentica è quella del Sé, e non del piccolo io egoico che ci muove e ci comanda.
Va da sé che l’unico vero ‘peccato mortale’ che esista è quello di vivere illudendoci che ciò che dà senso e fecondità alla vita siano ‘i granai pieni’, ovvero i traguardi raggiunti, le carriere fatte, gli oggetti e i corpi accumulati, l’essersi fatti un nome, il potere esercitato, il successo conseguito. In una parola il proprio io messo all’ingrasso. Tutte che cose magari anche belle, dice il Vangelo, ma incapaci di toccare la Vita.

Esistere non è ancora vivere. Gesù lo ha mostrato con tutta la sua esistenza.
«La sua morte non è l’esaltazione del nulla, della vanità,
ma è la negazione della vanità,
perché abbiamo capito, una volta per sempre,
che si può anche morire non morendo.
Chi muore perché c’è qualcosa di più grande della dialettica vita-morte – cioè l’amore – costui non muore» (Ernesto Balducci).
C’è una via di Vita che è metamorfosi continua. Sì, il corpo si consuma, si sfibra. Ma intanto, dentro, qualcosa cresce. Un’essenza segreta che matura, una presenza che si fa pienezza. Come ha intuito Paolo scrivendo ai Corinzi: «Non ci scoraggiamo, ma, se anche il nostro uomo esteriore si va disfacendo, quello interiore invece si rinnova di giorno in giorno» (2Cor 4,16).
La vera Vita è nascosta, come un seme che lavora nella notte.
E chi la scopre, non trova pace nelle sue provviste. Come scrive Saint-Exupéry: «Vivono solo coloro che non hanno trovato pace nelle provviste fatte» (Cittadella).
 
 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 20 Luglio 2025 09:41

XVII Domenica del tempo ordinario - Anno C

XVII Domenica del tempo ordinario - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Gn 18,20-32

Dal libro della Genesi
 

In quei giorni, disse il Signore: «Il grido di Sòdoma e Gomorra è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!».
Quegli uomini partirono di là e andarono verso Sòdoma, mentre Abramo stava ancora alla presenza del Signore.
Abramo gli si avvicinò e gli disse: «Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse vi sono cinquanta giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano? Lontano da te il far morire il giusto con l’empio, così che il giusto sia trattato come l’empio; lontano da te! Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?». Rispose il Signore: «Se a Sòdoma troverò cinquanta giusti nell’ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutto quel luogo».
Abramo riprese e disse: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere: forse ai cinquanta giusti ne mancheranno cinque; per questi cinque distruggerai tutta la città?». Rispose: «Non la distruggerò, se ve ne troverò quarantacinque».
Abramo riprese ancora a parlargli e disse: «Forse là se ne troveranno quaranta». Rispose: «Non lo farò, per riguardo a quei quaranta». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno trenta». Rispose: «Non lo farò, se ve ne troverò trenta». Riprese: «Vedi come ardisco parlare al mio Signore! Forse là se ne troveranno venti». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei venti». Riprese: «Non si adiri il mio Signore, se parlo ancora una volta sola: forse là se ne troveranno dieci». Rispose: «Non la distruggerò per riguardo a quei dieci».


Salmo Responsoriale Sal 137 (138)

Nel giorno in cui ti ho invocato mi hai risposto.

Ti rendo grazie, Signore, con tutto il cuore:
hai ascoltato le parole della mia bocca.
Non agli dèi, ma a te voglio cantare,
mi prostro verso il tuo tempio santo.
 
Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà:
hai reso la tua promessa più grande del tuo nome.
Nel giorno in cui ti ho invocato, mi hai risposto,
hai accresciuto in me la forza.
 
Perché eccelso è il Signore, ma guarda verso l’umile;
il superbo invece lo riconosce da lontano.
Se cammino in mezzo al pericolo, tu mi ridoni vita;
contro la collera dei miei avversari stendi la tua mano.
 
La tua destra mi salva.
Il Signore farà tutto per me.
Signore, il tuo amore è per sempre:
non abbandonare l’opera delle tue mani.

 
Seconda Lettura  Col 2,12-14
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi
 
Fratelli, con Cristo sepolti nel battesimo, con lui siete anche risorti mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti.
Con lui Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di noi che, con le prescrizioni, ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce.
 
