Famiglia Giovani Anziani

Fausto Ferrari

Fausto Ferrari

Religioso Marista
Area Formazione ed Area Ecumene; Rubriche Dialoghi, Conoscere l'Ebraismo, Schegge, Input

EUCARISTIA E UNIONE CON CRISTO

E’ con tutto il «realismo» possibile che noi dobbiamo comprendere le parole di Gesù al momento dell’istituzione dell’Eucaristia: «Prendete, mangiate, questo è il mio corpo» (Mt 26,26). Ilsoggetto «Questo» (il pane) si identifica con l’attributo «il mio corpo» (la persona di Gesù). Se crediamo che Gesù è il Figlio di Dio, di quel Dio che non può e non vuole ingannare né ingannarsi, è necessario concludere che il pane e il vino consacrati sono il Cristo realmente presente. La fede della Chiesa è sempre costante e unanime su questo punto.

L’Eucaristia è soprattutto sacramento della presenza, poiché essa è sacramento della Pasqua e della salvezza che, è Cristo stesso in persona. È per questo che i nostri primi fratelli cristiani parlavano della «mensa del Signore», della «cena del Signore» (1 Cor 10,21; 11,20). Colui che aveva mangiato con gli Apostoli si rendeva presente a essi e presiedeva la «cena». Il racconto dei discepoli di Emmaus è una testimonianza chiara di questa realtà: Gesù si manifesta loro nello spezzare il pane. Ancora oggi Gesù ci dice: «Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui e lui con me» (Ap 3,20).

Noi celebrando l’Eucaristia rendiamo attuali le apparizioni del Risorto; tali «apparizioni» sono il compimento della sua Parola: «Ritornerò a voi» (Gv 14,18-22). E soprattutto noi crediamo che Lui ritorni come «venne» il primo giorno della settimana, e «venne» la seconda volta il primo giorno della settimana seguente (Gv 20, 19,26).

È soprattutto e fondamentalmente nel corso dell’Eucaristia che ognuno di noi entra in comunione reale con Gesù Cristo morto e risorto per noi. Ogni volta che noi celebriamo l’Eucaristia il Signore si rende presente a noi in diversi e molteplici modi.

- Prima di tutto, per mezzo della comunità stessa riunita nel suo Nome e raccolta e «rivolta» a Lui. Quando il Cristo risorto appare in mezzo ai suoi discepoli chiusi in casa per paura dei Giudei, noi possiamo credere che Egli non veniva da fuori ma dall’interno dell’unico cuore che li riuniva, (cioè era in «mezzo a loro»).

- Il Cristo si rende pure presente quando viene proclamata la Parola del Vangelo. È per questo, che all’invito del diacono: Parola del Signore, noi rispondiamo: Gloria a Te Signore Gesù!

- Il Cristo si rende presente soprattutto nel pane e nel vino consacrato: Lui stesso (il medesimo Cristo), nascosto sotto le specie del pane e del vino allo scopo di essere mangiato e bevuto. La Sua stessa persona divina fattasi uomo nella storia e nella cultura umana, crocifissa e risorta e splendente della gloria divina, si rende presente a noi per mangiare noi lasciandosi Lui stesso mangiare.

- Noi lo consumiamo per essere trasformati (convertiti) nel suo stesso corpo, noi l’assimiliamo per essere da Lui assimilati.

- Tutte queste forme di presenza rendono sempre presente Colui che è sempre presente, il Presente!

La nostra vita contemplativa può essere compresa in questa chiave di ricerca-incontro. Gesù si rende presente a noi nell’Eucaristia perché Egli ci cerca e ci incontra, Egli ci invita, a nostra volta, a cercarlo e incontrarlo. La nostra vita orientata alla contemplazione consiste nel cercare la Presenza e renderci ad essa presenti. La vita contemplativa cristiana mi sembra inconcepibile senza l’Eucaristia e senza una profonda partecipazione ad essa.

Lo Sposo e la Sposa

L’Eucaristia è la venuta del Signore in Persona. Il desiderio di questa visita motiva la nostra celebrazione quotidiana dell’Eucaristia. Con lo Spirito e la Sposa noi invochiamo: Maranatha! Vieni Signore Gesù (Ap 22,20). Noi ci riconosciamo Chiesa-Sposa e, desiderando prolungare la presenza e la comunione, noi non esitiamo a conservare dopo la Celebrazione il Pane consacrato. Noi facciamo uso del nostro diritto sul Corpo già glorioso del nostro Sposo e Signore: «Lo Sposo non dispone del suo corpo, bensì la Sposa» (1 Cor 7,4).

Ma quale relazione possiamo stabilire tra l’Eucaristia e l’unione nuziale, riferendoci all’unione di Cristo e la Chiesa?

Molti Padri della Chiesa hanno fatto l’accostamento tra l’Eucaristia e l’unione tra il Cristo e la Chiesa basandosi sul testo agli Efesini 5,22-23. La celebrazione delle nozze tra il Cristo e la Chiesa ha luogo durante il banchetto dell’Eucaristia: qui il Signore Sposo fa sua la Chiesa e la incorpora a Lui come suo corpo e sua carne; ed è per questo: «Egli Li nutre e si prende cura di lei, poiché nessuno ha mai odiato la propria carne,) (Ef 5,29).

La chiesa dal canto suo, come nuova Eva, diviene «carne della sua carne e ossa delle sua ossa». Difatti, nell’Eucaristia, «il Cristo ama la sua Chiesa e si dona ad essa» (Ef 5,25). A questo dono totale di sé fatto dal suo Signore e Sposo corrisponde l’abbandono totale della sua Sposa, la Chiesa.

L’«alleanza nuziale nuova ed eterna», che ogni Eucaristia è, si trasforma per noi nella realtà in ogni nostra consacrazione monastica. Questa alleanza e questa consacrazione avvengono puntualmente nel banchetto di nozze dell’eucaristia e siamo chiamati a rinnovarle in ogni celebrazione della Cena del Signore. Solo così noi possiamo manifestare il Cristo unito alla sua sposa, la Chiesa, con un legame indissolubile. Solo così noi potremo perseverare nella fedeltà dell’amore fino a quando il Signore ritornerà.

Preghiera e mistica

In virtù della celebrazione eucaristica la Chiesa è una comunità orante. E precisamente parlando dell’eucaristia Paolo dice ai Corinzi: «Quando vi riunite in ekklèsia... » (I Cor 11,18).

Se la preghiera consiste nell’entrare in comunione con Dio, si comprende perché l’Eucaristia favorisce la preghiera. Anzi, possiamo dire che l’eucaristia fu istituita per fare della comunità ecclesiale un corpo orante.

La celebrazione eucaristica raggiunge il suo apice nelle parole del Signore: «Prendete e mangiate, prendete e bevete». Prendere è accogliere, ma non solamente accogliere, è anche essere accolti. La preghiera eucaristica è comunione in un abbandono mutuo di se stessi e nella mutua accoglienza. In tal modo ha compimento la parola del Signore: «Voi in me e Io in voi» (Gv 14,20).

Il Cristo eucaristico è il Cristo glorioso e in piena comunione con il Padre nello Spirito. Questo «mangiare» il Cristo è entrare (comunicare) nel seno della comunione trinitaria. Quando noi preghiamo mangiando e comunicando, noi diveniamo dimora di Dio. Quando chiunque tra noi s’accosta all’Eucaristia con fede amorosa, Gesù gli dice: «Il Padre e Io siamo Uno» (Gv 10,30): «E subito, mediante lo Spirito Santo, l’amore l’assume in Dio, e lui stesso riceve Dio che viene in lui e pone la sua dimora in lui non solo in maniera spirituale, ma anche corporalmente mediante il mistero del corpo e del sangue, santo e vivificante del nostro Signore Gesù Cristo (Guglielmo di S. Thierry, Preghiera meditativa, X 10,8).

È forse troppo dire che la comunione eucaristica è la porta reale per entrare nel mistero ed essere misticamente trasformati? Possiamo affermare che il mistero eucaristico è il luogo privilegiato dell’esperienza mistica? Se il Cristo è un fuoco divorante, non è affatto normale che i nostri cuori ardano nell’oscurità della fede quando il pane che spezziamo viene distribuito e mangiato?

EUCARISTIA E COMUNIONE FRATERNA

La semplice lettura dei testi eucaristici del Nuovo Testamento ci dice chiaramente che l’Eucaristia è il sacramento della comunione con il Cristo e i fratelli, il sacramento della vita comunicata. Essa esprime e produce la comunione solidale con la vita di Gesù e con tutti i credenti che partecipano dell’unico Pane, e allo stesso tempo, ci impegna a condividere la vita.

Se la comunità monastica è soprattutto una comunità di fede, allora l’Eucaristia, sacramento di unità, ha al suo centro una funzione suprema da compiere. Celebrare insieme il sacramento dell’unità ci permette di manifestare l’unità già esistente e di alimentarla perché essa possa crescere fino alla sua pienezza escatologica.

Uniti verso il Signore

In Matteo 18,20 parlando della ricerca e dell’incontro con il signore nella liturgia, l’Evangelista dice: «Là dove due o tre sono riuniti “verso” (eis) il mio Nome, io sono in mezzo a loro».

Avrete notato che coloro che sono riuniti non lo sono semplicemente «nel» ma «verso», e cioè in una ricerca intensa del Nome, vale a dire della Persona. Ciò spiega una volta di più perché nell’assemblea eucaristica, lo Spirito e la Sposa esclamano: Vieni! Maranatha!

Nell’Eucaristia, cerchiamo comunitariamente Gesù Cristo, protesi verso il tempo escatologico, verso il fine ultimo e definitivo. In Essa viviamo il primo comandamento dell’amore verso Dio nel contesto concreto del secondo comandamento dell’amore verso il prossimo, nelle persone dei nostri fratelli e sorelle della comunità.

Il vangelo di Giovanni è pieno di riferimenti all’eucaristia (Cf. soprattutto il c. 6). Ma quando si tratta di parlare dell’istituzione dell’Eucaristia, Giovanni sorvola. Sapete invece cosa fa? Egli mette al suo posto il comandamento nuovo: «Amatevi gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv 13,34-35)! Per mezzo di questo mutuo amore Gesù ci dice: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e Io in lui» (Gv 6,56).

Alla fine della sua Regola S. Benedetto ci lascia il suo testamento spirituale: amatevi ardentemente gli uni gli altri. Poi esprime il suo ultimo desiderio: che il Cristo ci conduca tutti insieme alla vita eterna. L’Eucaristia è un vulcano d’amore incandescente che rende possibile l’amore ardente. In ogni celebrazione eucaristica il Signore «ritorna» per farci entrare tutti insieme nella sua vita glorificata ed eterna.

Il Corpo del Kyrios

Nell’Eucaristia Gesù immolato e risorto, cioè il Kyrios, è presente. Perciò Paolo parla della «cena del Kyrios», «del calice del Kyrios» e della mensa del Kyrios. Ora il titolo Kyrios comporta il riferimento alla comunità. Si tratta del Kyrios-Signore dell’universo, del mondo, della Chiesa, della comunità: «Nessuno di noi vive per se stesso, come non muore per se stesso; se viviamo, viviamo per il Kyrios. e se moriamo, torniamo per il Kyrios. Perciò, sia che viviamo sia che moriamo, siamo del Kyrios. Perciò Cristo è morto ed è ritornato in vita per essere il Kyrios dei morti e dei vivi» (Rm 14,7-9).

Quando S. Paolo scrivendo ai Corinzi dice loro: il pane che noi spezziamo è partecipazione e comunione al corpo di Cristo (1 Cor 10, 16-17), si riferisce pure al corpo di Cristo che è la comunità. Per questo poco dopo afferma che l’unità effettiva tra i cristiani tutti è costitutiva della celebrazione; in caso contrario «non è la cena del Signore» (1 Cor 11,21).

Più oltre, in 1 Cor 11,29 leggiamo: «Colui che mangia e beve, mangia e beve la sua condanna se non sa discernere il corpo». Cosa significa, in tale contesto, la parola «corpo»? Possiamo dire che Paolo si riferisce alla Chiesa, senza prescindere dal corpo eucaristico del risorto. Di fatto, è quanto dimostra la struttura stessa di tutto il brano citato; inoltre, già prima l’Apostolo aveva detto: «noi tutti siamo un solo corpo perché partecipiamo a un unico pane» (10,17); e poco dopo afferma: «voi siete il corpo di Cristo» (12,27).

S. Benedetto invita il superiore a recitare a voce alta, due volte al giorno, la preghiera del Signore. In quest’occasione tutti possono rinnovare il loro impegno al perdono reciproco e togliere le spine della separazione (scandalo). Soggiacente vi è il comando del Signore: «quando ti avvicini all’altare per presentare la tua offerta... ». Non senza un certo timore non posso evitare di domandarmi: quando il Signore si fa presente a noi, oltre che essere riuniti ci trova anche uniti? Non ci preoccupiamo forse più della forma esteriore della celebrazione (che deve essere secondo le norme liturgiche) che della sua autenticità (derivante dalla concordia dell’assemblea)?