 
Canto al Vangelo (Rm 8,15bc)


Alleluia, Alleluia

Avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi,
per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!».

Alleluia, Alleluia

Vangelo Lc 11,1-13
 
Dal Vangelo secondo Luca
 

Gesù si trovava in un luogo a pregare; quando ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: «Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli». Ed egli disse loro: «Quando pregate, dite:
"Padre,
sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
e perdona a noi i nostri peccati,
anche noi infatti perdoniamo a ogni nostro debitore,
e non abbandonarci alla tentazione"».
Poi disse loro: «Se uno di voi ha un amico e a mezzanotte va da lui a dirgli: “Amico, prestami tre pani, perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da offrirgli”; e se quello dall’interno gli risponde: “Non m’importunare, la porta è già chiusa, io e i miei bambini siamo a letto, non posso alzarmi per darti i pani”, vi dico che, anche se non si alzerà a darglieli perché è suo amico, almeno per la sua invadenza si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono.
Ebbene, io vi dico: chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chiunque chiede riceve e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pesce, gli darà una serpe al posto del pesce? O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione? Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!».


OMELIA

C’è una crescita anche nella preghiera, come si cresce nell’amore: dalle prime infatuazioni, fragili e bisognose, verso un amore adulto, gratuito, capace di silenzio e fedeltà.

All’inizio della vita spirituale, preghiamo per chiedere, e poi lo Spirito sospinge altrove.

Gesù dice: «Chiedete e vi sarà dato, bussate e vi sarà aperto» (Mt 7,7). Ma poco prima ammonisce: «Pregando, non sprecate parole come i pagani: credono di essere esauditi a forza di parole. Non siate come loro: il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che gliele chiediate» (Mt 6,7-8). Quale dei due Gesù dobbiamo ascoltare? Quello che ci invita a domandare… o quello che ci spinge a tacere?

La verità è che non dobbiamo scegliere. Gesù non si contraddice: ci accompagna. Educa e fa crescere: dalla preghiera come richiesta alla preghiera come comunione.

Dall’implorazione alla presenza.

Dalla parola al silenzio.

«Quando preghi, entra nella tua stanza, chiudi la porta…» (Mt 6,6). Ovvero, ‘entra nella stanza del tuo cuore’, nel luogo dove non servono parole. È lì che Dio attende, non fuori.

Meister Eckhart, il mistico del silenzio, è drastico, ma non crudele. Parla come un amante ferito da un amore interessato. Dice: «Chi prega Dio per ottenere qualcosa, lo ama come si ama una vacca per il suo latte. Non ama Dio, ama ciò che vuole da Lui. Dio, così, diventa un mezzo, un servo, un idolo.»

La preghiera non è commercio, e quindi scambio. È ritorno. Sprofondamento. Nella nostra verità più profonda, che è divina.

Quando si ama davvero, non si chiede nulla. Quando sei perso nell’abbraccio dell’amato, che senso ha scrivergli ancora lettere?

Forse la preghiera adulta è proprio questo: riconoscere che Dio non è altrove, ma dentro. Che non è un potere da convincere, ma Presenza da abitare. È un perdersi in Lui, ricordandoci chi siamo. Un ritorno a casa.

Non più grido di bisogno, ma silenzio d’unione.

Non più parole, ma presenza.

Come dice Rūmī, il poeta del cuore:

«Non sei una goccia nell’oceano.

Sei l’oceano in una goccia.

Quando bruci nel fuoco dell’amore,

quello è il tuo vero atto di preghiera.»

In quel fuoco non si parla più. Si ama. Si tace. Si è.


 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 20 Luglio 2025 09:35

XVI Domenica del tempo ordinario - Anno C

XVI Domenica del tempo ordinario - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Gn 18,1-10a

Dal libro della Genesi
 

In quei giorni, il Signore apparve ad Abramo alle Querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno.
Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto».
Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre sea di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo; prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese panna e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse loro. Così, mentre egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono.
Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio».


Salmo Responsoriale Sal 14 (15)

Chi teme il Signore, abiterà nella sua tenda.

Colui che cammina senza colpa,
pratica la giustizia
e dice la verità che ha nel cuore,
non sparge calunnie con la sua lingua.
 
Non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulti al suo vicino.
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.
 
Non presta il suo denaro a usura
e non accetta doni contro l’innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.

 
Seconda Lettura  Col 1,24-28
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi
 
Fratelli, sono lieto nelle sofferenze che sopporto per voi e do compimento a ciò che, dei patimenti di Cristo, manca nella mia carne, a favore del suo corpo che è la Chiesa.
Di essa sono diventato ministro, secondo la missione affidatami da Dio verso di voi di portare a compimento la parola di Dio, il mistero nascosto da secoli e da generazioni, ma ora manifestato ai suoi santi.
A loro Dio volle far conoscere la gloriosa ricchezza di questo mistero in mezzo alle genti: Cristo in voi, speranza della gloria. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.
 
 
Canto al Vangelo (Cf. Lc 8,15)


Alleluia, Alleluia

Beati coloro che custodiscono la parola di Dio
con cuore integro e buono,
e producono frutto con perseveranza.

Alleluia, Alleluia

Vangelo Lc 10,38-42
 
Dal Vangelo secondo Luca

 

In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».


OMELIA

Gesù entra in casa, e Marta si dà da fare, di un fare che ha il sapore della routine, del dovere e che fa perdere di vista l’essenziale. L’unica cosa che rimane. L’amore – si sa – quando si fa abitudine, si svuota.
“L’amato che non sorprende più, è già perduto.” (Christian Bobin)
Maria – ossia l’altra postura esistenziale possibile – vive il momento come fosse unico, irripetibile. Non presume, non agisce, non cerca. Semplicemente sta, aprendosi così a ciò che è, perché in fondo la fede non consiste in un fare, ma nel lasciarsi raggiungere e toccare.
Se c’è un Dio questo si manifesterà sempre come “altro”. L’inatteso. Mai uguale, mai prevedibile. Ogni qual volta lo rinchiudiamo in concetti, formule, liturgie irrigidite, cessa d’essere il Vivente mutandosi in un idolo: un dio piccolo, piccolo, usato per giustificare violenze o imporre pesi insostenibili.
Maria dunque sceglie l’ascolto, e vivere una sorta di rinuncia. E noi sappiamo che nella vita spirituale rinunciare non è perdere qualcosa ma poter ricevere tutto. Lo Spirito, che “soffia dove vuole”, potrà trovare dimora solo in chi non pretende e non sa, perché quando pensiamo di avere Dio in tasca, di sapere come agirà, cosa vorrà, come parlerà, l’abbiamo già perduto. Chi invece si dispone come Maria — silenziosa, attenta, disponibile, accogliente — può riconoscerlo anche dove nessuno lo immaginerebbe.
Ciò che ci salva non è ciò che ci assomiglia, ma ciò che ci sfida, perché la vera ricchezza è sempre nella diversità.
Ospitare l’altro dunque — come ha fatto Abramo, come ha fatto Maria con la Parola — significa riconoscere che Dio non ci appartiene. È sempre un Oltre. È sempre Altro. Mistero. E “Il mistero – si sa – non si risolve. Si abita.” (Abraham Heschel)
Va da sé che l’esempio di Maria qui non è un invito alla passività, ma all’essenziale. A liberarci da tutto ciò che ci distrae, per restare, finalmente, in ascolto.
E forse, in questo silenzio, Dio tornerà a parlarci. Ma non sarà mai come ce lo saremmo aspettato.

 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 13 Luglio 2025 09:13

XV Domenica del tempo ordinario - Anno C

XV Domenica del tempo ordinario - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Dt 30,10-14

Dal libro del Deuteronomio
 

Mosè parlò al popolo dicendo:
«Obbedirai alla voce del Signore, tuo Dio, osservando i suoi comandi e i suoi decreti, scritti in questo libro della legge, e ti convertirai al Signore, tuo Dio, con tutto il cuore e con tutta l’anima.
Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: “Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Non è di là dal mare, perché tu dica: “Chi attraverserà per noi il mare, per prendercelo e farcelo udire, affinché possiamo eseguirlo?”. Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica».


Salmo Responsoriale Sal 18

I precetti del Signore fanno gioire il cuore.

La legge del Signore è perfetta, 
rinfranca l’anima;
la testimonianza del Signore è stabile, 
rende saggio il semplice.

I precetti del Signore sono retti, 
fanno gioire il cuore;
il comando del Signore è limpido,
illumina gli occhi.