Comunicare e condividere

La comunità primitiva di Gerusalemme ci ragguaglia sui frutti dello «spezzare il pane nelle case, prendendo cibo e lodando Dio» (At 2, 46-47); e cioè, “i credenti erano un cuor solo e mettevano tutto in comune” (At 2, 44), tutti non erano che un cuor solo e un’anima sola: niente di ciò che apparteneva loro dicevano essere proprio, ma era tutto in comune» (4,32).

Riferendosi a questo testo, l’abate di Ford, Baldovino, dottore dell’Eucaristia e della vita comunitaria, ci offre il frutto della sua vita e della sua meditazione con queste parole: «La carità ha in sé il potere di trasformare in comunione una proprietà personale; non distruggendo una tale proprietà, ma facendola concorrere (convergere) nella comunione, non lede una tale comunione, non mette ostacoli al bene della comunione. La divisione o la proprietà personale che pone ostacolo al bene della comunione, è estranea alla carità»

«I beni spirituali divisi sono ricondotti alla comunione in due modi: prima di tutto quando i detti beni i quali vengono distribuiti a questo o a quello sono posseduti in comune mediante la comunione dell’amore; poi per mezzo dell’amore della comunione, essi sono amati in uno spirito comunitario. La grazia è comune a colui che la possiede e a colui che non ce l’ha. Quando chi la possiede, la comunica all’altro e la possiede così anche per l’altro e colui che non ce l’ha la possiede nell’altro poiché egli lo ama» (Trattato XV, sulla vita cenobitica).

Inoltre, il senso profondo di questo cibo partecipato si comprende solamente quando noi siamo solidali con i membri più poveri e senza alcuna dignità del corpo di Cristo. Infatti, Lui stesso ce lo dice: «Quando dai un banchetto, invita i poveri, gli storpi, gli sciancati, i ciechi; beato sarai quando essi non hanno di che contraccambiarti! Perché ti sarà reso alla risurrezione dei giusti» (Lc 13,13-14).

La nostra povertà evangelica e monastica ci invitano inoltre, alla solidarietà con i poveri e a preferire quegli esseri umani distrutti dalla nostra inumanità. La risposta generosa a questo invito non è opera della carne e del sangue; è un dono del Padre che ci rende compassionevolmente solidali con loro per mezzo del corpo e del Sangue del suo Figlio.

di Dom Bernardo Olivera o.c.s.o.

 

 

Ventitreesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura  Is 35,4-7

Dal Libro del profeta Isaia

Dite agli smarriti di cuore:
«Coraggio, non temete!
Ecco il vostro Dio,
giunge la vendetta,
la ricompensa divina.
Egli viene a salvarvi».
Allora si apriranno gli occhi dei ciechi
e si schiuderanno gli orecchi dei sordi.
Allora lo zoppo salterà come un cervo,
griderà di gioia la lingua del muto,
perché scaturiranno acque nel deserto,
scorreranno torrenti nella steppa.
La terra bruciata diventerà una palude,
il suolo riarso sorgenti d’acqua.

 

Salmo Responsoriale Dal Salmo 145

Loda il Signore, anima mia.

Il Signore rimane fedele per sempre
rende giustizia agli oppressi,
dà il pane agli affamati.
Il Signore libera i prigionieri.

Il Signore ridona la vista ai ciechi,
il Signore rialza chi è caduto,
il Signore ama i giusti,
il Signore protegge i forestieri.

Egli sostiene l’orfano e la vedova,
ma sconvolge le vie dei malvagi.
Il Signore regna per sempre,
il tuo Dio, o Sion, di generazione in generazione.

Seconda Lettura Giac 2,1-5

Dalla lettera di san Giacomo apostolo

Fratelli miei, la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria, sia immune da favoritismi personali.
Supponiamo che, in una delle vostre riunioni, entri qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito lussuosamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se guardate colui che è vestito lussuosamente e gli dite: «Tu siediti qui, comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti là, in piedi», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», non fate forse discriminazioni e non siete giudici dai giudizi perversi?
Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri agli occhi del mondo, che sono ricchi nella fede ed eredi del Regno, promesso a quelli che lo amano?
 
Canto al Vangelo (Mt 4,23)


Alleluia, alleluia.

Gesù annunciava il vangelo del Regno
e guariva ogni sorta di infermità nel popolo.

Alleluia.

Vangelo Mc 7,31-37

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
 

OMELIA

Gesù si reca in pieno territorio pagano, la Decàpoli, come a farsi presente nelle nostre zone consuete d’incredulità e lontananza.
Gli viene condotto un sordomuto (v. 32), anche se nel testo originale si ha letteralmente: ‘sordo e malparlante’, un uomo che parla ma non dice nulla.
Viviamo in un mondo dove parlare è rumoreggiare, il dire uno sparlare, il comunicare un non-senso. Immersi in un turbinio di parole che non dicono nulla e non aiutano a crescere, a maturare, a compierci. Per questo la vita diventa ‘assurda, etimologicamente dissonante, stonata.
Ora, il problema del vivere – sottolineato nel vangelo – è che siamo sordi a quella parola che, se ascoltata, potrebbe dare senso alla vita, rivelare l’uomo all’uomo. È la parola pronunciata dall’Amore che ci dice: «Io ti amo così come sei, senza se e senza ma». Il muto di questa pagine è tale perché sordo a questa parola. E una vita sorda all’amore diviene una vita odiosa.
Occorrerà dunque rimanere aperti alla parola dell’Amore che mi dice: «Effatà, apriti!», “vieni alla luce di te stesso. Rinasci”. Allora imparerò a ‘parlare correttamente’, ovvero la mia vita tornerà a dire qualcosa di sensato, ad essere feconda.
Finché ci chiudiamo all’ascolto, emettiamo solo ‘suoni e rumori’, parliamo scorrettamente, e le azioni che ne derivano saranno quelle del potere, declinate in dominio, furbizia, possesso, inganni, finzioni. Se guariamo l’orecchio, organo collegato al cuore, ci sentiremo finalmente amati e in grado di ‘parlare’, capaci di prenderci cura di qualcuno, di condividere, abbracciare, creare comunione, e darci da fare per la pace e la giustizia.
Maria, nella tradizione orientale, è definita “la tutta orecchi”. Infatti la maternità l’ha vissuta prima nell’orecchio e poi nel ventre. Ella è stata fecondata dall’orecchio, dice un antico Padre della Chiesa, Efrem il Siro. Ha ascoltato la Parola, e ha partorito il Cristo.
L’uomo edificherà intorno a sé spazi di luce nella misura in cui presterà orecchi alla Parola fattasi Luce.