Il timore del Signore è puro, 
rimane per sempre;
i giudizi del Signore sono fedeli, 
sono tutti giusti.

Più preziosi dell’oro, 
di molto oro fino, 
più dolci del miele
e di un favo stillante.

 
Seconda Lettura  Col 1,15-20
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi
 
Cristo Gesù è immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione,
perché in lui furono create tutte le cose
nei cieli e sulla terra,
quelle visibili e quelle invisibili:
Troni, Dominazioni,
Principati e Potenze.
Tutte le cose sono state create
per mezzo di lui e in vista di lui.
Egli è prima di tutte le cose
e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa.
Egli è principio,
primogenito di quelli che risorgono dai morti,
perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose.
È piaciuto infatti a Dio
che abiti in lui tutta la pienezza
e che per mezzo di lui e in vista di lui
siano riconciliate tutte le cose,
avendo pacificato con il sangue della sua croce
sia le cose che stanno sulla terra,
sia quelle che stanno nei cieli.
 
 
Canto al Vangelo (Cf. Gv 6,63c.68c)


Alleluia, Alleluia

Le tue parole, Signore, sono spirito e vita;
tu hai parole di vita eterna.

Alleluia, Alleluia

Vangelo Lc 10,25-37
 
Dal Vangelo secondo Luca

 

In quel tempo, un dottore della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?». Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?». Costui rispose: «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso». Gli disse: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».
Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così».


OMELIA

Un pio religioso si avvicina a Gesù e gli pone una domanda apparentemente semplice: «Chi è il mio prossimo da amare?» (Lc 10,29). Domanda retorica. Ogni buon ebreo conosce la Legge e quindi la risposta. Il Levitico a proposito è chiaro: «Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Lv 19,18), identificando col prossimo il familiare, il parente, il “vicino”, l’amico, il connazionale. Non certo il diverso e lo straniero.
Gesù spezza lo schema. Non risponde con una definizione, ma con una narrazione, con un gesto, con un rovesciamento: la parabola del buon samaritano. E così, con radicale semplicità, cambia la domanda: non “chi è il mio prossimo?” ma “a chi posso io farmi prossimo?”
Come se ci dicesse: non domandarti chi è da amare, ma disponiti a diventare tu risposta per chiunque chieda amore. È qui che inizia il cristianesimo.
L’amore autentico non nasce da una strategia morale, da una selezione ponderata, da un criterio di reciprocità. Non dice: “mi prenderò cura di lui perché se lo merita” o “perché la pensa come me”. No. L’amore, come dice Simone Weil, “è attenzione pura”. È una risposta che precede il giudizio. È la gratuità che sconfigge la logica della reciprocità.
Gesù racconta di un uomo mezzo morto ai bordi della strada. Gli passano accanto un sacerdote e un levita: figure religiose, osservanti, rispettabili. Ma tirano dritto. Toccare il sangue gli avrebbero resi impuri e reso vano il loro servizio al Tempio. Giunge infine un samaritano, per l’establishment religioso un eretico e uno scomunicato. E questi si ferma. Sì, perché l’amore comincia proprio col fermarsi.
Il samaritano, anonimo e senza titoli, diventa così figura del Cristo. E con lui viene inaugurata una nuova Torah, non più fatta di dieci comandamenti scolpiti nella pietra, ma di dieci verbi scolpiti nella carne: Lo vide/Ne ebbe compassione/Gli si fece vicino/Gli fasciò le ferite/Gli versò olio e vino/Lo caricò sulla cavalcatura/Lo portò in albergo/Si prese cura di lui/Pagò per lui/Ritornò da lui.
Questi dieci verbi non sono una morale. Sono una teofania, incarnano il medesimo volto di Dio. Gesù rompe così ogni forma di religione che serva solo a tracciare confini. Ai suoi occhi non conta il dogma, ma il gesto. Non l’appartenenza, ma la compassione. Non un ‘credo’ ma la fede, quella che – come dice Paolo – “opera per mezzo dell’amore” (Gal 5,6).
“Ho cercato la mia anima e non l’ho trovata. Ho cercato Dio e non l’ho trovato. Ho cercato mio fratello e ho trovato tutti e tre.” (Proverbio sufi)
Essere cristiani in fondo non significa tanto sapere chi è Dio, ma saper riconoscere il grido dell’altro che diventa luogo d’incontro col divino.
Chi ama, anche senza sapere, sta già pregando. Chi si ferma, anche senza credere, è già sulla via del Regno.
“Non chiederti mai se l’altro merita il tuo amore. Chiediti piuttosto se tu sei disposto a farti prossimo.” (Ernesto Balducci)

 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 06 Luglio 2025 08:43

XIV Domenica del tempo ordinario - Anno C

XIV Domenica del tempo ordinario - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Is 66,10-14c

Dal libro del profeta Isaia
 

Rallegratevi con Gerusalemme,
esultate per essa tutti voi che l’amate.
Sfavillate con essa di gioia
tutti voi che per essa eravate in lutto.
Così sarete allattati e vi sazierete
al seno delle sue consolazioni;
succhierete e vi delizierete
al petto della sua gloria.
Perché così dice il Signore:
«Ecco, io farò scorrere verso di essa,
come un fiume, la pace;
come un torrente in piena, la gloria delle genti.
Voi sarete allattati e portati in braccio,
e sulle ginocchia sarete accarezzati.
Come una madre consola un figlio,
così io vi consolerò;
a Gerusalemme sarete consolati.
Voi lo vedrete e gioirà il vostro cuore,
le vostre ossa saranno rigogliose come l’erba.
La mano del Signore si farà conoscere ai suoi servi».


Salmo Responsoriale Sal 65 (66)

Acclamate Dio, voi tutti della terra.

Acclamate Dio, voi tutti della terra,
cantate la gloria del suo nome,
dategli gloria con la lode.
Dite a Dio: «Terribili sono le tue opere!».
 
«A te si prostri tutta la terra,
a te canti inni, canti al tuo nome».
Venite e vedete le opere di Dio,
terribile nel suo agire sugli uomini.
 
Egli cambiò il mare in terraferma;
passarono a piedi il fiume:
per questo in lui esultiamo di gioia.
Con la sua forza domina in eterno.
 
Venite, ascoltate, voi tutti che temete Dio,
e narrerò quanto per me ha fatto.
Sia benedetto Dio,
che non ha respinto la mia preghiera,
non mi ha negato la sua misericordia.

 
Seconda Lettura  Gal 6,14-18
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati
 
Fratelli, quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.
Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l’essere nuova creatura. E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l’Israele di Dio.
D’ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo.
La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.
 
 
Canto al Vangelo (Col 3,15a-16a)


Alleluia, Alleluia

La pace di Cristo regni nei vostri cuori;
la parola di Cristo abiti tra voi nella sua ricchezza.

Alleluia, Alleluia

Vangelo Lc 10,1-9
 
Dal Vangelo secondo Luca


In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».


OMELIA

Dall’unione con Cristo, nasce la missione. Lo ‘stare-con’, il ‘dimorare-in’, ha come conseguenza l’’andare-verso’, come la vita biologica è data dal duplice movimento del respiro: inspirazione ed espirazione.
Immersi nel Dio amore ci si trasforma in amanti. E come tali invitati a far visita alla ‘casa’ dell’altro, per fargli dono della pace: «In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace”» (v. 5).
Non si è inviati nel mondo ad indottrinare e tanto meno a giudicare, ma a donare pace nel cuore di uomini e donne in lotta con la vita. Interessante: ‘in qualunque casa entriate…’ dice il testo. Anche quella abitata da reprobi, dai ‘diversi’, dai lontani, da sbagliati… L’amore non sceglie, è scelto.
Il seguito del Vangelo di oggi ci suggerisce anche come elargire concretamente questa pace: guarendo i malati (v. 9). Malato è l’uomo segnato dal male, tutto ciò che in qualche modo lo diminuisce, lo impoverisce, lo blocca nel suo cammino verso il compimento. Siamo chiamati ad alleviare il dolore di chi ci sta accanto, a liberare le persone da pesi insopportabili, a farci compagni di viaggio tenendo compagnia all’altro nel suo cammino nel buio della notte.
Ma nella ‘casa’ dell’altro – si entrerà solo se poveri. Il ricco nell’incontrare l’altro rischia sempre di donare cose sue non sé stesso.
Certo, l’amore donato potrà anche essere rifiutato (v. 9b), ma in ogni caso non fallirà, anzi proprio in quel momento sarà portato a compimento, come il Figlio che sulla croce ha testimoniato un amore più forte della morte.
Questo amore senza se e senza ma, provoca qualcosa di incredibile dice Gesù: “la caduta di Satana dal cielo” (v. 18). Fuori di metafora: più il bene viene affermato, più il male si dissolve, si sgretola, precipita nel nulla. Laddove si lavorerà per la giustizia e la pace, si disperderà anche la nebbia e l’oscurità che rendevano nascosti i nomi degli amanti scritti nel cielo (v. 20). E dato che nel vocabolario biblico nome sta per l’essenza più profonda della persona, e cielo indica il cuore stesso di Dio, chi ama è già nascosto con tutta la sua persona nel cuore stesso dell’Amore (cfr. Col 3, 13). Questo ci permetterà di credere da una parte che «nulla potrà mai danneggiarci» (v. 19) e che nulla di ciò che faremo se segnato dal bene potrà andar perduto: «nessun sacrificio per quanto nascosto e ignorato, nessuna lacrima e nessuna amicizia» (Michele Do).