 
Paolo Scquizzato
 
Martedì, 10 Settembre 2024 10:44

Ventiduesima domenica del tempo ordinario. Anno B

Ventiduesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura  Dt 4,1-2.6-8

Dal Libro del Deuteronòmio

Mosè parlò al popolo dicendo:
«Ora, Israele, ascolta le leggi e le norme che io vi insegno, affinché le mettiate in pratica, perché viviate ed entriate in possesso della terra che il Signore, Dio dei vostri padri, sta per darvi.
Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo.
Le osserverete dunque, e le metterete in pratica, perché quella sarà la vostra saggezza e la vostra intelligenza agli occhi dei popoli, i quali, udendo parlare di tutte queste leggi, diranno: “Questa grande nazione è il solo popolo saggio e intelligente”.
Infatti quale grande nazione ha gli dèi così vicini a sé, come il Signore, nostro Dio, è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo? E quale grande nazione ha leggi e norme giuste come è tutta questa legislazione che io oggi vi do?».

Salmo Responsoriale Dal Salmo 14

Chi teme il Signore abiterà nella sua tenda.

Colui che cammina senza colpa,
pratica la giustizia
e dice la verità che ha nel cuore,
non sparge calunnie con la sua lingua.

Non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulti al suo vicino.
Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.

Non presta il suo denaro a usura
e non accetta doni contro l’innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.

Seconda Lettura Giac 1,17-18.21-22.27

Dalla lettera di san Giacomo apostolo

Fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre, creatore della luce: presso di lui non c’è variazione né ombra di cambiamento. Per sua volontà egli ci ha generati per mezzo della parola di verità, per essere una primizia delle sue creature.
Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi.
Religione pura e senza macchia davanti a Dio Padre è questa: visitare gli orfani e le vedove nelle sofferenze e non lasciarsi contaminare da questo mondo.
 
Canto al Vangelo (Giac 1,18)


Alleluia, alleluia.

Per sua volontà il Padre ci ha generati
per mezzo della parola di verità,
per essere una primizia delle sue creature.

Alleluia.

Vangelo Mc 7,1-8.14-15.21-23

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni degli scribi, venuti da Gerusalemme.
Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani impure, cioè non lavate – i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati accuratamente le mani, attenendosi alla tradizione degli antichi e, tornando dal mercato, non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, di stoviglie, di oggetti di rame e di letti –, quei farisei e scribi lo interrogarono: «Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani impure?».
Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaìa di voi, ipocriti, come sta scritto:
“Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me.
Invano mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini”.
Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini».
Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e comprendete bene! Non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Ma sono le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro». E diceva [ai suoi discepoli]: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo».
 

OMELIA

I farisei – di ieri e di oggi – considerano il rapporto con Dio come mera osservanza. Se s’obbedisce allora si è con lui, altrimenti fuori. Per loro la Legge di Dio, e la sua ottemperanza, è sopra ogni cosa. Senz’altro al di sopra dell’uomo.
Gesù, in questa dura requisitoria, sta affermando che i ‘suoi’ discepoli possono “mangiare il pane” anche con mani sporche. Fuori di metafora: l’essere umano è autorizzato ad entrare in comunione con la divinità con tutta la propria vita – simboleggiata qui dal ‘pane’–, ovvero così com’è, santo o peccatore, forte o fragile, integro o sporco che sia. La questione – ma soprattutto la bella notizia – non è di “farcela” per entrare in relazione con la divinità, ma nella propria condizione – qualunque essa sia – sentirsi legittimati a mangiare la Vita.
La Misericordia si nutre di miseria.
Il possedere “le mani sporche” diventa così l’occasione, e non impedimento, alla comunione con Dio. Ad essere abbracciato dal Padre è il figlio disgraziato che torna a Casa partecipando al banchetto della Vita e non quello pulito che si sente a posto perché nei campi a lavorare come uno schiavo per meritarsi qualcosa dal padre-padrone (cfr. Lc 15, 20), e l’unica pecora presa sulle spalle dal pastore è quella perduta non le novantanove al sicuro nel recinto (cfr. Lc 15, 5).
Nel vangelo, il ‘pane’, la Vita, è offerto a tutti gli impuri della storia: agli emarginati, agli ingiusti, ai reprobi, agli sbagliati, ai fragili, elle prostitute, ai peccatori. Nel nostro brano gli unici che pare rimangano esclusi dalla possibilità di nutrirsi di Dio sono proprio coloro che si reputano ‘a posto’, i puri.
«Gli ultimi saranno i primi, e i primi, ultimi» (Mt 20, 16), e questo perché l’unico vero peccato è non credere all’amore, non credere che ci sia un Dio che si dà non come premio ma solo come dono.
Alla fine, a sedersi alla tavola della Vita saranno coloro che non se ne sono mai ritenuti degni.
Il Vangelo di oggi ci fa memoria che ciò che salva è solo la fede: accoglienza di un amore fontale e gratuito, e non una faticosa conquista morale.

 
Paolo Scquizzato
 
Domenica, 25 Agosto 2024 11:15

Un mosaico di distacchi (Arnaldo Pangrazzi)

Il calendario di ogni persona è segnato da una serie di eventi che ne plasmano la filosofia, la storia e il carattere. Momenti lieti e tristi sono il pane del vivere quotidiano. «La felicità è sempre uguale, ma l'infelicità può avere infinite variazioni» (Lev Tolstoj).

Per alcuni, i momenti critici sono rappresentati da eventi gioiosi quali il matrimonio, una gravidanza, la nascita di un figlio, che comunque comportano cambiamenti nello stile di vita. Per altri riguardano una diagnosi infausta, una grave disabilità, l'impossibilità di proseguire gli studi o di trovare un lavoro, la sensazione di insignificanza della propria vita. Per tutti, periodi critici risultano i distacchi da persone amate, soprattutto quando il congiunto era al centro dell'esistenza, e appare difficile ipotizzare un futuro senza di lui/lei.

Perdite dolorose

Il compianto può essere un nonno, il padre o la madre, il coniuge, un fratello o una sorella, il fidanzato o un amico intimo, il figlio/la figlia o un nipote. Ognuna di queste figure rappresenta legami particolari. Generalmente, l'unico distacco che conoscono i bambini nella scuola elementare, i giovani nelle medie o nel liceo, è l'addio al nonno o alla nonna che lascia tracce profonde, essendo il primo contatto con la morte e carico di forti implicazioni affettive.
Una perdita cruciale riguarda la morte dei genitori che rappresentano le proprie radici, le impronte fondamentali che hanno segnato la propria identità biologica e biografica. I genitori, oltre a trasmettere il dono della vita, sono i canali che hanno plasmato l'educazione, la crescita e i valori dei figli.
E importante fare tesoro di queste presenze, essere riconoscenti a Dio per quanto sono stati capaci di donare, insegnare e comunicare, sapendo anche perdonare i loro limiti e le debolezze.
Meno frequente è l'esperienza di perdita di un fratello o di una sorella, ma quando questo accade, spesso a causa di una malattia grave o di un incidente stradale, gli effetti in chi resta sono profondi. Il fratello o la sorella superstite si trovano in un momento storico in cui stanno sbocciando e forgiando la propria identità, e risulta difficile comunicare il proprio scompiglio interiore.
Con frequenza il giovane si chiude in se stesso e spesso manifesta ribellione verso Dio e rifiuto della Chiesa per quanto accaduto.