 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 22 Giugno 2025 09:11

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo - Anno C

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Gn 14,18-20

Dal libro della Genesi
 

In quei giorni, Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole:
«Sia benedetto Abram dal Dio altissimo,
creatore del cielo e della terra,
e benedetto sia il Dio altissimo,
che ti ha messo in mano i tuoi nemici».
E [Abramo] diede a lui la decima di tutto.


Salmo Responsoriale Sal 109 (110)

Tu sei sacerdote per sempre, Cristo Signore.

Oracolo del Signore al mio signore:
«Siedi alla mia destra
finché io ponga i tuoi nemici
a sgabello dei tuoi piedi».
 
Lo scettro del tuo potere
stende il Signore da Sion:
domina in mezzo ai tuoi nemici!
 
A te il principato
nel giorno della tua potenza
tra santi splendori;
dal seno dell'aurora,
come rugiada, io ti ho generato.
 
Il Signore ha giurato e non si pente:
«Tu sei sacerdote per sempre
al modo di Melchìsedek».

 
Seconda Lettura 1Cor 11,23-26
 
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
 
Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me».
Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: «Questo calice è la Nuova Alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me».
Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga.
 
 
Canto al Vangelo (Gv 6,51)


Alleluia, Alleluia

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo, dice il Signore,
se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.

Alleluia, Alleluia

Vangelo Lc 9,11b-17
 
Dal Vangelo secondo Luca


In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.


OMELIA

gli incensi? Di quel pane che deve essere un pane a tavola noi abbiamo fatto un idolo. È l’astuzia dell’uomo! Quando l’uomo fa di un santo una realtà da adorare, se ne è già liberato. Adorare significa metterla fuori. Messa fuori, viviamo più tranquilli nella nostra malvagità» (E. Balducci).
Gesù, nel deserto della storia vede e si prende cura di un’umanità dolorante invitando ciascuno dei suoi a fare altrettanto, rivelando così la logica disarmante che la propria fame si estingue facendosi pane per gli altri. Infatti qui Gesù non invita a dare cose, denari o ad impetrare il Cielo per compiere la sazietà dell’altro, bensì a donare sé stessi: «Voi stessi date loro da mangiare», ossia ‘datevi in cibo a questa umanità affamata’ (v. 13a). E nell’attimo stesso in cui si vive questa logica del dono di sé, il deserto comincia a fiorire (cfr. Is 32, 15). Infatti nel Vangelo di Giovanni, passo parallelo al nostro, si afferma come in quel luogo ci fosse “molta erba” (Gv 6, 10b) e Marco aggiunge come quell’erba fosse ‘verde’ (Mc 6, 39). Un luogo con molta erba verde, richiama un giardino, e il Giardino nella Bibbia è sinonimo di paradiso. Insomma: il condividere, il prendersi cura della vita dell’altro fa fiorire il proprio deserto esistenziale e trasforma questo nostro mondo incolto, in un qualcosa dal sapere di paradiso.
Prima di farsi ostia, Dio s’è fatto carne, e quindi ogni carne.
Va da sé che maltrattare un essere umano significa profanare il medesimo Corpo di Cristo, il Dio-con-noi, e in- noi.
Va da sé che i veri e più preziosi tabernacoli saranno i corpi martoriati dei poveri, le carni consunte dei profughi, degli esclusi, degli allontanati e degli abbandonati.
Adorare e venerare un’ostia consacrata e poi calpestarla, denigrarla e rigettarla nel fratello può dirsi cristianesimo?