La perdita del "presente"

Più frequenti invece sono i lutti legati alla vedovanza: in qualche modo si piange per la perdita del presente, perché con il coniuge si trascorreva il tempo, si prendevano le decisioni, si condividevano gli affetti, i conflitti e le sfide. Molti vedovi, dopo aver trascorso la loro esperienza terrena con il coniuge, si sentono smarriti nell'organizzazione del tempo e dei riti sociali.
La lacerazione per la perdita di un figlio/a, talvolta di un nipote, rappresenta il distacco più doloroso, perché rappresentavano la proiezione nel proprio domani e con essi viene meno il proprio futuro. Di solito sono i figli a seppellire i genitori ed è drammatico quando questa legge biologica si inverte, e il genitore si trova a dover seppellire la creatura a cui ha dato la vita.
Questa tragedia è un capitolo così carico di emozioni che merita una riflessione a parte nel prossimo numero.
Infine, una nota particolare merita la perdita di un bimbo nel periodo di gravidanza.
È un cordoglio generalmente non riconosciuto dalla società, in quanto non c'è stato un funerale, è mancato un riconoscimento pubblico di questa vita, mancano rituali di addio, per cui il dolore resta irrisolto.
La famiglia ferita dal lutto perinatale è spesso priva di sostegno sociale ed ecclesiale e sperimenta un periodo di vuoto e di smarrimento.
I vicini minimizzano la perdita, suggerendo alla coppia di provare ad avere subito un altro figlio e a dimenticare quanto accaduto.
La madre, in particolare, può colpevolizzarsi e sperimentare un senso di fallimento, vivere l'ansia che l'esperienza possa ripetersi, avvertire una profonda solitudine che si traduce, spesso, in depressione.

Ogni lutto ha diverse implicazioni

Ognuna delle perdite sopra menzionate ha le sue implicazioni: un prezzo mentale, fatto di considerazioni e domande; un prezzo emotivo, caratterizzato da sentimenti critici, che albergano nel cuore dei superstiti: un prezzo sociale, espresso da comportamenti, rituali e condotte che manifestano le diverse conseguenze di un distacco doloroso nella storia dei familiari.

Arnaldo Pangrazzi

(tratto da Missione Salute, n. 2/2018, pag. 64)

 

Ventunesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura  Gs 24,1-2.15-17.18

Dal Libro di Giosuè

In quei giorni, Giosuè radunò tutte le tribù d’Israele a Sichem e convocò gli anziani d’Israele, i capi, i giudici e gli scribi, ed essi si presentarono davanti a Dio.
Giosuè disse a tutto il popolo: «Se sembra male ai vostri occhi servire il Signore, sceglietevi oggi chi servire: se gli dèi che i vostri padri hanno servito oltre il Fiume oppure gli dèi degli Amorrèi, nel cui territorio abitate. Quanto a me e alla mia casa, serviremo il Signore».
Il popolo rispose: «Lontano da noi abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché è il Signore, nostro Dio, che ha fatto salire noi e i padri nostri dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; egli ha compiuto quei grandi segni dinanzi ai nostri occhi e ci ha custodito per tutto il cammino che abbiamo percorso e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati. Perciò anche noi serviremo il Signore, perché egli è il nostro Dio».

Salmo Responsoriale Dal Salmo 33

Gustate e vedete com’è buono il Signore.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Gli occhi del Signore sui giusti,
i suoi orecchi al loro grido di aiuto.
Il volto del Signore contro i malfattori,
per eliminarne dalla terra il ricordo.

Gridano e il Signore li ascolta,
li libera da tutte le loro angosce.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato,
egli salva gli spiriti affranti.

Molti sono i mali del giusto,
ma da tutti lo libera il Signore.
Custodisce tutte le sue ossa:
neppure uno sarà spezzato.

Il male fa morire il malvagio
e chi odia il giusto sarà condannato.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi;
non sarà condannato chi in lui si rifugia.

Seconda Lettura Ef 5, 21-32

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri: le mogli lo siano ai loro mariti, come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, così come Cristo è capo della Chiesa, lui che è salvatore del corpo. E come la Chiesa è sottomessa a Cristo, così anche le mogli lo siano ai loro mariti in tutto.
E voi, mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa, purificandola con il lavacro dell’acqua mediante la parola, e per presentare a se stesso la Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata. Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo: chi ama la propria moglie, ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura, come anche Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membra del suo corpo.
Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne.
Questo mistero è grande: io lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!
 
Canto al Vangelo (Gv 6,63.68)


Alleluia, alleluia.

Le tue parole, Signore, sono spirito e vita;
tu hai parole di vita eterna.

Alleluia.

Vangelo Gv 6,60-69

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».
Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».
Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui.
Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».
 

OMELIA

Dio non è prezzo da pagare, come l’Amore non è sacrificio da offrire.
L’Amore è, e basta.
Antecedente ad ogni ‘peccato originale’ v’è un ‘dono originante’, prima d’ogni caduta, ogni infedeltà, ogni fuga.
Prima del ‘peccato’ commesso, c’è una Fedeltà inappellabile.
Gesù a quei tali che non credono alla gratuità del suo amore, ma solo alla propria perfezione religiosa, dice: “Volete andarvene anche voi?” (v. 67). Egli non vuole con sé servi osservanti, ma persone che nella bellezza della loro fragilità, e nella profondità delle loro ferite potranno sperimentare il balsamo di un Amore che lenisce.
Piuttosto che abitare nella ‘casa di Dio’ da schiavi e sperimentare Dio come padre-padrone, sarebbe una grazia cadere nella disgrazia, lontani da lui, perché solo allora saremmo nella condizione di sperimentarlo così come egli è: Padre che corre incontro a suo figlio gettandogli, in lacrime, le braccia al collo, e rivestendolo con vesti da principe per dare così inizio ad una festa che non avrà fine (cfr. Lc 15, 11ss.). Nel medesimo istante in cui l’altro figlio, quello pulito e irreprensibile, è nei campi a lavorare per il suo dio-padrone, come servo in attesa del salario.
D’altra parte sono proprio ‘pubblicani e prostitute’ ad avere occhi e cuore in grado di sperimentare di che stoffa è fatto il loro Dio (cfr. Mt 21, 31s.).
Sono proprio coloro che giungono da molto lontano – da “oriente, occidente” – e che tutti reputavano pagani, maledetti e peccatori, a contemplare in ultima istanza il vero volto del Padre: “Verranno da oriente e occidente e siederanno alla mensa con Abramo” (cfr. Mt 8, 11).
In fondo, l’unico a cui è stato promesso il ‘paradiso’ non è il ‘primo’ religioso del tempio di Gerusalemme, ma l’ultimo disgraziato crocifisso fuori delle mura di Gerusalemme (cfr. Lc 23, 43).
Insomma, alla fine saranno ancora una volta gli ultimi ad essere i primi nel Regno dei cieli (cfr. Mt 20. 16).
 