 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 22 Giugno 2025 09:01

Santissima Trinità - Anno C

Santissima Trinità - Anno C

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Prv 8,22-31

Dal libro dei Proverbi
 

Così parla la Sapienza di Dio:
«Il Signore mi ha creato come inizio della sua attività,
prima di ogni sua opera, all’origine.
Dall’eternità sono stata formata,
fin dal principio, dagli inizi della terra.
Quando non esistevano gli abissi, io fui generata,
quando ancora non vi erano le sorgenti cariche d’acqua;
prima che fossero fissate le basi dei monti,
prima delle colline, io fui generata,
quando ancora non aveva fatto la terra e i campi
né le prime zolle del mondo.
Quando egli fissava i cieli, io ero là;
quando tracciava un cerchio sull’abisso,
quando condensava le nubi in alto,
quando fissava le sorgenti dell’abisso,
quando stabiliva al mare i suoi limiti,
così che le acque non ne oltrepassassero i confini,
quando disponeva le fondamenta della terra,
io ero con lui come artefice
ed ero la sua delizia ogni giorno:
giocavo davanti a lui in ogni istante,
giocavo sul globo terrestre,
ponendo le mie delizie tra i figli dell’uomo».


Salmo Responsoriale Sal 8

O Signore, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!

Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissato,
che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi,
il figlio dell'uomo, perché te ne curi?
 
Davvero l'hai fatto poco meno di un dio,
di gloria e di onore lo hai coronato.
Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani,
tutto hai posto sotto i suoi piedi.
 
Tutte le greggi e gli armenti
e anche le bestie della campagna,
gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
ogni essere che percorre le vie dei mari.

 
Seconda Lettura Rm 5,1-5
 
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.
 
Fratelli, giustificati per fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. Per mezzo di lui abbiamo anche, mediante la fede, l’accesso a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo, saldi nella speranza della gloria di Dio.
E non solo: ci vantiamo anche nelle tribolazioni, sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza.
La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato.
 
 
Canto al Vangelo (Cf. Ap 1,8)


Alleluia, Alleluia

Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo,
a Dio, che è, che era e che viene.

Alleluia, Alleluia

Vangelo Gv 16,12-15
 
Dal Vangelo secondo Giovanni


In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.
Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».


OMELIA

«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

“Lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità” dice Gesù nel vangelo di questa domenica.
La vita di Dio, o meglio Dio come vita ci permea ed emerge in noi nella misura in cui facciamo decantare in noi il ‘mio’ e l’’io’ sino al compiersi di ciò che in realtà siam sempre stati: ‘immagine e somiglianza di Dio’ (Gn 2, 27). Paolo afferma tutto ciò quando scrive che lo Spirito – ovvero Dio medesimo (cfr. Gv 4, 24) riversa sé stesso nel nostro cuore (Rm 5, 5), attuando così la nostra natura autentica. Quest’ultima non è qualcosa di pregresso che abbiamo perduto a causa del peccato, ma piuttosto la nostra destinazione. La Verità – tutta intera – della nostra vita ci sta dinanzi, non alle spalle. Non siamo esseri decaduti, ma fragilità in via di compimento.
La questione è rimanere aperti, disponibili, collaboranti a questa energia che ci inabita, affinché possa compiere la sua opera. Per questo è necessario prestarle attenzione, non opporle resistenza, vivere con essa in una profonda sinergia. È altresì importante sottolineare che a questa verità siamo chiamati tutti a parteciparvi, non solo quelli con le carte in regola, i prescelti, i senza peccato.
Qualcuno ha detto che “se la Chiesa traccia un cerchio, la maggioranza dell’umanità è fuori del cerchio, se il Padre traccia un cerchio c’è tutto, dentro”. Occorre non perdere di vista il cerchio del Padre, e contemplarlo sempre dall’interno. D’altra parte viviamo nel frammento, perché in fin dei conti nessun segmento della linea è la linea.

 
Paolo Scquizzato
 
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