Paolo Scquizzato
 
Ventesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Pr 9,1-6

Dal Libro dei Proverbi

La sapienza si è costruita la sua casa,
ha intagliato le sue sette colonne.
Ha ucciso il suo bestiame, ha preparato il suo vino
e ha imbandito la sua tavola.
Ha mandato le sue ancelle a proclamare
sui punti più alti della città:
«Chi è inesperto venga qui!».
A chi è privo di senno ella dice:
«Venite, mangiate il mio pane,
bevete il vino che io ho preparato.
Abbandonate l’inesperienza e vivrete,
andate diritti per la via dell’intelligenza».

Salmo Responsoriale Dal Salmo 33

Gustate e vedete com’è buono il Signore.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Temete il Signore, suoi santi:
nulla manca a coloro che lo temono.
I leoni sono miseri e affamati,
ma a chi cerca il Signore non manca alcun bene.

Venite, figli, ascoltatemi:
vi insegnerò il timore del Signore.
Chi è l’uomo che desidera la vita
e ama i giorni in cui vedere il bene?

Custodisci la lingua dal male,
le labbra da parole di menzogna.
Sta’ lontano dal male e fa’ il bene,
cerca e persegui la pace.

Seconda Lettura Ef 5, 15-20

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da saggi, facendo buon uso del tempo, perché i giorni sono cattivi. Non siate perciò sconsiderati, ma sappiate comprendere qual è la volontà del Signore.
E non ubriacatevi di vino, che fa perdere il controllo di sé; siate invece ricolmi dello Spirito, intrattenendovi fra voi con salmi, inni, canti ispirati, cantando e inneggiando al Signore con il vostro cuore, rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.
 
Canto al Vangelo (Gv 6,56)


Alleluia, alleluia.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue,
dice il Signore, rimane in me e io in lui.

Alleluia.

Vangelo Gv 6,51-58

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
 

OMELIA

Mi capita spesso di ascoltare madri – in realtà più nonne – preoccupate le prime, angosciate le seconde – lamentarsi riguardo figli e nipoti lontani ormai dalla pratica religiosa, disertando Messe domenicale e snobbando serenamente sacramenti e addentellati.
Poche volte invece m’è capitato d’ascoltare le medesime madri e nonne domandarsi quale possa essere l’onestà profusa da figli e nipoti nei luoghi di lavoro, lo stile assunto nella convivenza civile; se il patrimonio accumulato sia solo per il proprio arricchimento personale, o piuttosto mezzo di condivisione per creare nuova ricchezza a beneficio di tutti; se le banche da loro scelte siano colluse o meno col commercio di armi, o se alle prossime elezioni appoggeranno partiti razzisti e xenofobi perché stanchi di orde d’immigrati immaginati causa dei molti crimini di questo nostro paese….
Perché tanta angoscia se le ‘nuove generazioni’ non si nutrono più alla mensa eucaristica del ‘corpo e sangue di nostro Signore’ nascosto in un’ostia, e così poca ‘attenzione’ nel vedere ‘la carne e il sangue’ agonizzante e straziata in luoghi di guerra, in infernali centri di accoglienza, nelle carceri sovraffollate, nei bambini abusati, nelle donne maltrattate, negli psichiatrici dimenticati, negli operai derubati, nei precari maltrattati…
Ecco cosa Gesù intendeva col dire ‘Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna’: entrare in una relazione viva con lui attraverso ogni relazione che possiamo vivere nel nostro quotidiano: toccare, guardare, curarsi della ‘carne e del sangue’ di tutti i poveri cristi con cui egli stesso ha voluto identificarsi, perché ancora una volta dagli altari delle nostre chiese egli continua a gridarci che «tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40).
Qui si verifica in ultima analisi la possibilità di vivere questa nostra breve vita in maniera eterna, ossia piena e realizzata.
 
Paolo Scquizzato
 
Diciannovesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura 1Re 19,4-8

Dal primo libro dei Re

In quei giorni, Elia s’inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra. Desideroso di morire, disse: «Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri». Si coricò e si addormentò sotto la ginestra.
Ma ecco che un angelo lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia!». Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia, cotta su pietre roventi, e un orcio d’acqua. Mangiò e bevve, quindi di nuovo si coricò.
Tornò per la seconda volta l’angelo del Signore, lo toccò e gli disse: «Àlzati, mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». Si alzò, mangiò e bevve.
Con la forza di quel cibo camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l’Oreb.

Salmo Responsoriale Dal Salmo 33

Gustate e vedete com’è buono il Signore.

Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
Io mi glorio nel Signore:
i poveri ascoltino e si rallegrino.

Magnificate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
Ho cercato il Signore: mi ha risposto
e da ogni mia paura mi ha liberato.

Guardate a lui e sarete raggianti,
i vostri volti non dovranno arrossire.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo salva da tutte le sue angosce.

L’angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono, e li libera.
Gustate e vedete com’è buono il Signore;
beato l’uomo che in lui si rifugia.

Seconda Lettura Ef 4,30-5,2

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio, con il quale foste segnati per il giorno della redenzione.
Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo.
Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi, e camminate nella carità, nel modo in cui anche Cristo ci ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.
 
Canto al Vangelo (Gv 6,51)


Alleluia, alleluia.

Io sono il pane vivo, disceso dal cielo, dice il Signore,
se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.

Alleluia.

Vangelo Gv 6,41-51

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, i Giudei si misero a mormorare contro Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?».

Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna.
Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

 

OMELIA

«Chi crede ha la vita eterna”»;
«Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno».
‘Credere’ non è aderire intellettualmente ad una verità, o limitarsi a professarla con la bocca: «Non chi mi dice Signore, Signore entrerà nel Regno dei cieli» (Mt 7, 21).
“Vita eterna” poi non significa ‘vita oltre la morte’, bensì ‘vita piena, compiuta, realizzata’ nel qui ed ora dell’esistenza, una qualità di vita così alta capace di vincere anche la morte.
Il ‘pane’ infine, è simbolo della vita, per cui con ‘mangiare la mia carne’ Gesù non invita a nutrirsi di lui, ma di far proprio il suo stile di vita, portare all’estreme conseguenze la propria umanità: un vivere ‘da Dio’ insomma, perché solo Dio poteva essere così umano come Gesù.
Mangiare la sua carne significa fare della propria un dono, attraverso la compassione, la benevolenza, la pratica d’una giustizia giusta nei confronti d’ogni vita. La questione in fondo è domandarsi di quale ‘pane’ ci sfamiamo quotidianamente per il compimento del nostro essere. Di quale pane abbiamo fame, di quale pane ci nutriamo per portarci a compimento?
Torna qui un tema caro nel vangelo di Gesù: la nostra fame esistenziale si estingue non tanto nel nutrirsi alla propria piccola mangiatoia, ma nel provvedere alla fame degli altri.
 
Paolo Scquizzato
 
Diciottesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Es 16,2-4.12-15

Dal libro dell'Esodo

In quei giorni, nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne.
Gli Israeliti dissero loro: «Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine».
Allora il Signore disse a Mosè: «Ecco, io sto per far piovere pane dal cielo per voi: il popolo uscirà a raccoglierne ogni giorno la razione di un giorno, perché io lo metta alla prova, per vedere se cammina o no secondo la mia legge. Ho inteso la mormorazione degli Israeliti. Parla loro così: “Al tramonto mangerete carne e alla mattina vi sazierete di pane; saprete che io sono il Signore, vostro Dio”».
La sera le quaglie salirono e coprirono l’accampamento; al mattino c’era uno strato di rugiada intorno all’accampamento. Quando lo strato di rugiada svanì, ecco, sulla superficie del deserto c’era una cosa fine e granulosa, minuta come è la brina sulla terra. Gli Israeliti la videro e si dissero l’un l’altro: «Che cos’è?», perché non sapevano che cosa fosse. Mosè disse loro: «È il pane che il Signore vi ha dato in cibo».

Salmo Responsoriale Dal Salmo 77 (78)

Donaci, Signore, il pane del cielo.

Ciò che abbiamo udito e conosciuto
e i nostri padri ci hanno raccontato
non lo terremo nascosto ai nostri figli,
raccontando alla generazione futura
le azioni gloriose e potenti del Signore
e le meraviglie che egli ha compiuto.
 
Diede ordine alle nubi dall’alto
e aprì le porte del cielo;
fece piovere su di loro la manna per cibo
e diede loro pane del cielo.
 
L’uomo mangiò il pane dei forti;
diede loro cibo in abbondanza.
Li fece entrare nei confini del suo santuario,
questo monte che la sua destra si è acquistato.

Seconda Lettura Ef 4,17.20-24

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, vi dico dunque e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri.
Voi non così avete imparato a conoscere il Cristo, se davvero gli avete dato ascolto e se in lui siete stati istruiti, secondo la verità che è in Gesù, ad abbandonare, con la sua condotta di prima, l’uomo vecchio che si corrompe seguendo le passioni ingannevoli, a rinnovarvi nello spirito della vostra mente e a rivestire l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità.
 
Canto al Vangelo (Mt 4,4b)


Alleluia, alleluia.

Non di solo pane vivrà l'uomo,
ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio.

Alleluia.

Vangelo Gv 6,24-35

Dal vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».
Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo».
Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

OMELIA

“Dio allevia molte pene, non ci fosse bisognerebbe inventarlo”. Si tratta di un passaggio di ‘Cambiare l’acqua ai fiori’, il fortunato romanzo di Valérie Perrin uscito in Italia nel 2021.

Gesù domanda ai suoi: «voi mi cercate perché avete mangiato di quei pani…» (v. 26).
Siamo sempre lì.

Cosa spinge a ‘cercare Dio’? Cosa muove chi crede a credere? Forse il fatto che ‘Dio allevia molte pene?’. O perché garantisce il ‘pane’ necessario, la salute fisica, magari una sicurezza economica, il benessere dei propri familiari, la pace nel mondo…?
La credenza in un dio può ridursi ad un ‘self service’ religioso, in cui trovare ciò che aiuta a star meglio, consolazione alle proprie frustrazioni, polizza assicurativa sulla vita, serenità dell’anima?
Insomma si sta ‘dalla parte di Dio’ per un’utilità, fosse anche la più nobile?
Ognuno risponda nel segreto del proprio cuore, personalmente mi convinco sempre più che un Dio utile è semplicemente inutile. L’utilità spingerà sempre a cercano i ‘doni’ di un dio, piuttosto che Dio come dono.
Il grande pastore luterano, Dietrich Bonhoeffer scrive: «Io vorrei parlare di Dio non ai confini, ma al centro; come parlare di cristianesimo al margine di ogni linguaggio religioso? Come parlare di Dio senza religione?». Per il teologo tedesco le religioni e i loro apologeti hanno trasformato Dio in un “tappabuchi”, in un ‘deus ex machina’, come quelle divinità che apparivano sulla scena del teatro greco mediante un apposito meccanismo e intervenivano per risolvere una situazione difficile. Dio diventa così risorsa necessaria, ipotesi esplicativa, il fondamento della fiducia, dell’etica e della speranza.
Ma il mondo è giunto alla sua ‘maggiore età’ e non ammette più questo piccolo dio.
«Essere cristiano non significa essere religioso in un determinato modo (…), ma significa essere uomini. Il nostro rapporto con Dio non è un rapporto religioso con un essere, il più alto, il più potente, il migliore che si possa pensare – questa non è autentica trascendenza – bensì una nuova vita nell’“esserci per gli altri”, nel partecipare all’essere di Gesù. Il trascendente non è l’impegno infinito, irraggiungibile, ma il prossimo che è dato di volta in volta che è raggiungibile». (D. Bonhoeffer, Resistenza e Resa).

 
Paolo Scquizzato
 
Diciassettesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura 2Re 4,42-44

Dal secondo libro dei Re

In quei giorni, da Baal-Salisà venne un uomo, che portò pane di primizie all’uomo di Dio: venti pani d’orzo e grano novello che aveva nella bisaccia.
Eliseo disse: «Dallo da mangiare alla gente». Ma il suo servitore disse: «Come posso mettere questo davanti a cento persone?». Egli replicò: «Dallo da mangiare alla gente. Poiché così dice il Signore: “Ne mangeranno e ne faranno avanzare”».
Lo pose davanti a quelli, che mangiarono e ne fecero avanzare, secondo la parola del Signore.

Salmo Responsoriale Dal Salmo 144 (145)

Apri la tua mano, Signore, e sazia ogni vivente.

Ti lodino, Signore, tutte le tue opere
e ti benedicano i tuoi fedeli.
Dicano la gloria del tuo regno
e parlino della tua potenza.
 
Gli occhi di tutti a te sono rivolti in attesa
e tu dai loro il cibo a tempo opportuno.
Tu apri la tua mano
e sazi il desiderio di ogni vivente.
 
Giusto è il Signore in tutte le sue vie
e buono in tutte le sue opere.
Il Signore è vicino a chiunque lo invoca,
a quanti lo invocano con sincerità.

Seconda Lettura Ef 4,1-6

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, io, prigioniero a motivo del Signore, vi esorto: comportatevi in maniera degna della chiamata che avete ricevuto, con ogni umiltà, dolcezza e magnanimità, sopportandovi a vicenda nell’amore, avendo a cuore di conservare l’unità dello spirito per mezzo del vincolo della pace.
Un solo corpo e un solo spirito, come una sola è la speranza alla quale siete stati chiamati, quella della vostra vocazione; un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, opera per mezzo di tutti ed è presente in tutti.
 
Canto al Vangelo (Lc 7,16)


Alleluia, alleluia.

Un grande profeta è sorto tra noi,
e Dio ha visitato il suo popolo.

Alleluia.

Vangelo Gv 6,1-15

Dal vangelo secondo Giovanni

IIn quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano.
E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

OMELIA

«Chiuso fra cose mortali /
(Anche il cielo stellato finirà)
Perché bramo Dio?». (G. Ungaretti)
«Di che è mancanza questa mancanza, cuore,
che a un tratto ne sei pieno?» (M. Luzi).
Il cuore percepisce che tutto non è ancora Tutto.
Il pane non basta alla fame dell’uomo. «Duecento denari…», uno sproposito, non saranno mai abbastanza per soddisfare la fame di vita. Siamo solo la ‘razione di vita per l’oggi’, cinque pani e due pesci. Bastiamo solo per quest’oggi, per questa vita, troppo breve per esserci sufficiente.
E questo perché siamo essenzialmente relazione. Relazione col Tutto; parte del Tutto. Se viviamo incentrati sul nostro piccolo ego, saremo morti viventi attaccati coi denti a questa breve storia che è la vita.
Un ramo d’albero se pensa d’essere solo un ramo, vivrà nell’ossessione di essere tagliato, di spezzarsi, di cadere a terra. Ma se si percepirà parte dell’albero, relazione essenziale con l’alberò saprà che se anche cadrà a terra la sua vita è immensamente più grande, e per questo non può finire in quanto albero appunto, linfa vitale che non si esaurirà. E la sua pace sarà grande.
La vita che viviamo, se partecipata nella relazione è moltiplicata, entrando così nella sfera dell’eterno; acquisisce una portata in grado di vincere anche la morte. E trasformerà questo povero mondo in un giardino, luogo delle relazioni sane e vitali, dove gli altri da nemici diverranno compagni, etimologicamente ‘coloro con cui si condivide il pane’. Il testo parla di «molta erba in quel luogo» desertico (v. 10), un giardino appunto, figura di paradiso.
 
Paolo Scquizzato
 
Sedicesima domenica del Tempo Ordinario. Anno B

Omelia di Paolo Scquizzato

Prima Lettura Ger 23,1-6

Dal libro del profeta Geremia

Dice il Signore:
«Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore.
Perciò dice il Signore, Dio d'Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore.
Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore.
Ecco, verranno giorni - oracolo del Signore -
nei quali susciterò a Davide un germoglio giusto,
che regnerà da vero re e sarà saggio
ed eserciterà il diritto e la giustizia sulla terra.
Nei suoi giorni Giuda sarà salvato
e Israele vivrà tranquillo,
e lo chiameranno con questo nome:
Signore-nostra-giustizia».

Salmo Responsoriale Dal Salmo 22 (23)

Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Il Signore è il mio pastore:
non manco di nulla.
Su pascoli erbosi mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Rinfranca l'anima mia.
 
Mi guida per il giusto cammino
a motivo del suo nome.
Anche se vado per una valle oscura,
non temo alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.
 
Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici.
Ungi di olio il mio capo;
il mio calice trabocca.
 
Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
abiterò ancora nella casa del Signore
per lunghi giorni.

Seconda Lettura Ef 2,13-18

Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesini

Fratelli, ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete diventati vicini, grazie al sangue di Cristo.
Egli infatti è la nostra pace,
colui che di due ha fatto una cosa sola,
abbattendo il muro di separazione che li divideva,
cioè l'inimicizia, per mezzo della sua carne.
Così egli ha abolito la Legge, fatta di prescrizioni e di decreti,
per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo,
facendo la pace,
e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo,
per mezzo della croce,
eliminando in se stesso l'inimicizia.
Egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani,
e pace a coloro che erano vicini.
Per mezzo di lui infatti possiamo presentarci, gli uni e gli altri,
al Padre in un solo Spirito.
 
Canto al Vangelo (Gv 10,27)


Alleluia, alleluia.

Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice il Signore,
e io le conosco ed esse mi seguono.

Alleluia.

Vangelo Mc 6,30-34

Dal vangelo secondo Marco

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

OMELIA

Gesù invita i suoi ad «andare in disparte per riposarsi un po’» (v. 31).
Abbiamo bisogno di un ‘ubi consistam’, un luogo dove far riposare finalmente il cuore. Siamo stati fin troppo ‘fuori luogo’, lontani dal nostro Centro. È tempo di tornare a casa.
«Dov’è la vita che abbiamo perduto vivendo?» (Thomas Eliot)
Il Vangelo identifica questo luogo, non tanto con un luogo fisico, piuttosto con uno stile di vita.
Occorre notare che l’episodio raccontato da Marco è posto tra due banchetti, quello consumato nel palazzo di Erode sul Macheronte, raccontato nei versetti immediatamente precedenti (vv. 21-29), e quello che verrà raccontato nei versetti successivi, detto della ‘moltiplicazione dei pani’ (vv. 35ss.).
Gesù invita i suoi a compiere un passaggio di mentalità e quindi di comportamento nei riguardi della vita: uscire da uno stile di vita fondato sul potere, l’avere, il dominio e la violenza – proprio di Erode – che indìce un pasto dove l’unica portata è data dalla testa decapitata del Battista servita su un vassoio. Chi si gioca la vita sul proprio ego, può solo dispensare morte e nutrirsi di cadaveri.
Ma esiste anche un altro modo di concepire la vita, quello che condivide ciò che si possiede, e «si fa pane alla fame degli altri» (David Maria Turoldo), rappresentato dal banchetto della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Chi si gioca sulle relazioni autentiche, uscendo dalla prigione dell’ego si nutre di vita e scavalca la morte.
Dunque l’unico luogo di vita, di pace, dove il cuore può finalmente riposare, consiste nel vivere in un ‘certo modo’.
Sarà sempre l’altro il riposo del mio cuore, il segreto del senso e della felicità, la mia ultima – e unica – terra promessa.
 
Paolo Scquizzato
 

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